La star
hollywoodiana ha assistito
un condannato a morte
Susan
Sarandon sulle orme
di sister Helen
di
Arnaldo Casali
Dalla
realtà al
cinema, per una volta il viaggio è di andata e ritorno: è la storia di Susan
Sarandon, una delle più celebri attrici di Hollywood, che
dopo aver vinto l’Oscar interpretando la storia – vera – di una
suora che assiste i condannati a morte e si batte contro la pena capitale, che
ha assistito veramente un condannato nei suoi ultimi giorni di vita. Un
rapporto che, esattamente come nel film, è iniziato con una corrispondenza
epistolare ed è approdato ad un incontro personale e a un’intensa amicizia.
Tutto
comincia dieci anni fa, quando la Sarandon, reduce dal successo di “Thelma
& Louise” legge il libro “Dead man walking”, racconto autobiografico
di sister Helen Prejean, una suora impegnata nell’assistenza (spirituale e
legale) dei condannati a morte e nella lotta per l’abolizione della pena
capitale. Subito nasce l’idea di farne un film. Susan ne parla con il marito
Tim Robbins, anche lui celebre attore (ha vinto un Oscar quest’anno per “Mystic
river”) che ha all’attivo
anche un’opera come regista, “Bob Roberts”.
Il
film esce nel 1995, diretto da Tim Robbins e interpretato da Sean Penn nel ruolo
del condannato a morte e dalla stessa Susan Sarandon in quello di sister Hellen;
la suora apprezzerà così tanto la pellicola che da allora in poi la utilizzerà
come vero e proprio “biglietto da visita” per le sue numerose
conferenze in tutto il mondo.
Ma la collaborazione tra la coppia hollywoodiana liberal e atea e la suora
cattolica non si ferma con il film: viene realizzato un disco al quale prendono
parte cantanti come Bruce Springsteen, Suzanne Vega, Tom Waits, Patti Smith,
Johnny Cash, e i duetti tra
l’americano Eddie Vedder (leader dei Pearl Jam) e il sufi pakistano Nusrah
Fateh Alì Khan diventano, dopo l’11 settembre, il simbolo dell’incontro
e del dialogo tra oriente e occidente.
In
seguito viene realizzata anche una tournée, organizzata dallo stesso Tim
Robbins, e nasce addirittura un’opera lirica, tutt’ora in scena. Infine
arriva “Un cammino verso il perdono”, il libro di Debbie Harris, la ragazza
stuprata e quasi uccisa da uno dei condannati di cui il film parla.
Insomma
l’incontro con suor Helen Prejean cambia completamente la vita della coppia
di attori.
“Sono
sempre stata contraria, intellettualmente, alla pena di morte – racconta oggi
Susan Sarandon – perché è una vendetta costosa
e arbitraria, ma dopo aver interpretato Dead man walking ho capito
davvero che cosa significa riconoscere l’umanità in ogni persona. Ora sento
più chiaramente che non ci sono ragioni per uccidere”. E così,
dopo averlo fatto sul grande schermo, Susan Sarandon ripercorre anche
nella vita il cammino di suor Hellen, iniziando una corrispondenza epistolare
con James Vernon Allridge III, detenuto nel braccio della morte
in Texas, che sarà giustiziato il 26 agosto 2004.
Dopo
molti anni di corrispondenza, a pochi giorni dall'esecuzione, la Sarandon ha deciso di fare
il passo successivo, e si è recata in carcere per visitare il suo amico di
penna che aveva conosciuto dopo aver acquistato alcuni suoi disegni a matita,
raffiguranti fiori e animali.
Nel
corso del loro primo incontro – ha riferito David Artwood, presidente del
comitato per l’abolizione della pena di morte in Texas, che l’ha
accompagnata, la Saradon ha invitato l’uomo ad essere forte, e gli ha
assicurato che è sempre nei suoi pensieri e che pregherà per lui. I due hanno
anche discusso della possibilità che l’attrice potesse cercare di fare qualcosa
con i suoi avvocati per salvare in extremis la vita del condannato.
Né
l’attrice né il prigioniero (che parla ai suoi visitatori con un telefono
attraverso un vetro di plexiglas) hanno voluto rilasciare dichiarazioni riguardo
al loro incontro.
Allridge
ha 41 anni ed è stato rinchiuso nel braccio della morte dal 1985 per l’omicidio del
commesso di un negozio che stava rapinando. Lo stesso anno suo fratello Ronald,
durante un'altra rapina, aveva ucciso un diciannovenne in un fast food ed era
stato accusato di altri due omicidi. Anch’egli condannato a morte, Ronald era
stato giustiziato nel 1995.
“Niente mi sorprende più – ha commentato Mike Arrish - la visita della Sarandon ad uno spietato assassino come Allridge, che è arrivato anche a puntare la pistola contro un bambino di quattro anni, è semplicemente surreale, come il fatto che dall’Europa ci sia gente che gli manda soldi”. James, da parte sua, nel sito web dove vendeva le sue opere d’arte ha dichiarato di aver subito, all’epoca, molte pressioni da parte del fratello maggiore al quale era stata poi diagnosticata una schizofrenia paranoica, ed ha espresso rammarico per il fatto che “qualcuno abbia dovuto perdere la vita perché io diventassi la persona che sono oggi”. James sosteneva infatti di essere completamente riabilitato e di non rappresentare più un pericolo per la società e insieme con Atwood e la Sarandon aveva chiesto che la sua sentenza sia commutata nel carcere a vita. “Susan – spiega Atwood – ha corrisposto con lui per molti anni e lo vede come una persona cambiata e cresciuta; è molto impressionata dalle sue opere, come dalla sua arte e dalla sua intelligenza”. “Personalmente – aggiunge – non ho mai incontrato un condannato a morte più riabilitato di lui”.
Purtroppo a nulla è valsa la campagna di sensibilizzazione internazional, che ha visto anche la Comunità di Sant'Egidio impegnata in una raccolta di firme per salvare la vita del condannato-artista: il 26 agosto Allridge è stato ucciso dal popolo del Texas. All'esecuzione ha assistito, tra gli altri, la stessa suor Helen Prejean, che era stata assistente spirituale anche, tra l'altro, di Joseph O'Dell, ucciso nel '97.
Allridge ha utilizzato oltre metà del tempo che gli è stato concesso per le ultime parole, rivolgendosi ai familiari di Brian Clendennen, l'uomo per la cui morte James stava pagando, ringraziando quelli che lo hanno perdonato e chiedendo ancora perdono e pace a quelli che ancora lo odiavano.
TEXAS,
LA FORCA D'AMERICA
James
Aldridge è stato ucciso nel carcere di Hountsville in Texas, lo stato più “forcaiolo” d’America, che
– per densità di popolazione – supera in esecuzioni addirittura la Cina.
Governatore del Texas è stato, fino alla sua elezione alla Casa Bianca,
l’attuale presidente degli Stati Uniti George Walker Bush, tra i più accesi
sostenitori della pena capitale: nei
sei anni del suo incarico ne ha fatte eseguire
ben 152, contro le 87 avvenute nei 18 anni precedenti. Nel corso del suo
mandato non solo si è rifiutato di concedere grazie, ma è arrivato a schernire
(facendone il verso nel momento nella supplica finale) Karla Tucker, una delle
più celebri condannate da lui fatte uccidere nonostante una massiccia campagna
popolare.
Nell’ultimo
anno, però, l’interessamento
della popolazione civile e il lavoro dei
legali è riuscito a fermare la mano del boia cinque volte se sette casi,
ottenendo dal nuovo governatore la sospensione o il rinvio dell’esecuzione.
Un'ora
prima di
Alridge, in Oklahoma, è stato ucciso Windel Workman in vendetta per la
morte di Amanda Holman.
La
Comunità di Sant’Egidio sta promuovendo attualmente dieci appelli, che si possono firmare nel sito www.santegidio.org.
Tra questi condannati ci sono disabili mentali, minorenni
e persone che non hanno avuto la possibilità di pagare un avvocato che
li difenda. In media otto condanne a morte su dieci vengono inflitte quando
l’assassino è un nero e la vittima è un bianco.
FIRMA
QUI GLI APPELLI PER SALVARE
LA VITA DEI CONDANNATI A MORTE
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