di Arnaldo Casali
Ci siamo. Mentre comincio a scrivere, Joseph Ratzinger, il decano (cioè il capo) dei Cardinali, il detentore della dottrina della Chiesa, e come tale uno dei tre 'vice' di Giovanni Paolo II (insieme a Ruini, vicario per Roma e per l'Italia, e Sodano, segretario di Stato del Vaticano) ha appena finito la sua omelia nella messa Pro eligendo sommo Pontefice che in questa mattina di lunedì 18 aprile, apre di fatto i lavori del Conclave. Questo pomeriggio i 115 Cardinali elettori presenti a Roma (di cui 113 creati da Wojtyla, e solo 2 - tra cui lo stesso Ratzinger - da Paolo VI) si riuniranno nella Cappella Sistina per l'inizio delle votazioni.
Sarà un Conclave lungo o breve? Questo non è dato saperlo, tanto più che se i cardinali sono chiusi in silenzio stampa da una settimana, ancor meno possibilità ci sono che faccia dichiarazioni lo Spirito Santo che - a detta di noi cattolici - è il vero, grande elettore del Papa.
Lo Spirito Santo non sbaglia mai, ripetono in questi giorni i Vaticanisti in televisione, quindi possiamo stare tranquilli. Certo, viene spontaneo domandarsi ripensando a quello che avvenne ventisei anni fa, cosa è successo quando è stato eletto Giovanni Paolo I? Perché qualcuno, in quel caso, deve averci ripensato, anche se non possiamo sapere se è stato lo Spirito Santo ad aver corretto la scelta dei cardinali o magari il contrario.
Quanto tempo i principi della Chiesa resteranno chiusi nella Sistina e nella comodissima casa di Santa Marta, dicevamo, oggi non lo possiamo sapere. Ma è certo che al di fuori del sacro recinto, questo è già in Conclave più lungo della storia.
Perché sulle pagine dei giornali, e nei corridoi del Vaticano, il Conclave è iniziato almeno dieci anni fa, ma niente da stupirsi se il nuovo papa non si è ancora trovato, visto che la maggior parte dei papabili di oggi, dieci anni fa, non erano nemmeno cardinali.
L'unico a fare eccezione, ancora una volta, è lui. Ratzinger. Cardinale dal '77, è uno dei due elettori di Wojtyla, che elegge anche il suo successore. E' anche l'unico papabile tra gli estremisti, capace di raccogliere - fino ad oggi - ben cinquanta voti.
E' vero che la sua elezione resta molto improbabile, proprio in virtù della sua identità.
Il tempo delle correnti, progressisti e conservatori, è finita. Nel 1978 lo scontro era tra l'iper conservatore Giuseppe Siri, vescovo di Genova, delfino di Pio XII, l'uomo che entrò in ben quattro conclavi da papa per uscirne sempre cardinale, e il conciliare e montiniano Benelli, vescovo di Firenze. Tra i due litiganti, a vincere, fu il moderato Wojtyla.
Ma anche vent'anni prima, quando bisognava eleggere il successore del grande Pio XII, a vincere fu l'alternativa Roncalli. Un papa "tranquillo", di transizione. Era un rivoluzionario, ma nessuno lo sapeva. Così come Luciani.
Insomma ad uscire dal Conclave, specie dopo il papato normalizzatore di Wojtyla, non può che essere un moderato, o un invisibile. Insomma, l'unica speranza, per chi vuole un rinnovamento nella Chiesa, è quella che esca fuori la sorpresa, come accadde quarantadue anni fa. Una volta raggiunto il trono di Pietro, il cardinale che in questo momento siede ancora pacato su quella sedia a San Pietro ascoltando Ratzinger, avrà potere assoluto. Non dovrà riferire a nessuno delle sue azioni, se non alla Chiesa tutta. Non avrà un Parlamento cui rendere conto e dal quale potrà essere sfiduciato. Potrà fare tutto quello che vorrà. Ed è proprio qui la speranza in una sorpresa, come sorpresa fu il pacato Roncalli.
Ma, torniamo a dirlo, è inutile domandarsi se vinceranno i conservatori o i progressisti.
Anche perché, e qui diciamo grazie a Dio proprio perché il Papa non è un premier laico e il conclave non è un parlamento, se le correnti ci sono come in ogni raggruppamento di persone pensanti, nella Chiesa non ci sono i partiti. Non ci sarà quindi un vincitore e un perdente. Il successore di Wojtyla non potrà distruggere quello che lui ha fatto e impostare una linea radicalmente diversa, come fanno i nostri sindaci o i nostri presidenti del consiglio, ma sarà, prima di tutto, un continuatore. E il papa che sarà eletto rappresenterà l'intero Conclave.
Anche per questo tra i papibili non ci sono i leader della corrente progressista come Carlo Maria Martini e Karl Lemahn, ma anche tra i conservatori non ci sono molti papabili. L'unico è lui, Joseph, il Grande Inquistore. L'unico che se eletto Papa non ci riserverebbe nessuna sorpresa. Del suo programma sappiamo già tutto. Il suo pontificato, lungo o breve (l'età avanzata, la storia insegna, non significa nulla) è assolutamente prevedibile. Anche perché il vecchio professore di Tubinga (che divenuto prefetto del Sant'Uffizio proibì l'insegnamento all'antico rivale Kung, di diverse idee e maggior numero di studenti) il suo programma ha avuto modo di illustrarcelo bene, prima con ventiquattro anni da Prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede poi con le omelie e i discorsi tenuti in questi giorni come Decano del collegio cardinalizio.
Il programma di Ratzinger, condiviso almeno in parte da Camillo Ruini (pur più politico) è abbastanza chiaro. Rifiuto del relativismo imperante del mondo. Quindi una più profondo attaccamento alla dottrina, alla tradizione della Chiesa.
Quello di Ratzinger, badate bene, non sarebbe un pontificato conservatore, nel senso più stretto del termine. Pur essendo il più stretto collaboratore di Wojtyla, Ratzinger non sarebbe un continuatore dell'opera del Papa polacco. Semmai, è il contrario. E' il pontificato di Wojtyla che ha risentito moltissimo dell'influenza di Ratzinger. Ratzinger quindi, non farebbe che continuare la propria opera, questa volta, però, con pieni poteri. Proseguirebbe quindi nell'estrema rigidità dottrinale, nella persecuzione dei dissidenti. In più, però, chiuderebbe il dialogo con l'Islam, soffocherebbe l'Ecumenismo, che già non se la passa bene. Si disinteresserebbe di tematiche come globalizzazione, guerra, politica. In compenso farebbe piazza pulita di preti e vescovi pedofili, di figure compromesse col potere politico, quale che esso sia.
Insomma sarebbe un papato riformatore, ma riformatore come Gregorio VII, non certo come Giovanni XXIII. La sua sarebbe una Chiesa meno potente sotto un profilo politico-economico, ma più "pura" sotto quello morale e dottrinale.
Il motto della Chiesa di Ratzinger potrebbe essere "Pochi ma buoni". Tra crollo delle vocazioni ed esclusione dei dissidenti, la Chiesa ratzingeriana sarebbe molto più piccola, ma anche più forte. Sarebbe "altra" rispetto al "Secolo" e si porrebbe come punto di riferimento per chi rifiuta il sistema di valori dominante nel mondo.
Veri conservatori, invece, si dice, sarebbero papi wojtyliani come Tettamanzi. Eppure sono proprio i 'wojtyliani' quelli che potrebbero riservare delle sorprese. Un papa senza spina dorsale non lo faranno mai. Quindi delle idee, chiunque esso sarà, dovrà pure avercele.
In questi giorni abbiamo letto e riletto, ascoltato e riascoltato l'agenda del nuovo Papa. Ormai l'abbiamo imparata a memoria tanto che il Papa - o almeno in suo segretario - lo potremmo fare anche noi.
Crollo delle vocazioni e dei fedeli nel nord del mondo. Povertà e guerra nel sud del mondo. Problematiche di carattere etico-scientifico in occidente, l'incalzare dell'Islam e delle altre religioni ad oriente.
Insomma, uno scenario non molto confacente, in realtà, alla linea Ratzinger. Chiunque esso sia, conservatore o innovatore, pastore o politico, intellettuale o uomo del popolo, ciò che si chiede al nuovo papa è la capacità di incidere nella realtà in cui si troverà ad operare, come fece Wojtyla.
I poveri del sud del mondo, e gli idealisti del nord sognano un Papa capace di vincere la povertà e la guerra infinita come Wojtyla vinse il comunismo e la guerra fredda. Per questo si guarda verso l'America Latina. Col piccolo inconveniente che buona parte dei cardinali di là sono compromessi con i regimi dittatoriali.
Non ci azzardiamo in pronostici. Li fanno già tutti e non avrebbe molto senso. Non è rispettoso nei confronti dello Spirito Santo, ed è anche stupido, perché la maggior parte dei 115 non li conosciamo e quelli che conosciamo li conosciamo pochissimo, e poi, come si diceva, dopo che avrà indossato la veste bianca e scelto un nuovo nome, non sarà più il cardinale che oggi conosciamo, ma un Papa. Così come non ha senso fare previsioni sul nome. Giovanni Paolo III sembrebbe bello e tutto sommato abbastanza scontato, ma in sé non significherebbe nulla (basti alla differenza dei primi due che hanno portato questo nome). Qualche timore, lo confessiamo, ce lo indurrebbe un Pio XIII; un Celestino VI sarebbe rivoluzionario e confessiamo che ci piacerebbe.
Così come, un paio di persone che ci piacerebbe vedere su quella loggia, in quel momento di brividi, li vogliamo fare. Uno è Ennio Antonelli, vescovo di Firenze. Riconosco un minimo di campanilismo in questa preferenza. Perché Antonelli è, innanzitutto, umbro, come me. E' nato a Todi, è stato vescovo a Gubbio e a Perugia, prima di diventare segretario della Cei e vescovo a Firenze.
E' un pastore. Forse troppo pastore, dicono i "politici". Ha scritto delle belle cose sulla televisione e su Giorgio La Pira. Potrebbe essere una sorpresa. Se sarà un papa italiano, il nostro sogno è lui.
Per l'opzione latino-americana, invece, c'è Claudio Hummes, vescovo di San Paolo. Forse troppo progressista per un Conclave post-Wojtyla. Paladino degli operai, amico di Arturo Paoli e di Lula. Ma è anche - e soprattutto - il primate del più grande paese dell'America Latina, con ben 7 vescovi ausiliari. Insomma un personaggio che non si può ignorare.
Ma spesso non è tra i 'grandi cardinali' che si sceglie il Papa. Wojtyla è stato una sorpresa. Ed è probabile che altre il prossimo lo sarà. E tutto sommato non ci dispiace.
Lasciamo lavorare lo Spirito Santo.