Intervista
a STEFANO BENNI
Benigni e la satira di Regime
di
Francesco Borzini, Francesco Patrizi
e Arnaldo Casali
La già leggendaria apparizione di
Roberto Benigni nell'ultima puntata del Festival di Sanremo ha riempito le
pagine dei giornali per più di una settimana, non solo per l'attesa creata dal
ritorno del comico toscano in un varietà televisivo italiano dopo quasi otto
anni di assenza (le ultime due erano state al Fantastico della Carrà e
ancora con Baudo nel '94) e dopo il successo planetario de La vita è bella,
ma anche a causa dell'(idiotissima) provocazione lanciata da Giuliano Ferrara,
che aveva minacciato di lanciare uova marce a Benigni se si fosse
azzardato a parlare ancora male di Berlusconi. Una polemica così eccessiva e
ridicola da essere stata montata sù con ogni evidenza più per mania di protagonismo e fini autopromozionali del suo quotidiano
che per vero spirito reazionario. E' stata però l'occasione per tornare
ancora una volta a parlare dei limiti della satira in televisione. Insieme ad
altri articoli pubblicati sull'ultimo numero uscito di "Adesso" vi
proponiamo quindi di seguito un'intervista realizzata lo scorso anno con uno dei
maestri della satira italiana, il poeta e umorista Stefano Benni.
“Dario è un mio
grande amico e quello che dice lo apprezzo, ma non è tutto vero perché la
comicità italiana al 90% è comicità di regime, di tormentone. Esistono invece
alcuni che più che comici io definirei artisti, che usano il comico come
tonalità, e questi toccano temi seri, e la gente giustamente crede a loro. Si
sono meritati, gente come Dario o Beppe, di essere ascoltati come e più dei
politici, ma questo dipende dalla loro serietà, non dalla loro comicità”
In televisione,
secondo lei, c’è vera satira?
“In televisione, è
tutta o quasi tutta comicità prevedibile e di regime. Quindi oggi essere comico
o fare satira non vuol dire molto. Molta satira a me non piace, non è più
facile come una volta. Una volta la satira era un genere raro, quindi per il
fatto stesso di fare satira era una sfida. Ricordo che quando io ho cominciato a
fare pezzi di satira su Panorama non c’era molta gente che lo faceva, dopo è
diventato il corollario di qualsiasi giornale… Penso che Dario pensasse ad
alcuni artisti molto particolari. Ad esempio: Benigni per me è assolutamente il
regime del regime del regime. Questo è quello che penso io, poi è il pubblico
che decide a chi credere e chi no. Dario è una persona a cui la gente crede
ancora molto. Avrebbe anche potuto fare il sindaco di Milano, anche se forse
sarebbe stato una disgrazia!”.
Come vede oggi
Bologna, la sua città?
“Bologna è sempre
stata considerata un’isola felice; è una città ricca, con una florida
borghesia. Questo passaggio a destra dell’amministrazione era nell’aria da
anni. Bologna, più che a una città rossa,
mi fa pensare alla Svizzera - con tutto il rispetto per la Svizzera - una
città di benestanti... il centro storico esiste in funzione dello shopping: da
anni ormai nessuno si siede più sulle scale di Piazza Maggiore, il tenore di
vita è alto, basti pensare che un pasto completo nelle osterie di fuori porta
costa più di trentacinquemila lire, non proprio un prezzo da osteria!”.
Come è cambiata
rispetto agli anni Settanta?
“Negli anni Settanta Bologna era mitizzata, ma già le osterie di Guccini e Dalla andavano scomparendo, e l’università era guidata da un Rettore di destra. Erano anni in cui si credeva in un’ideologia, si sceglieva. E tra i ragazzi, tra gli studenti universitari, si avvertiva l’esigenza di una formazione culturale personale, c’era più curiosità intellettuale; io stesso leggevo Ezra Pound e Céline, dei baluardi della destra, ma volevo conoscere, volevo esprimere la mia opinione. Mi ricordo che a scuola leggevo sottobanco Edgar Allan Poe e i professori mi rimproveravano, perché erano cose che a scuola non si potevano leggere, perché non era cultura. Per noi, in quegli anni, Poe, i fumetti, il rock, erano cultura, non sottocultura. Il tempo ci ha dato ragione. Alla fine degli anni settanta lanciai una provocazione: dissi che il “Premio Strega” era sottocultura e che Ozzy Osborne, che cantava con un pitone vivo intorno al collo, era cultura. Era una provocazione. La sottocultura è un prodotto scadente all’interno di un codice. Nel campo letterario, il “Premio Strega” è sottocultura perché è solo un accordo tra case editrici per spartirsi i premi e lanciare casi editoriali sul mercato. Ozzy Osborne, invece, nel campo del rock, è rappresentativo perché anticonformista, contestatore, provocatore. Quando oggi sento le canzonette alla radio che si definiscono rock, mi arrabbio: il rock è nato per contestare, per gridare, è stata una grande espressione culturale. Rispetto a venti anni fa, oggi la formazione culturale del cittadino è più omologata, già pronta, preparata, controllata”
Chi
è STEFANO BENNI
Stefano Benni, giornalista, scrittore, autore di teatro e regista cinematografico con Musica per vecchi animali nel 1989, ha pubblicato per la Feltrinelli negli anni ‘80 raccolte di poesie, ballate e racconti di grande successo, come Prima o poi l’amore arriva, Terra!, Ballate; suo il romanzo cult degli anni settanta Bar Sport; l’ultimo libro pubblicato è Spiriti. A Bologna ha fondato la “Pluriversità della scrittura”, una serie di incontri che propongono un’alternativa al concetto di “università”, al sapere “unico e omologato” proposto dalla scuola italiana. Attualmente sta girando l’Italia con uno spettacolo in cui recita un suo vecchio testo, Blues in 16, e l’inedito One-Hand Jack, accompagnato dal violoncellista Paolo Damiani.
(tratto da Adesso n.25 - maggio 2001)