Cara
Rina, Celestino
fu un papa rivoluzionario
di Arnaldo Casali
Non
posso che condividere il giudizio di Rina Gagliardi riguardo a Benedetto XVI,
“papa mediocre” alla Giornata mondiale della gioventù di Colonia.
E’ vero, con la sua tiepidezza, la mancanza di posizioni forti e
significative, Ratzinger sta deludendo non solo chi attendeva con ansia una
riforma della Chiesa, ma anche chi si aspettava un “grande reazionario”; il
suo si sta effettivamente delineando come un papato di transizione, destinato a
non lasciare traccia nella storia della Chiesa e del mondo.
Quello
che trovo profondamente inopportuno, però, è il paragone con don Abbondio e,
soprattutto, con Celestino V. Una citazione che cavalca gli stereotipi che dai
tempi di Dante accompagnano la figura del papa “del gran rifiuto” ignorando
la realtà storica e il valore di uno dei più grandi pontefici del medioevo
(pur così bene raccontati da libri come Il papa contadino di Golinelli e
L’avventura di un povero cristiano di Silone).
Cara
Rina, quello di Pietro dal Morrone fu un pontificato brevissimo,
ma certo non di transizione, e sicuramente in niente simile a quello di
Joseph Ratzinger.
Se
Benedetto XVI, che per venticinque anni è
stato ‘vicepapa’, oggi sta dimostrando di non avere il coraggio di
imporre una svolta alla Chiesa imitando, timidamente (e forzatamente) il
pontificato di Wojtyla, Celestino, umile eremita di origini contadine, fu un
vero rivoluzionario.
Estraneo
alle logiche curiali (non era nemmeno cardinale) in cinque mesi mise in atto una
vera e propria riforma della Chiesa, con gesti eclatanti e significativi, come
quello di iniziare solennemente il pontificato a cavallo di un asino,
scandalizzando i cardinali; prese le difese degli Spirituali (la corrente
radicale del francescanesimo, quella ‘ribelle’ perseguitata dalla Chiesa e
dall’ordine ufficiale) e inventò il primo Giubileo: la Perdonanza
dell’Aquila, che si potrebbe leggere anche come un gesto ‘pacifista’,
visto che fino a quel momento l’indulgenza era concessa dal Papa solo ai
crociati. Ma anche in politica fu un papa “di rottura”, limitando lo
strapotere delle famiglie romane in favore di una salda alleanza con il Regno di
Napoli. Riformò il monachesimo, e fu persino accusato di nepotismo per il
favore che accordò all’ordine che aveva fondato.
Insomma,
se c’è un papa contemporaneo a cui Celestino si può rapportare, questo è
semmai Giovanni XXIII, non certo Benedetto.
Umile,
semplice, bonario come Roncalli, Pier del Morrone fu sicuramente più di lui
sprovveduto, ingenuo, raggirato, manipolato, e proprio per questo decise –
avvilito e disgustato (ma anche abilmente consigliato) – di dimettersi dal
pontificato. Ci pensò poi Benedetto Caetani, divenuto il suo successore con il
nome di Bonifacio VIII, a revocare tutti i suoi atti, dopo averlo fatto
imprigionare e (forse) uccidere.
In
tanti, poi, a partire da Dante stesso, più o meno volutamente hanno fatto il
gioco di Bonifacio, prendendo Celestino come esempio di ignavia o di viltà.
Eppure, a testimoniare una memoria che non si è mai perduta, abbiamo anche un
passaggio di Francesco Petrarca in “De vita solitaria”:
“Lo
deridano pure coloro che lo videro: per loro il povero spregiatore delle
ricchezze e la sua santa povertà apparivano vili di fronte al fulgore
dell’oro e della porpora. A noi sia concesso di ammirare quest’uomo, di
porlo tra gli eletti e di considerare una disgrazia il non averlo potuto
conoscere personalmente”.
(Agosto 2005 - da
Liberazione)