TELEVISIONE,
TELEVISIONE
di
Arnaldo Casali Ce lo
ripetono da anni ormai: "Perché Sanremo è
Sanremo". Questo
slogan-tormentone, che rappresenta bene quanto il Festival di
Sanremo sia da tempo diventato un evento autoreferenziale
(e cioè fine
a sé‚ stesso) è stato coniato, non a caso, alla
fine degli anni '90, nel momento in cui il Festival
poteva giustificare il clamore, gli indici di ascolto,
l'interesse dei giornali solo ed unicamente per il fatto
stesso di essere
“Sanremo” e cioè la tradizione più radicata nel cuore
degli italiani,
l’unica occasione (insieme ai mondiali di
calcio) in cui ci sentiamo tutti - giovani e anziani,
plebe catodica e
intellettuali snob - un'unica grande famiglia. E' il
momento in cui anche la Televisione sembra tornare indietro,
ai tempi in cui c'era un solo canale: le prime serate
delle reti rivali sotterrano l’ascia di guerra
dell’Auditel e non tentano
nemmeno il confronto; al contrario, tutti i varietà e
le rubriche televisive trasferiscono le loro redazioni nella
città ligure: da Domenica In a Quelli che il calcio,
da Striscia la notizia a Le Iene; in passato lo
stesso Maurizio Costanzo si era
spostato durante la settimana fatidica al teatro del
casinò, mentre quest’anno
- come lo scorso anno - è restato al Parioli dando
luogo alle note polemiche su Panariello e Teocoli. Il
legame tra Sanremo e TV, d’altra parte, è sempre stato
strettissimo. Il Festival della canzone italiana -
allora alla sua quarta edizione - fu uno dei padrini di
battesimo della neonata Televisione pubblica, e da allora il
sodalizio si è sempre
più rafforzato fino a trasformare Sanremo soprattutto
in un evento
televisivo. Non è un caso che il presentatore per eccellenza
del Festival non sia Nunzio Filogamo (prematuramente ucciso da
Pippo Baudo cinque anni fa, e morto davvero quest'anno) ma
Mike Bongiorno, che è l’essenza stessa della Televisione,
tanto che al di dei dibattiti (riproposti anche durante le
serate sanremesi) sull’autenticità dei suoi capelli, ci si
potrebbe piuttosto domandare se egli stesso esista veramente
anche al di fuori del
tubo catodico. L’unico
momento in cui la televisione fu quasi sul punto di
non trasmettere più
il Festival - ci raccontano i più grandi a noi nati negli
anni '70 - fu proprio in quegli anni, quando i
nuovi cantautori lo disertavano in massa, vincevano
gruppi come gli Homo Sapiens,
e seguendo l’esempio degli show televisivi e del Festivalbar fu introdotto il playback (che sarà abolito nel
1987, mentre per l'orchestra bisognerà aspettare fino al
1990). La
crisi è passata con gli anni '80, sotto il segno di Cecchetto
e Baudo, e da allora Sanremo è tornato ad essere il grande
evento televisivo che conosciamo. Evento televisivo e basta,
però. Ormai lo si dice da anni. Se nelle sue cinquanta gloriose edizioni Sanremo ha lanciato ed ospitato la maggior parte dei cantanti italiani, da Modugno a Celentano, da Mina a Vasco, da Zucchero a Jovanotti, e ne ha scoperti altrettanti (Ramazzotti, Masini, Bocelli, Pausini, Neri per caso) nelle ultime edizioni il Festival si è ridotto ad una vetrina per giovani emergenti e vecchie glorie sulla via del tramonto. L’attenzione si è così concentrata sulle vallette e sui loro vestiti, sulla scelta dei presentatori (sempre più improbabili e impacciati) e sul dopo Festival: vale a dire, su tutto ciò che c'è intorno all’Evento, più che su quello che c’è dentro. Basta pensare per un attimo ai titoli delle canzoni vincitrici per osservare la progressiva degenerazione subita dall’evento nel corso degli ultimi dieci anni, quando si è passati da canzoni importanti come quelle dei Pooh e Cocciante, a quelle decisamente più modeste di Barbarossa-Ruggeri-Baldi-Giorgia-Ron, per arrivare alla degenerazione assoluta che - passando per i Jalisse - ha raggiunto il suo apice nella vittoria della mancata Miss Italia -masiccomesonociecaqualcosadevopurvincere - Annalisa Minetti nel 1998 (“Ringrazio Dio per essere cieca se è per questo che ho vinto” dichiarò dopo la vittoria). Così, se negli anni del grande cinema italiano di Mediterraneo, Il postino e La vita è bella i David di Donatello (gli Oscar italiani) sono rimasti completamente nell’ombra (solo nel 1998 Raiuno ha ripreso a trasmettere la diretta, ingessatissima e impacciata, mentre per uno spettacolo vero e proprio abbiamo dovuto aspettare l’edizione 2001 condotta da Chiambretti) Sanremo è restato uno scatolone vuoto che ha continuato però a brillare; un evento che la Rai continua a guardarsi bene dal farsi scippare da Mediaset, anche se qualche anno fa il Sindaco della città dei fiori non escludeva questa eventualità; ad ogni buon conto la Rai si è assicurata l'esclusiva per un altro quadriennio, sembra, per cinquantaquattro miliardi l’anno. |
(da Adesso n.14 - febbraio 2000)