Profilo
di Enrico Brizzi
e del suo impeccabile stile
a cura di Arnaldo Casali
Intro
presto sarebbe volato via pure quello stupido febbraio e il vecchio Alex si sentiva profondamente infelice ma in modo distaccato, come se la sua vita appartenesse - sensazione fin troppo tipica e cruda ne convengo - a qualcun altro
ma non ghignate, per favore, poiché all’epoca il vecchio Alex non aveva ancora compiuto diciott’anni e in quei giorni il cielo di Bologna era espressivo come un blocco di ghisa sorda e da simili espressività non avreste potuto aspettarvi nulla d’esaltante, neppure uno di quei bei temporaloni definitivi che lavano le strade e da quasi due settimane la città giaceva tramortita sotto una pioggia esangue senza nome
quale conoscente del vecchio Alex e persona informata dei fatti mi limiterò ad aggiungere che una certa storia con una ragazza gli appariva ormai sfumata nel ricordo, gualcita dallo squallore sbalorditivo della vita di tutti i giorni: essere stato terribilmente felice con lei per quattro mesi gli sembrava - ecco un’altra delle sue sensazioni più crude - non fosse servito a niente
(da
Jack Frusciante è uscito dal gruppo)
Alex, Jerry, Enrico e Oscar
Anche se i giornali ternani non se ne sono nemmeno accorti (impegnati com’erano con gli amanti di Montecastrilli e il falso medico) il 14 gennaio
2000 il centro culturale di via Aminale di Terni ha ospitato uno dei più importanti scrittori italiani contemporanei: Enrico Brizzi, che con
Jack Frusciante è uscito dal gruppo è diventato il nome simbolo della letteratura italiana giovanile degli anni '90. L’occasione è stata la presentazione del suo ultimo libro, uscito in autunno:
Elogio di Oscar Firmian e del suo impeccabile stile (vedi Adesso n.13).
La conferenza, cui hanno partecipato anche la direttrice della Biblioteca comunale e Cristina Gaspodini, autrice del libro-intervista
Il mondo secondo Frusciante Jack, è stata introdotta dall’assessore alla cultura Alida
Nardini.
Dopo una veloce presentazione del nuovo romanzo Enrico ha dato spazio alle domande dei moltissimi ragazzi presenti, che dopo un timido inizio hanno preso sempre più vivacità tanto da continuare davanti l’ingresso del centro culturale quando, in ora di chiusura, tutto il gruppo, con in testa lo scrittore venticinquenne, è stato ‘sfrattato’ dall’edificio.
Il lavoro dello scrittore
«Il lavoro di stesura è quello più breve. E' un momento in cui bisogna dare sfogo all'idea, assecondarsi, essere molto indulgenti. Tutto il lavoro dopo è quello di guardare quello che hai scritto con uno sguardo esterno, e poi riscrivere tutto una, due, dieci volte. Sei un lavoratore senza orari. Ci sono giorni che non fai niente e altri che lavori sedici ore. Certo, rispetto a un operaio francamente stai più comodo, non hai nessuno che ti controlla. Allora o fai male il tuo lavoro, o cerchi essere custode di te stesso».
Lo scrittore e il popolo
«Io sono assolutamente contrario all’idea dello scrittore che lavora staccato dal mondo. Il Leopardi del caso ha già dato nell’Ottocento e secondo me non dice più niente. Certo è difficile anche parlare dello scrittore come espressione del popolo, perché chi lo sa cos’è il popolo? Tutti siamo un po’ malati di punti di riferimento; quelli più grandi di noi ci raccontano che quando c’erano i primi televisori si guardava la televisione anche in quaranta, adesso la gente non sa più come si chiama il vicino di casa. Quando vedo le finestre blindate, quindici grate davanti le porte, non posso non notare che
qualcosa è cambiato. Sicuramente però credo che lo scrittore deve essere nel mondo. Soprattutto io non penso a me come ad uno scrittore; penso a me come a uno scrittore, un vespista, un ascoltatore di musica, una persona innamorata, uno che ha un fratello e dei genitori. Si è tante cose contemporaneamente, se uno si vive solo come una di queste, forse ha già perso la rotta. Non credo allo scrittore come ad una sorta di specie in estinzione, però se ci sono centonovantamila meccanici o punti rifornimento di miscele, non capisco perché non debbano esserci delle aree in cui si cura qualcos'altro che non sia la macchina; ci vorrebbero dei posti dove i ragazzi possano essere consigliati, non solo dal Baricco del caso che apre la scuola a pagamento, ma anche da chi si sente
popolo».
L’industria culturale
«Un disagio dell’industria culturale che io sento davvero in modo pressante è il rapporto con i giornali. A me sembra che io scrivo oggi e la recensione esce ieri l’altro, come se si parlasse di due cose diverse. Questo forse è un fatto generazionale, nel senso che di recensori venticinquenni ce ne sono pochi, di settantenni tanti; lo scriveva già Tondelli dieci anni fa: finché non ci sarà un ricambio generazionale anche fra i recensori addetti alle pagine culturali, i giornali non avranno mai un dialogo vero con quello che di nuovo si muove nella scrittura».
La scuola
«Questa tua capacità di scrivere così bene - ha chiesto un’insegnante intervenuta - è innata o la scuola ha fatto qualcosa in questo senso?».
«Vorrei ricordare in particolare la figura del mio preside...» ha risposto Enrico ridendo. «Quello che voglio dire - ha continuato - è che non credo che sia un’abilità innata. Credo che sia un’abilità che, se c’è, va coltivata. La scuola è stato un posto da cui sono arrivati stimoli come mi sono arrivati da tante altre parti, solo che magari dalle altre parti non ti trattenevano cinque ore per forza».
Alessandro Baricco
«Ma perché ti sta sulle palle Baricco?»
«Mi sta sulle palle l’idea di trattare la scrittura come qualcosa che si insegna a pagamento. A prescindere da questo non mi piace come autore. Trovo la sua scrittura banale, mi sembra che tenda a semplificare concetti che non lo sono. Secondo me, per certi versi è la quintessenza di quello che non è scrittura».
La musica
«La musica di Jack Frusciante è quella che ascoltavo e che suonavo con i miei amici. Certe canzoni sono come un codice, un’intesa per chi le ascolta. Credo che la differenza tra chi ascolta Ricky Martin e chi ascolta altro non stia solo in sette note suonate in modi diversi: da un lato c’è il parlare di libertà, di sensualità, di insurrezione, di sentimenti e terremoti veri, dall’altro di centri commerciali o oroscopi o che so io.
In generale mi piace il rock. Del rock 'n roll anni '50 mi piacciono Gene Vincent e Jerry Lee Lewis, mentre Elvis non mi dice niente. Mi piacciono i Rolling Stones e quello che hanno voluto dire con il recupero di una tradizione blues, ma con una carica diversa. Mi piacciono certi album dei Beatles: non mi dice niente
Love me do, ma Revolver, Sgt.Pepper o il White Album credo siano inarrivabili. Gli Who sono proprio in mezzo alla strada tra gli anni '60 e il punk. Sono un ponte, o passi da lì o passi nel baratro. Il baratro si chiama musica Progressive. (Be’, a me non piace, ma i gusti sono gusti). Con il punk si sono aperte un sacco di situazioni perché non bisognava essere più così selezionati come musicisti per suonare, e agli occhi di chi ha certe idee su cosa deve essere uno scrittore e su cosa deve essere un popolo questo è un bene. I Sex Pistols ti irradiano anche con un album solo, i Clash sono stati un passo ulteriore, perché al punk puro hanno aggiunto un sacco di altre cose come lo Ska. Tra gli italiani mi piacciono i Diaframma, gli Skiantos, gli Statuto, i Marlene Kunz. E poi Vasco, lascia stare come è adesso, ma quando vent’anni fa cantava “Vado al massimo”, tu lo vedevi suonare con il suo gruppo e capivi che stavano andando al massimo veramente.
Una musica che ho fatto fatica ad apprezzare e che invece adesso mi piace molto è la musica elettronica. Ovviamente non sto parlando di
Molella, è chiaro, ma di cose come Fatboy Slim, o i Chemical Brothers».
Bologna
«Diciamo che i lati buoni di Bologna sono abbastanza da coprire quegli altri. E' un posto che ti garantisce stimoli e tranquillità. Non mi piacerebbe vivere in una città grande dove non potrei andare in Vespa dappertutto e dove ci metto un’ora per andare da una parte all’altra; allo stesso tempo non mi piacerebbe una città dove posso andare tranquillamente a piedi ma non c’è un cinema e se ce ne sono due uno fa
La bella e la bestia e l'altro Pieraccioni».
Il successo
«Per l’aspetto provinciale della città è cambiato qualcosa. C’è chi ti vede passare da quando sei nato. Chiaro che cambia qualcosa quando il nipote della signora Accorsi scrive un libro; ma a parte qualche sporadica intercettazione, posso farmi i fatti miei molto tranquillamente. Semmai sono cambiati i rapporti con determinati amici, sulle prime, soprattutto con quelli che come me, forse da più tempo di me, avevano desiderio di pubblicare; quello è stato l’aspetto più brutto: il fatto che invece di brindare con te si sono bevuti tutto loro e poi ti hanno tirato la bottiglia... anche se devo dire che sono state malattie passeggere, le persone a cui tenevo sono tornate tutte».
La droga
Il consumo di droghe ricorre spesso nei romanzi di Enrico Brizzi, e visti i recenti dibattiti sulle droghe sintetiche l’assessore Nardini ha chiesto ad Enrico di esprimere il suo parere.
«Io credo che il problema stia proprio nel modo in cui si pone il problema, e cioè nel considerare questa generazione come un eterno minore da proteggere. Un conto è tutelare il ragazzino delle scuole medie, e questo è sacrosanto secondo me. Ma non si può continuare a pensare che i ragazzi «vanno protetti dai cattivi che gli regalano la droga». La droga si compra, non è che te la regalano, e costa anche cara. Secondo me il punto non è il problema della droga sintetica. Il problema è di chi non ci sta con la testa ed esagera con le cose. Ma chi esagera con le cose, prima di esagerare con l’ecstasy esagera con la macchina, esagera con l'alcool, esagera con il dire sciocchezze. Insomma, si ha una visione poco realistica del problema, e poi ci si sente con la coscienza a posto a dire «mio figlio Gianluigi di trentasette anni frequenta cattive compagnie».
I Maestri
«Una mattina, albeggiava appena, terminata la lettura di Due di due dell’Andrea De Carlo quel matto aveva deciso con una fermezza giovanile di natura febbricitante e apparentemente superumana che nulla sarebbe più stato come prima».
Andrea De Carlo è uno dei modelli di Enrico Brizzi. tra i suoi libri “di formazione” Enrico cita spesso anche il suo romanzo di esordio: Treno di panna.
L’INTERVISTA
Enrico Brizzi
non Jack Frusciante
Quanto credi che l’ambiente in cui sei cresciuto abbia contribuito alla tua formazione culturale? Pensi che se anziché crescere in una città vivace come Bologna fossi nato a Terni figlio di un operaio saresti diventato lo stesso quello che sei?
Mi ritengo indubbiamente fortunato di vivere a Bologna. Senza essere l’ombelico del mondo è un posto dove trovi molti più stimoli e
possibilità che altrove. Prima quella signora, credo un insegnate, mi ha chiesto «la scuola che ti ha dato?» poi subito dopo se ne è uscita. Ecco, più che la scuola riconosco la fortuna di essere cresciuto in una casa piena di libri.
Personalmente credo che tu come autore abbia molto in comune con Ligabue. Per quello che riguarda le ambientazioni, lo stile, ma anche i punti di riferimento. E credo che
Radiofreccia - Stefano Accorsi a parte - si avvicini molto, anche nei contenuti e nella poetica, a
Jack Frusciante.
Non ho visto Radiofreccia e non ho letto il libro. Su questo ha pesato il fatto che io abbia incontrato una volta Ligabue alla Baldini & Castoldi. E’ andata così: ci hanno presentato: «piacere Ligabue» «piacere Brizzi», e lui «chi!?!». Allora l’editore gli ha fatto: «be’, lui ha scritto
Jack Frusciante è uscito dal gruppo», e Ligabue: «Oh, io non ho mica il tempo di leggere tutte le cose che escono!».
Credo che sia un po' inevitabile che se hai un’esperienza negativa con una persona poi non sei molto ben disposto verso le cose che fa.
A proposito di Stefano Accorsi, prima hai detto che tua nonna si chiama Accorsi...
Sì, ma non è mio parente.
In realtà volevo sapere se ti piace come attore. Tre anni fa ci siamo incontrati a Roma e mi hai detto che non lo ritenevi adatto ad interpretare il vecchio Alex. Hai visto altri suoi film?
L’ho visto in I piccoli maestri, e mi è piaciuto. Secondo me è bravo.
Nei tuoi libri manca completamente un autentico rapporto d’amore e di amicizia con una donna. Le ragazze hanno una funzione che è solo romantica o sessuale. In
Tre ragazzi immaginari quando il protagonista va a letto con Chiara è pieno di sensi di colpa, ma tutti nei confronti dell’amico che è stato fidanzato con lei, non si fa invece nessuno scrupolo di tradire la sua ragazza. Quindi c’è una visione molto cameratesca di valori come la fedeltà e l’amicizia.
E’ vero. Anche nella vita credo che sia molto più facile avere degli amici sinceri maschi che essere amici con una donna. Io credo di avere un paio di amiche donne in mezzo a un centinaio di amici uomini. Hai ragione, nei libri precedenti a
Oscar Firmian è sempre mancata l’idea di riuscire ad avere un rapporto pieno con una donna, un rapporto che non fosse solo la caricatura romantica o l’inseguimento di qualcosa che non succede, come accade in Jack Frusciante (non perché non succede che vanno a letto, ma perché non succede che diventa un amore maturo. Resta ad un livello di tensione verso).
La cosa non mi stupisce perché credo che nella mia vita non sia stato molto diverso, fino a poco tempo fa.
Quando si legge un romanzo di carattere autobiografico è inevitabile chiedersi cosa sia vero e cosa no. Ad esempio l’Assiro di
Tre ragazzi immaginari e Martino di Jack Frusciante sono due personaggi che hanno molto in comune. Sono esistiti veramente o sono la proiezione di uno stesso personaggio?
Credo siano la proiezione di più personaggi che ho conosciuto. Certi personaggi, soprattutto in Jack Frusciante, sono veramente delle persone che camminano per Bologna con un altro nome, negli altri libri capita che sono magari due persone che hai conosciuto messe insieme in qualcosa che nella vita reale non esiste.
Una ragazza di Bologna che sosteneva di essere cugina di un tuo amico (o amica di un tuo cugino, non ricordo bene) mi ha detto che Aidi esiste veramente e si chiama proprio così.
Sì, è vero.
E tu, non ti sei stancato di essere chiamato Jack Frusciante? La tua «autobiografia» si chiama
Il mondo secondo Frusciante Jack e la terza di copertina di Tre ragazzi immaginari
esordisce addirittura dicendo “Jack Frusciante è cresciuto?” dimenticando che il protagonista del romanzo si chiama Alex. A me francamente ha dato molto fastidio.
Anche a me ha dato fastidio. L'editore fa i suoi conti e crede che puntare sulle consonanze con quel romanzo che ha venduto di più sia meglio. In realtà è un tentativo molto goffo. E' una roba che mi tocca patire; chi ha lo sguardo per distinguere probabilmente si rende conto in che senso le copertine sono degli editori e le pagine dentro sono degli autori.
Era abbastanza prevedibile che qualche passo di Jack Frusciante sarebbe finito su una maglietta...
Ma dimmi che hai visto quella con scritto “Stefano Brizzi”!
Sì, appunto.
Ce l'ho a casa!... è successo così: appena la Baldini & Castoldi ha fatto il contratto con Parole di cotone per fare la maglietta ufficiale, questi qua hanno sorpassato e sono partiti subito con 'sta roba, illegale chiaramente, in cui per non citare il nome esatto dell'autore hanno scritto “Stefano”.
In Tre ragazzi immaginari c'è una specie di giornalista che ti telefona per un intervista e continua a chiamarti Stefano. Quindi era una che ti aveva conosciuto tramite la maglietta?
Sì, è così.
Il protagonista di Jack Frusciante è un cattolico praticante, che va a messa, si confessa e critica l’ipocrisia delle perbeniste ingioiellate in prima fila. Qual’è attualmente il tuo rapporto con la religione?
Ho avuto un’educazione cattolica, in cui però non mi ritrovo più da anni. Non mi ritrovo né nella Chiesa né nell'idea stessa di Dio. Non mi ritrovo nel monoteismo, direi. Mi sento più animista.
Allora sei un seguace della New Age!
No, per carità, sto solo scherzando.
Comunque non ti consideri ateo.
Non mi considero ateo nel senso che non posso affermare che Dio non esiste. La mia posizione è che se esiste o no, noi da qua non possiamo saperlo e che o hai la fede o l'hai persa. Io l'ho persa.
Tu hai dichiarato scherzosamente di conoscere il futuro papa, un seminarista bolognese chiamato Benedetto Zuppiroli. E del papa attuale cosa pensi?
Sinceramente come persona lo stimo. Rispetto a quello che hanno fatto altri papi non è stato comodo neanche un po’, s’è sbattuto per un sacco di cose. Però nello stesso tempo per il fatto stesso di essere papa forse sei nella posizione di frenare o controllare certi scandali, o forse no, questo non lo so. Certo che il mio papa idolo sarebbe quello che arriva e sputtana tutti i vari
Marcinkus e Opus Dei.
Jack Frusciante è attraversato da grandi ideali. Bastogne, al contrario, è caratterizzato da un totale nichilismo.
Tre ragazzi immaginari mette a confronto il diciassettenne idealista di un tempo con lo scrittore ventiquattrenne di oggi. Ecco, quella spinta idealista che sentivi a diciassette anni ti appartiene ancora?
Non mi sento disilluso, se è questo che vuoi dire. Credo che certe cose allora fossero un po’ naif, ovvie, e non andrebbero bene adesso. Ma sul fatto che non si tratta di sedersi e mettersi a guardare il fiume che passa, ci credo anche adesso.
Quali sono i tuoi ideali, oggi?
Credo che ci sia quella vecchia super-frase risolutiva che dice “La rivoluzione comincia davanti allo specchio”. Non credo nella politica come modo di cambiare le cose. Credo che se uno finisce per sciogliere la sua personalità e identificarsi solo con un gruppo priva anche gli altri di tante ricchezze. Credo in delle strutture agili, mobili e cangianti, per cambiare le cose. Credo nell’autoconsapevolezza.
E con il tuo mestiere pensi di poterlo cambiare, il mondo?
Con i miei libri credo di mandare avanti la mia visone del mondo, e la mia visione è che non ci sarà un Messia, né tantomeno un duce che ci salverà. Noi possiamo sbatterci per la nostra parte, poi se basterà davvero non lo sappiamo, ma proprio per questo il nostro sbatterci è più valido, perché è gratuito e senza certezza di un risultato.
Chi è Enrico Brizzi
Enrico Brizzi è nato a Nizza il 20 novembre del 1974 ma è cresciuto e vive a Bologna.
E’ stato dieci anni nei Boy-Scout, si è diplomato al Liceo Classico e studia Scienze della Comunicazione.
A sedici anni scrive il suo primo racconto, di ambientazione fantascientifica, chiamato
Hard Boiled, che spedisce ad una quarantina di editori. L’unico a rispondere è Massimo Canalini di Transeuropa, che lo segue e gli ha dà dei consigli, fornendogli anche una lista di libri da leggere, alcuni dei quali influiranno molto nella genesi di
Jack Frusciante.
Intanto realizza giornalini di controinformazione a scuola e arriva secondo a un concorso lanciato dal mensile
King, con un racconto chiamato Freaky Stiley (dal titolo di una canzone dei Red Hot Chili Peppers). Nel 1994 la Transeuropa pubblica
Jack Frusciante è uscito dal gruppo, che ottiene subito un grandissimo successo di pubblico e critica e arriva finalista al premio Campiello. Nel 1995 lo prende in mano esce la Baldini & Castoldi, che pubblicherà anche tutti i romanzi seguenti.
Nel 1996 esce Bastogne, che suscita polemiche e delude gran parte del pubblico perché anziché scimmiottare il predecessore ne prende radicalmente le distanze con uno stile, un ambientazione e una storia completamente diverse. Nel '97 pubblica un libro per bambini e un volume di fumetti.
Sempre nel 1997 esce il libro di giochi linguistici Povero Pinocchio, realizzato da un gruppo di studenti di Umberto Eco, tra i quali c’è lo stesso
Brizzi.
Nell’estate del 1998 Cristina Gaspodini, laureanda in Lettere all'Università “La Sapienza” con una tesi sulla piccola editoria in Italia nel decennio 1986-1996 lo incontra ad Ancona per intervistarlo; quelli che dovevano essere cinque-sei giorni diventano due mesi e l'intervista un’“autobiografia non autorizzata”. Nell’autunno dello stesso anno esce
Tre ragazzi immaginari, che Enrico dedica a Cristina e all'amica Alessia.
Nel febbraio 1999 è membro della giuria di qualità del Festival di Sanremo insieme a José Carreras, Fernanda Pivano, Amadeus e Carlo Verdone, in autunno esce il nuovo romanzo. Attualmente sta
lavorando a dei racconti.
Chi è Jack
Frusciante
Jack Frusciante, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, entrò nella band per sostituire l’attualmente morto Hilliel Slovak. In realtà il suo nome è John, ma nel libro è diventato Jack per evitare eventuali grane legali.
Nel 1992 Jack Frusciante è uscito dal gruppo, e il vecchio Alex si domanda, nel romanzo che porta il suo nome, perché il chitarrista abbia rinunciato ad una carriera d'oro «proprio adesso che arrivavano il disco d'oro, i Grammy Awards, la fama e la sicurezza». L'uscita dal gruppo come rifiuto del sistema acquista così un valore simbolico per il protagonista del libro.
Nel 1999 “Jack” Frusciante si è riunito ai Red Hot Chili Peppers in occasione del nuovo album
Californication. Per l’occasione è uscita anche una biografia della band californiana chiamata
John Frusciante è tornato nel gruppo che contiene anche - ovviamente - un intervento di Enrico
Brizzi.
La politica
«Quel che auspico io, è centomila chilometri lontano dalla visione di Berlusconi, un bel po’ lontano dalla visione di D’Alema e un bel po’ distante anche da quella di Rifondazione Comunista. La mia - e in questo senso è veramente una visione - è una visione che non ha a che fare coi partiti politici. Né con l'economia. Né con l’ideologia. Un governo dovrebbe preoccuparsi del benessere dei cittadini - questa è la prima cosa, secondo me.
Preferisci vivere in un paese felice o in un paese ricco? In un paese felice, mi par chiaro. Tutte le peggiori stronzate, invece, facci caso, ma vengono argomentate lanciando l'offa “Saremo più ricchi!” “Ci sarà più stabilità economica!” e “I Francesi ci rispettano!”... Invece si vende soltanto più Prozac. E vai con le visioni!».
da Il mondo secondo Frusciante Jack