Grande successo per la terza edizione della kermesse 
 Terni in Jazz Fest 2003

di Francesco Patrizi


  Si è conclusa con successo anche la terza edizione di Terni in jazz, kermesse che ha riavvicinato la tradizione del jazz a Terni dopo anni di forzata lontananza.

La manifestazione, organizzata dall'associazione Charlie, dagli instancabili fratelli Luciano e Antonio Vanni e da un collaudato gruppo di volontari, ha visto per le prime due serate (19-20 giugno) un evento unico in Italia, lo spettacolo U-Ulisse, nel sito archeologico di Carsulae, nelle due serate successive (21-22) quattro concerti all'Anfiteatro Fausto, musica itinerante per il centro storico, concerti dopo la mezzanotte, performances all'ora dell'aperitivo e pranzi accompagnati da un quartetto.

Un programma variegato, ricco nell'offerta nella qualità, a cui hanno risposto con entusiasmo ternani appassionati e non, e gente da fuori, richiamata per l'occasione soprattutto dallo spettacolo di Carsulae, trasmesso in diretta da Radiotre venerdì.

Sabato 21 ha aperto la serata all’anfiteatro Fausto il sassofonista californiano David Binney con il suo quartetto. La performance è stata quanto meno eclettica, all'hard bop più scatenato si sono alternati brani intensi introdotti da un rarefatto piano solo su cui si intrecciava il suono quasi soffiato del sax. Una sapiente miscela di ritmo incalzante e di suoni distensivi che, come insegna l'arte della variatio, accantonava lo spettro della monotonia e offriva al pubblico umori diversi e spunti anche contrastanti tra loro.

Eppure il bello del jazz è proprio in questa variazione continua, perché si può apprezzare, all'interno dello stesso concerto, un ritmo lento, una melodia affascinante e il rifiuto esatto di tutto questo.

Distante anni luce il concerto seguente, dell'innovativo Erik Truffaz quartet. Una tromba flicorno amplificata, suoni distorti, campionati, voci registrate si amalgamavano agli strumenti esplorando sonorità evocative, lontane. Una musica che definire jazz è semplicistico, a meno che per jazz non si intenda un concetto di libertà musicale totale. Ascoltando Truffaz ci si rende conto della direzione presa dai musicisti jazz oggi: il jazz è il rifiuto di un’identità singola, circoscrivibile; è una pelle che cuce insieme contaminazioni e infiltrazioni disparate, che si fregia di piccoli e grandi furti, che assimila tutte le tradizioni (dall'etnico allo ska) e le fonde con idee e intuizioni senza freni.

Il jazz di oggi non è più espressione della comunità nera americana, non è più rapportabile ad un contesto storico-sociale, è una koiné, una lingua franca che accomuna passioni e stili di vita, background e persone di nazioni diverse e lontane.

A testimonianza di ciò, domenica 22 giugno, lo splendido scenario dell’Anfiteatro ha visto l’esibizione del talento africano David S. Ware con il suo quartetto; un’esperienza che ha lasciato allibito qualche spettatore: il sax tenore non emetteva note, ma suoni urlati, striduli, viscerali, un fiume in piena, tribale, caotico, che ricordava l’esperienza del Coltrane anni ’60. I musicisti erano impegnati in qualcosa che non aveva niente a che fare con l’esecuzione di un brano; si trattava di un’esperienza esatatica; gli strumenti (i “classici” pianoforte batteria e contrabbasso) guidati dal sax del leader, aprono la strada ad una dimensione orgiastica, dove non esistono melodie, dove il sax detta due, tre note, un motivo, e gli altri lo seguono, ossessivamente, ripetendolo, rivoltandolo, urlandolo.

In questo caso il jazz è un momento di estasi e di abbandono, una confusione organizzata, anzi “concordata”. Con Ware si è toccato il punto forse più estremo di ascolto, il punto mistico, dell’intero festival. 

Prima di lui, il bravo sassofonista e clarinettista friulano leader del Bizart trio (batteria e organo) ha scaldato l’atmosfera con pezzi sfrenati e brani lenti e intensi, caratterizzati dal particolare suono dell’organo elettrico, che sostituiva anche il basso.

Un’esperienza riuscita, quella del terzo festival ternano di jazz, che ha ospitato nomi internazionali, rappresentativi delle nuove tendenze di questa “lingua” sempre più aperta e globale.