L'11 settembre 1973
di Francesco Borzini
Santiago del Cile, 11 settembre 1973: Nel Palazzo della Moneda, il Presidente Salvador Allende, assediato e stanco, riaggancia sconsolato la cornetta del telefono, sibilando: “Mio Dio, avranno già arrestato Augusto”.
Il Generale Augusto Pinochet, non rispondeva alle chiamate del Presidente, ma non certo per essersi anche lui immolato nella resistenza contro il colpo di Stato, che avrebbe fatto piombare il Cile in un incubo disgraziato, di morte, terrore e miseria. Solo pochi minuti più tardi, dopo una strenua quanto inutile resistenza, il presidenze Allende si diede la morte, sparandosi con il fucile regalatogli da Fidel Castro.
Oggi il generale Pinochet, il grande traditore di quella notte ed il miserabile dittatore degli anni a venire è accusato di crimini contro l’umanità e di genocidio: sotto la sua dittatura (durata fino al 1990, quando un referendum riportò la democrazia lasciandogli però le cariche prima di comandante delle forze armate, poi senatore a vita) furono torturate, uccise e fatte sparire almeno trentamila persone.
Non è dato sapere invece quale sarebbe stato il destino storico di Allende, se quella maledetta sera l’esercito, lautamente foraggiato da una Cia in preda alla frenesia antimarxista, non avesse dato seguito controrivoluzionario allo scontento generalizzato della classe media del Paese, assestando un colpo definitivo al governo democraticamente eletto
dell’Unidad Popolar guidata dallo stesso Allende.
L’esperienza cilena rappresenta, nella nostra storia recente, la peculiarità di un governo di ispirazione marxista, che ha tentato di muoversi all’interno dei crismi della legalità costituzionale democratica, tentando una innovativa via cilena al socialismo, che non cancellasse le libertà democratiche e la possibilità di libere elezioni.
Allende insediò il suo primo governo, a seguito di libere elezioni, nel novembre del 1970: iniziò così l’applicazione del suo programma fatto di 40 provvedimenti, che andavano dalla instaurazione di una scuola gratuita e pubblica, alla fornitura di mezzo litro di latte ad ogni bambino cileno, dalla statalizzazione di numerose banche ed industrie alla nazionalizzazione delle miniere di rame, gestite in precedenza dalle corporations americane, che non ricevettero un solo dollaro di indennizzo.
L’aumento della spesa pubblica e l’immissione di un’ingente quantità di circolante nel sistema economico, ebbe inizialmente risultati sorprendenti, riducendo l’inflazione di un terzo e la disoccupazione della metà. Il ciclo virtuoso si concluse però ben presto. Già nell’ottobre 1971 gli investimenti erano in caduta libera (-71,3%), nonostante la forte crescita dell’impiego statale, mentre la discesa del prezzo del rame fece precipitare il valore delle esportazioni, proprio mentre crescevano le importazioni dei beni essenziali. Intanto gli USA, grazie alle pressioni sulla Banca Mondiale e sul Banco Interamericano de Desarrollo, ottennero una riduzione dei crediti internazionali al Cile pari al 90%. Il quadro economico peggiorò anche per l’esodo massiccio della borghesia: nel solo settembre 1970, prima ancora dell’insediamento di Allende, fuggirono dal Paese in 12 mila, presto seguiti da altri 17 mila. Negli stessi giorni lasciarono le banche cilene ben 87 milioni di dollari, anche a causa delle reazioni emotive seguite all’uso improprio di termini quali “nemico di classe”, “potere totale” e “rivoluzione” fatto dallo stesso Allende.
La rabbia dei proprietari espropriati nelle campagne del sud, intanto, si legava pericolosamente allo scontento dei grandi industriali e dei proprietari delle 200 imprese piccole e medie assorbite dallo Stato, che nel 1972 si ritrovò proprietario di ben 318 imprese di tutti i tipi, anche fabbriche di gelati e di bottoni che nessuno, estromessi i vecchi imprenditori, sapeva far funzionare. Tra il 1971 e il 1972, iniziarono gli scioperi che misero in ginocchio il Paese, sostenuti dai servizi di intelligence americani, sempre più decisi a cavalcare la marea montante dello scontento dei ceti medi, per cancellare questo pericoloso esperimento cileno, il cui esempio si sarebbe pericolosamente potuto “propagare” in tutto il continente americano.
Nel 1973 Allende si trovò totalmente isolato: criticato dall’ala più intransigente della sua coalizione, odiato dagli USA di Nixon e Kissinger, osteggiato dalla stessa Chiesa, contraria alla riforma scolastica e abbandonato dall’esercito, nelle cui fila già serpeggiava l’idea di un intervento “manu militari”.
In piena guerra fredda, quello cileno era un esperimento “doppiamente eretico”, inviso tanto all’ortodossia sovietica quanto agli interessi delle multinazionali americane, e non poteva che concludersi con un colpo sordo nella notte di Santiago lasciando spazio ad una delle più sanguinarie dittature mai viste in epoca moderna, da cui per anni gran parte dell’opinione pubblica occidentale ha preferito distogliere lo sguardo.