di Arnaldo Casali
“E’ stata una morte esibita”, scrive Gaspare Amidei sul Corriere della sera di sabato 2 aprile.
E’ stata? Eppure Giovanni Paolo II non è ancora morto.
Pazienza, risponderebbe il cronista. D’altra parte, di questi tempi, bisogna stare sulla notizia, anche se la notizia è falsa. Meglio commentare qualcosa che non è ancora successo, piuttosto che rischiare di rimanere indietro, anche solo di poche ore. Sarà forse l’effetto della televisione, di internet, di un mondo che tutto consuma e che ha necessità di proporre sempre qualcosa di nuovo, di fresco. E chi se ne importa se il fresco è già marcio.
Venerdì
pomeriggio, l’ossessione di tutti i giornalisti italiani era che tempo usare,
che parole usare, anche per le brevi di cronaca provinciale: “mettiamo
aggravato o morto?”.
Ma
oltre alla mancanza di buon gusto, la stampa, in questi giorni, sta dimostrando
anche la mancanza di creatività.
Quattro
i titoli usati da praticamente tutti i quotidiani italiani: “L’agonia del
Papa”, “La passione del Papa”, “La via Crucis del Papa”, “L’ultimo
viaggio del Papa”.
E i
settimanali sono lì che preparano numeri speciali. “Ma se non si sbriga a
morire – stanno pensando – come lo chiudiamo il giornale?”. Una volta si
scriveva “al momento di andare in stampa...”, adesso no, non si può,
bisogna prevedere il futuro: ci si prova,a qualcuno riesce, a qualcuno no: è
accaduto anche per l’elezione di Bush. Manifesto e Foglio hanno
azzardato, uno ha fatto la figuraccia, l’altro ancora vanta lo scoop.
“La stampa” invece, sabato ha titolato “Giovanni Paolo II: 1978-2005” , evidentemente pensando “se pure non dovesse farlo durante la notte, comunque prima della fine dell’anno si deciderà pure a morire!”.
Sì,
perché la lunga agonia di Giovanni Paolo II, tutto sommato, la stampa l’ha
spiazzata. Tutti i grandi quotidiani aspettavano da anni la morte del Pontefice:
avevano preparato pagine su pagine di coccodrilli e non vedevano l’ora di
usarle, ma nessuno si aspettava che il pontefice ci mettesse così tanto.
Non
c’è niente di più snervante – e allo stesso tempo di più eccitante –
per un giornalista, che fare dirette televisive di quaranta ore aspettando una
notizia che deve arrivare, che arriverà, ma che non arriva.
Si
parte con le celebrazioni della vita e del pontificato, si continua con le
riflessioni sulla morte cristiana, poi arrivano le previsioni su ciò che sarà
dopo, si chiedono commenti a chiunque, ma soprattutto, si inventano le notizie.
Perché tra un bollettino medico e l’altro, qualcosa bisognerà pur dire. Così
si inseguono le indiscrezioni, le notizie non confermate e poi negate. Il Papa
è già entrato ed uscito dal coma due volte, ed è morto una volta, mentre
ancora era cosciente e lucido.
Sul
Tg3 la giornalista diceva allarmata all’inviato in piazza San Pietro:
“Abbiamo visto che è stata chiusa una porta di bronzo della Basilica. Che
cosa significa questo gesto?”.
Disarmante la risposta:
“Che è ora di chiusura”.
La
cinica domanda che il 1 aprile le redazioni, allestiti i grandi speciali, si
ponevano era: “E se non muore oggi domani che scriveremo?”. Sì, perché non
è che si possono ripubblicare sempre le stesse commemorazioni per una
settimana, come fa la Rai che sono tre giorni che manda in onda sempre lo stesso
documentario.
Intanto,
sotto la sempre meno velata ipocrisia con cui la parola ‘speranza’ indica
una guarigione del pontefice emergono gli avvoltoi che da troppo tempo
aspettavano il lauto pasto.
In
effetti, se è vero che non c’è stato papa nella storia celebrato in vita
come Giovanni Paolo II, è vero anche che non era mai successo che i giornali
iniziassero il nuovo conclave con una decina d’anni di anticipo, tanto da far
commentare sarcasticamente al segretario Dziwisz che la maggior parte dei
giornalisti che volevano commentare la morte del Papa sono morti prima di lui.
E
certo non sono soltanto i giornalisti a preparare il Conclave. Fa venire i
brividi pensare che il prossimo papa potrebbe essere uno di questi coccodrilli
porporati che riempiono i teleschermi televisivi commentando la morte di un uomo
che non è ancora morto. Fa venire i brividi l’idea che il prossimo conclave
potrebbe essere brevissimo, perché magari i giochi sono già fatti, gli accordi già presi, le poltrone già
spartite.
Si
è parlato tanto di dimissioni. Mai così tanto. Davvero nessuno lo sopportava
più un papa così longevo. Se ne è cominciato a parlare dodici anni fa, quando
il papa si è ammalato, ma allora era solo qualche ‘provocatore’ a parlarne.
Dopo il ricovero al Gemelli hanno cominciato ad ipotizzarle -
se non auspicarle - anche i cardinali di Curia.
Ma per fortuna, noi cattolici ci crediamo e vogliamo crederci, che
nell’elezione del Papa ci mette lo zampino anche lo Spirito Santo.
Si è sempre detto che chi entra papa in Conclave ne esce cardinale. Ad entrare
in un Conclave non ancora aperto sono stati Dionigi Tettamanzi e Angelo Scola.
2.4.2005
– 13.33
La
parte di Vespa
E’ cominciata
male, l’avventura di Bruno Vespa nella fine del pontificato Wojtyla.
Giovedì
31 marzo, mentre tutte le televisioni – a cominciare da Raitre –
annunciavano l’aggravamento delle condizioni del pontefice, Raiuno continuava
a mandare in onda, imperturbabile, la puntata di “Porta a porta”
con lo one-man-show di Silvio Berlusconi.
Solo dopo un ora di trasmissione sono comparse le scritte che avvertivano che la
puntata era registrata, solo dopo un’altra ora ne comparivano altre in cui si
diceva che del papa, sì, avrebbe parlato anche la rete ammiraglia, nel
telegiornale, ma solo alla fine della trasmissione.
Una
gran figuraccia, l'idea Silvio registrato sia più importante che del Papa in
diretta, ma anche un flop clamoroso in termini di Auditel, che ha visto il
talk show sconfitto anche dalle Iene; eppure Vespa casca in piedi: la sua fedeltà
viene premiata con un contratto che gli garantisce il posto anche se dovesse
andare al governo la sinistra, e lui è pronto a tornare in sella per annunciare
la morte del Papa.
E
adesso sarebbe disposto a fare anche 24 ore di diretta pur di non perdere la
notizia, lui che ha intervistato Wojtyla quando era cardinale, lui che ne ha
annunciato l’elezione, lui che ha ricevuto una telefonata in diretta dallo
stesso Papa, proprio a Porta a porta, nove anni fa, lui che, ormai detentore
assoluto dell’informazione Rai, ha dato nel suo talk show tutte le notizie più
importanti degli ultimi anni, vanificando completamente il ruolo di un
Telegiornale ormai allo sbando.
Vanificando
anche, a pensarci bene, il ruolo dell’Ufficio stampa del governo o di Forza
Italia, visto che ormai da anni Berlusconi quando deve dare una notizia
importante va a
Porta a porta.
A
pagare il prezzo di questo monopolio, Tg1 a parte, sono stati in tanti, dal
palinsesto Rai (l’anno scorso Baudo fu costretto ad interrompere la diretta
dei David di Donatello per lasciare spazio a Vespa) ai familiari di Quattrocchi,
che hanno saputo proprio da Vespa che Fabrizio era morto, prima di ricevere la
telefonata dal ministero. Perché? Perché non c’era tempo di aspettare che il
governo si muovesse. La diretta stava finendo, il telegiornale incalzava, e
Vespa non poteva perdere lo scoop. (a.c.)