Ma quale ora di religione!

 

dI Maria de falco Marotta

 

Su Le Monde del 18.05.02, a proposito del film di Marco Bellocchio, L’ora di religione( che pubblicità a buon mercato ed internazionale per gli Irc!) che al Festival di Cannes 2002 è stato presentato come Il sorriso di mia madre, viene scritto che pone “in termini infantili una domanda vecchiotta, che non interessa più il grande mondo, oggi: la religione è compatibile con la libertà?”

Per la sua storia politica ed intellettuale, il regista che da sempre ruota attorno a questo problema, pur dichiarandosi orgogliosamente laico( ma direi laicista, poiché è sconveniente che un intellettuale della sua grandezza continui a rifugiarsi in vecchie e datate affermazioni sull’ora di religione come di un imbonimento della dottrina della Chiesa cattolica, mentre è ormai risaputo che gli insegnanti sono su posizioni più che corrette per un insegnamento obiettivo del fatto religioso) si trova nel campo di quelli che hanno risposto in senso negativo. Il personaggio principale de Il sorriso di mia madre, Ernesto Picciafuoco (Sergio Castellitto)  non se ne preoccupa molto, al punto di avere lasciato a sua moglie  (Jacqueline Lustig), di iscrivere il ragazzino all’educazione religiosa, da dove ha riportato preoccupazioni nuove, circa la sua libertà di agire come gli pare( tranquilli, boys and girls: in Cristo, la verità vi farà liberi”!).

In competizione per l'Italia, «L'ora di religione» di Marco Bellocchio, che tuona contro la Rai e il silenzio riservato dai tg al suo film, gridando che :«È censura», mentre alla sua proiezione per gli addetti ai lavori ha provocato  sbadigli, quasi indecenti, dentro un cinema lineare, innaturalistico puro, come si diceva una volta «rigoroso». Film barocco non solo perché c'entra il Vaticano, l'Opus dei e i principi neri che tramano nel buio perché tutto cambi e nulla muti. Barocco come le forme di una battaglia in corso. La visualizzazione, per esempio, di un conflitto tra individuo, e i suoi limiti, e una comunità e i suoi fanatismi da imporre ai piccoli. Qualcosa di più, insomma dei chiaroscuri feroci, alla Caravaggio. L'ora di religione, come il ritorno all'anarchia iconoclasta che brama nuove immagini, quasi ai «pugni in tasca», di Marco Bellocchio, circa alla ventesima prova, leggiadro nell'orchestrare tempeste emozionali pubbliche e private, preciso nel colpire al cuore l'ipocrisia e il cinismo che ci assediano, spregiudicato nel cavalcare e ridicolizzare le atmosfere che vanno per la maggiore nel cinema contemporaneo: la solennità naturalistica, il simbolismo enigmatico, il grottesco teatrale, perfino il narcisismo psicoanalitico e lo psicologismo onirico( e lui ne sa qualcosa, a proposito).
Vediamo la storia.
Ernesto (Sergio Castellitto), pittore romano separato dalla moglie (Jacqueline Lustig), mentre cerca di educare il piccolo figlio Leonardo (Alberto Mondini) allo spirito critico e alla decostruzione di ogni mitologia, viene coinvolto dalla famiglia - aristocrazia decaduta smaniosa di riscatto - in un delirante processo di canonizzazione della madre che, a sua insaputa, va avanti da tre anni. La donna esageratamente pia, fu anche martire: infatti liquefatto dalla sua religiosità così invadente, un altro figlio (Donato Placido), ricoverato in manicomio criminale, e da sempre istigato alla forsennata bestemmia perenne, alla fine l'uccise. La santa donna ovviamente fece miracoli, uno con tanto di certificato notarile (il miracolato è piuttosto sospetto, però).
La campagna di promozione del prodotto «santità» va avanti come un bulldozer, non risparmia trucchi, astuzie, alleanze clericali, donne ficcate a forza nel letto di Ernesto pur di «convertirlo» e coinvolge anche i rami laici della famiglia, perfino gli ex terroristi di sinistra pentiti (Gigio Alberti) ed è diretta con acume da una pratica Piera Degli Esposti. Secondo Bellocchio,  il «Sorriso di mia madre», culto della mamma italica; è il peggior nemico delle mamme italiche, “loro sì davvero «sante”( bontà sua: altrimenti, gli avrei strappato gli occhi a forza di fargli vedere sul serio quello che fanno tantissime piccole madri che proprio rifiutano il culto alla santità, ma si sbrindellano la vita per i figli).

Il film che non meritava tanta pubblicità, come al solito, è stato attaccato frontalmente dai  cattolici italiani organizzati (L'avvenire e  la Cei: mi è sembrato, in un certo senso, di rivivere il tam- tam che si orchestrò durante una lontana Mostra del Cinema di Venezia, quando fummo costretti a vedere dopo mezzanotte, L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese: molti dormirono sonoramente e il giorno dopo le manifestazioni annunciate non vi furono: sfido: il film era una palla di quelle buone!!!) contro L'ora di religione, il film di Marco Bellocchio (prodotto con Rai Cinema e Tele+).

Dicono i maligni( ma forse è anche vero), che l'attacco è diretto frontalmente contro Marco Bellocchio, intellettuale odiato dalla Curia fin dai primi anni 60, quando speculazioni edilizie Dc nei dintorni di Piacenza furono bloccate proprio per intervento del ramo laico della sua famiglia. Un film, infatti, si può criticare o meno, ma quando sono le istituzioni cattoliche nazionali a esprimere riserve e a offendere gli artisti, non siamo più nel regno lievissimo delle idee ma in quello, molto concreto e tangibile del business, e si arriva all'ostruzionismo distributivo quando non all'idiozia del boicottaggio dell'arte (ma non ditemi che lo sono  il Totò di Ciprì e Maresco, l'Ave Maria di Godard e L'ultima tentazione di Cristo di Scorsese). Quella piccola percentuale di esercizio non schiavizzato o d'essai, infatti, che non è sottoposta sempre alle leggi gangsteristiche del blockbuster (la copertura a tappeto di tutte le sale che contano con film «protetti», non solo Usa, imposti dai media e asettici per la «prima serata tv»- senza dire che spesso sono delle emerite porcherie-, poi per la pay e il dvd, ma davvero?), e che permette - chissà per quanto tempo ancora - la circolazione dei film più sociali, destabilizzanti le vecchie idee o di ricerca, è pesantemente gestita dalle istituzioni cattoliche.
Chi fa film provocatoriamente non allineati e magari atei e laici, o islamici o gay, o ebraici o episcopali, o simpatizzanti per personaggi controcorrente,  dovrebbe invece disporre di un circuito pubblico di sale almeno d'essai, soprattutto in provincia, dove «pubblico» sta proprio per «garantire le minoranze», principio chiave della democrazia, anche quando si tratta di consumatori di immagini.

E torniamo a: "L'ora di religione", unico film italiano in concorso a Cannes, accolto solo da sparuti applausi e tanto silenzio in sala.

Il regista che è un buon intellettuale settoriale( magari si arrabbia e chiede un confronto: che bello!), anche in questo film L’ora di religione

tenacemente prova a scalfire convenzioni, gabbie, dogmi di comodo cui affidare le questioni aperte della propria esistenza. Lui dice che non c’è rabbia, piuttosto cerca di  far maturare un'idea di differenza, affermando che il problema dei nostri tempi è quella combinazione di ipocrisia e di indifferenza di cui purtroppo, le persone neanche si accorgono più.

Durante le proiezioni del film che ha cominciato il suo iter in Italia dal mese di aprile 2002, il regista, spesso è intervenuto mentre scorrevano i titoli di coda, per raccogliere opinioni, sensazioni, emozioni, critiche dal pubblico presente e ha dichiarato:

"Ho immaginato questo film in un periodo di trionfo della cattolicità e moltiplicazione strategica dei santi. Parlando col pubblico ho notato due atteggiamenti diversi dei cattolici. Uno di discussione, dialettico, di interesse verso posizioni diverse. A un sacerdote la bestemmia urlata nel film ha ricordato l'urlo di Cristo sulla croce. Qualcun altro mi ha detto che in questa società così smarrita, dire di non credere in Dio mette a disagio. E poi c'è un partito di cattolici più intollerante, che non sa accettare, che si chiude e condanna. I vescovi hanno detto che questo film non va, che i cattolici non dovrebbero vederlo: per me questa è una posizione intollerante e cieca".
La parola libertà,  è ricorrente nel film.

Infatti ha più volte detto che: "Non è assoluta e non occorre più uccidere qualcuno per affermarla come al tempo di "I pugni in tasca'. Un adulto è molto meno libero di un bambino. Le domande un bambino le pone con innocenza, l'adulto le accoglie con pesantezza e la risposta è spesso eccessivamente seria. Come all'inizio del film in cui il bambino pensa che l'esistenza di Dio contesti la sua libertà. Ma l'adulto s'inquieta e la madre usa la situazione per inquietare il marito. La leggerezza è la chiave. Non nel senso che bisogna rispondere letteralmente. Forse Ernesto( Castellitto) potrebbe risparmiarsi di dire al figlio "Io non credo in Dio". Ma è libertà anche la capacità del protagonista di reagire - anche all'incontro di un'amante che pure può avere doppi fini - reagire anche in senso di rifiuto".
Inoltre, la canzone ricorrente nel film è una nenia antica dell'Armenia. Nelle parole - incomprensibili a chi non conosce l'armeno - c'è un rimpianto verso il focolare. 'Amore mio, ritorna al tuo focolare'. Così il protagonista è richiamato da forze che lo risucchiano al suo passato, al sorriso apparentemente dolce della madre e che in realtà non lo era affatto. Un tentativo di incantesimo messo in atto dalla famiglia. Il che non vuol dire che io sono contro la famiglia in generale. Sono certo che ci sono famiglie dove i genitori hanno un bel rapporto coi figli. Ma che si dica che la famiglia in sé è la colonna portante della società, questo no( e invece ricrediti, è vero: senza la famiglia cosa sarebbe dell’Italia? E non la connotiamo di alcuno specifico religioso)".
Il film è fatto di atmosfere cupe e primi piani, suoni inquietanti nel loro esser fuori luogo - dalla sigla del Tg ai trilli da thriller di sottofondo a certe battute nei dialoghi - e di movimenti macchina fluidi ingolfati da improvviso slow motion e tagli rapidi.

"Cose che capitano non volontariamente ma di fatto. Certo è un racconto che forza il realismo. Con la necessità reciproca di parole, immagini, musica. Che significa cercare di fare dello stile. Un racconto che abbia uno stile ma anche una forma, un tocco personale. Non basta per capire tutto sentire solo le parole come in tanto cinema italiano e come alla tv".

Bè, Marco Bellocchio è sicuramente un uomo di cinema che sa il fatto suo.

Non è che in questo film si discosti tanto dalle sue tematiche introspettive che pochi capiscono, però è un grande.

E lo è soprattutto per gli insegnanti di religione, così malmenati nel suo film( ma è rimasto, come molti sessantottini, a quelli che “subivano” l’ora di religione come una tortura: ah, che dispiacere saperti  così vecchio Marco!) che, invece, grazie allo Snadir e alle tante associazioni promosse dalla Chiesa, sono quelli più in gamba che si possano incontrare, per la vivacità della loro preparazione fatta tutta su media e computer e su un’apertura interculturale ed interreligiosa( ne ha mai sentito parlare Marco Bellocchio?) che è il vero sprint della scuola italiana oggi.

SCHEDA DEL FILM

"L'ora di religione (Il sorriso della madre)"
Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio
Interpreti: Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Chiara Conti, Piera Degli Esposti, Alberto Mondini
Fotografia: Pasquale Mari
Scenografia: Mario Dentici
Costumi: Sergio Ballo
Montaggio: Francesca Calvelli
Produzione: Film Albatros, Rai Cinema
Distribuzione: Istituto Luce
Sito ufficiale: L'ora di religione

Trama in breve.

La vita di Ernesto, artista ateo, viene sconvolta dalla notizia che la madre (uccisa dal fratello Egidio, ora ricoverato in una clinica psichiatrica) sta per essere beatificata, sotto la spinta della famiglia che vede nella beatificazione un'occasione per ritrovare lustro e protezioni influenti. Il tutto mentre Ernesto si chiede se sia giusto o sbagliato che il figlio frequenti l'ora di religione a scuola.
IL REGISTA

Regista cinematografico italiano (Piacenza 1939).
Dopo aver frequentato il ginnasio in un collegio ecclesiastico di Piacenza, il liceo in un Istituto Barnabita di Lodi e aver seguito corsi di filosofia all'Università Cattolica di Milano (l’educazione religiosa avrà un gran peso nella sua opera), si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia e nel 1965 esordì clamorosamente con I pugni in tasca, opera molto cruda sullo sgretolamento della famiglia, in cui emerge una posizione fortemente critica dei valori tradizionali religiosi e morali.
L'anticonformismo di Bellocchio e le sue tendenze ideologiche di estrema sinistra, si collocarono in modo adeguato in La Cina è vicina del 1967 e Nel nome del padre del 1972, che si ispira agli ambienti ecclesiastici della sua giovinezza.
Molto discusso fu Sbatti il mostro in prima pagina, sull'ambiente giornalistico, e Matti da slegare (1975), un film dossier sui manicomi italiani, ancora lontani dalla riforma della legge 180/78.
Maggior successo hanno avuto i due film successivi Marcia trionfale (1976) e Salto nel vuoto (1980), il primo sull'ambiente della caserma e del servizio militare, che viene utilizzato come pretesto per avviare un ampio discorso critico, il secondo sul chiuso ambiente della famiglia, che viene ancora messa in discussione con amare critiche. Soprattutto quest'ultimo lavoro ha riscosso ampio successo di critica, che gli ha riconosciuto diversi premi anche a carattere internazionale.
Fra questi due film va segnalata una versione del Gabbiano di Cechov (1977), realizzata per la televisione.
Del 1982, è Gli occhi la bocca, storia dell'identificazione morbosa di un giovane con il proprio fratello morto, a cui è seguito nel 1984 Enrico IV, tratto dalla commedia di Luigi Pirandello e, successivamente, Diavolo in corpo (1986), libera interpretazione del romanzo di R. Rediguet, e La visione del sabba del 1988.
Nel 1991 gira La condanna, del 1994 è il film Il sogno della farfalla e nel 1999 realizza La balia, un film in costume tratto da una novella di Pirandello, che vince il David di Donatello per i costumi e quattro Ciak d'Oro per la migliore attrice non protagonista, la fotografia, la scenografia ed i costumi

Marco Bellocchio a Cannes ha già presentato "La balia" (1999), "Il principe di Homburg" (1997), "Il sogno della farfalla", "Diavolo in corpo" (1986), "Enrico IV" (1984), "Salto nel vuoto"(1980), "Il gabbiano" (1977).

 

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