Intervista
allo storico Alfonso Marini
La
Chiesa e la guerra
di Arnaldo Casali
Alfonso Marini, storico
e francescanista, insegna Esegesi delle Fonti Storiche Medievali all’Università
“La Sapienza” di Roma ed è autore – tra l’altro – del libro "Sorores
alaudae – Francesco d’Assisi, il creato gli animali”. Ha curato
recentemente “San Bernardo di Chiaravalle, I templari e la seconda crociata”
(Piemme 2002) che raccoglie gli scritti del monaco cistercense ai crociati.
In
occasione del conflitto in Iraq la Chiesa cattolica si è schierata nettamente
contro la guerra, eppure la Chiesa pacifista non è stata mai. E vero?
“Il
pacifismo, inteso come rifiuto delle armi, nella Chiesa è scomparso nel IV
secolo, da quando cioè – dopo Costantino - l’impero romano si è
identificato con il cristianesimo. Va detto comunque che prima chi faceva il
servizio militare doveva rendere culto all’imperatore, quindi il rifiuto dei
cristiani non era solo quello di uccidere”.
Sta
di fatto che i cristiani non svolgevano né attività militari né accettavano
incarichi pubblici che prevedevano la condanna a morte.
“Abbiamo
notizie di martiri – come San Massimiliano – che rifiutano di prestare il
servizio delle armi. Non è di poco conto, però, che anche molto tempo dopo
coloro che svolgevano vita religiosa, come penitenti e terziari francescani, non
erano obbligati al servizio militare. D’altra parte c’è sempre stata la
proibizione a tutti i religiosi di portare armi, anche solo per andare a
caccia”.
I
monaci quindi potevano esortare alla guerra ma non combattere?
“Bernardo
di Clairvaux, che è un grande sostenitore della guerra, ritiene che il monaco
non possa assolutamente combattere e accetta in monastero uno che aveva fatto
voto crociato sostenendo che ha scelto una ‘professione migliore’. Questo
rientra nella scala di valori di Bernardo: il monaco è in cima alla scala
sociale, anche al di sopra del clero e quindi non si macchia con il sangue”
Possono
benedire le guerre ma non si sporcano le mani.
“Possono
benedire e predicare la crociata, se richiesti dal Papa. Bernardo negli anni
’30 del XII secolo scrive il suo “Trattato di lode per la nuova
cavalleria”, che è quella dei Templari, il primo ordine monastico di
guerrieri, ai quali lui era stato vicino sin dalla fondazione, nel secondo
decennio del XII secolo. Tra i voti della regola dei templari c’era quello di
combattere, e sembra che il santo ne sia stato uno degli ispiratori. In questo
testo esalta la grande novità di questi monaci che portano le armi per
difendere i cristiani in Terra Santa. Anche se dal suo punto di vista è
importante la scelta non solo di uccidere, ma soprattutto di morire per Cristo,
che rende martiri. Per Bernardo il templare è esente da peccato perché non
uccide per vanagloria, come la cavalleria aristocratica. I templari quindi sono
esenti dal peccato e sicuri della salvezza: sono beati se uccidono il
“pagano” ma ancora più beati se muoiono in combattimento. “Nella morte
del pagano Cristo è glorificato” scrive Bernardo.
Non
siamo molto lontani dai kamikaze islamici...
“La
più grande differenza è che manca il concetto di ‘uccidersi’, cosa che
peraltro non sarebbe stata possibile per le armi a disposizione a quei tempi, si
può però morire ed uccidere per il Paradiso”.
Perché
Bernardo usa il termine “pagani” anziché quello di “musulmani”?
“Ai
suoi tempi l’Islam era già conosciuto. Pietro il Venerabile – monaco
contemporaneo e avversario di Bernardo -
aveva cercato di combatterlo traducendo il Corano, quindi cercando di conoscerne
le basi. Bernardo però conosce molto poco questa religione. D’altra parte,
allora molti la consideravano un’eresia del cristianesimo, quindi una cosa ben
diversa dal paganesimo, un termine molto violento che pochi oltre a Bernardo
usano”.
La
guerra “santa”, quindi, non l’hanno inventata certo i musulmani.
“Chi
l’abbia inventata è difficile dirlo e bisogna risalire secoli prima. Bernardo
sostiene che quando si uccide un pagano non si
commette omicidio ma malicidio. C’è una demonizzazione letterale dei
nemici: i musulmani sono “Satelliti di Satana”.
Quindi
una vera e propria mistica militare?
“Sì,
e che è stata sempre presente nella tradizione cristiana, tanto è vero che
questo libro è stato ristampato anche negli anni ’60 dell’Ottocento in
quattro lingue, per l’esercito pontificio: siamo a pochi anni dalla presa di
Roma. Indubbiamente bisogna collocare Bernardo nel suo contesto, anche se credo
che le sue idee contengano parti indubbiamente discutibili per il cristianesimo,
anche per l’epoca. Tanto che già allora ci furono dei critici della crociata
e san Francesco nacque pochi decenni dopo”.
In
molti hanno cercato di vedere nel conflitto Iraq-USA, lo scontro di due civiltà.
Eppure per secoli l’occidente ha avuto ottimi rapporti col mondo arabo.
“Scontri
ce ne sono stati molti, ma per secoli non ce ne sono stati, il problema del
fondamentalismo islamico è nato con la questione della Palestina, dopo la
creazione dello stato di Israele. Non dimentichiamoci poi che se l’espansione
originaria del mondo islamico – nei secoli VII-IX – ha toccato anche
l’Europa, poi siamo stati noi, con le Crociate, a portare la guerra in quelle
terre. E non dimentichiamo che molti testi della filosofia greca ci sono
arrivati attraverso scrittori arabi. Riguardo al fondamentalismo, oggi si
identifica l’Islam col burka, eppure nel nostro immaginario collettivo il
mondo arabo è stato per secoli associato ad aspetti folklorisitici come la
danza del ventre, e qualcosa questo significherà. In realtà quelle che oggi si
tende a considerare caratteristiche peculiari dell’islamismo appartengono ad
un fondamentalismo di ritorno o derivano dall’espansione di abitudini rimaste
per secoli in zone isolate. Lo stesso jihad, di cui si parla tanto, nel Corano
è uno sforzo per la fede, innanzitutto verso se stessi. La guerra santa è solo
l’aspetto estremo del jihad e non è uno dei cinque pilastri della fede. E’
chiaro, però, che se si parte dal presupposto che la loro civiltà è inferiore
si elimina aprioristicamente ogni forma di dialogo, dalla superiorità culturale
si arriva a quella militare e quindi all’imposizione delle proprie
bandiere”.
D’altra
parte le crociate non erano solo scontri violenti, ma anche scambi commerciali
pacifici...
“Ci
sono stati scambi culturali, economici e anche militari. Molte volte i cristiani
si sono alleati con islamici per combattere altri cristiani, e viceversa. Un
autore arabo vissuto durante la seconda crociata racconta che mentre stava
pregando a Gerusalemme in una stanza messagli a disposizione dai templari, un
crociato molto violento lo prende per le spalle e lo malmena finché non
intervengono quelli che lui definisce “i miei amici templari” che lo
allontanano. Tra l’altro, uno dei motivi del fallimento della Seconda Crociata
è stata l’intransigenza dei crociati che venivano dall’Europa (non di
quelli che vivevano nei territori) guidati da ecclesiastici e che rifiutarono
l’alleanza offerta dal capo musulmano di Edessa. Si rifiutavano quindi
trattative diplomatiche con il nemico, un atteggiamento molto attuale, mi
sembra”.
E
Federico II fu scomunicato anche perché aveva chiuso la crociata senza
spargimento di sangue
“Federico
II era stato scomunicato perché non era partito per la crociata a causa di una
pestilenza che aveva colpito l’esercito. Quando partì riuscì ad ottenere
Gerusalemme e Betlemme, oltre che altri territori cristiani, attraverso
trattative diplomatiche. Per questo la scomunica viene confermata: perché non
si può trattare con i musulmani. Va ricordato che il sultano con cui trattò
Federico era lo stesso che dieci anni prima aveva accolto – con molta cortesia
– Francesco d’Assisi”.
Francesco
è considerato per eccellenza il santo della “pace”, anche se considerarlo
un “pacifista” è sicuramente un anacronismo...
“E’
vero che Francesco è figlio del suo tempo, ma in molte occasioni ha dimostrato
di andare oltre la mentalità dei suoi contemporanei. Sicuramente Francesco non
ha mai parlato della guerra, ma il fatto di andare dal sultano disarmato ha un
grosso significato. Al di là dell’episodio come lo raccontano le fonti, però,
a mio parere sono particolarmente significativi due testi scritti da Francesco:
uno sono le “Lodi di Dio altissimo” (il cui testo è conservato ad Assisi
sul retro dell’autografo a frate Leone) in cui vengono ripresi i “99 nomi di
Allah”, espressione della pietà musulmana. L’altra è il capitolo della
“Regola non bollata” in cui si dice come comportarsi con i musulmani,
invitando a non scontrarsi e nemmeno a predicare (almeno in un primo tempo), ma
semplicemente “confessarsi cristiani e vivere in pace con tutti”. Dei
rapporti tra Francesco e Islam si è occupato ad esempio Jeusset Gwenolé che in
“Rencontre sur l'autre rive” (Incontro sull’altra riva”) sostiene che
Francesco ha avuto un’ulteriore conversione dopo il viaggio in Egitto, per cui
“va a mani nude dal sultano e torna convinto che anche la Chiesa debba andare
a mani nude incontro all’Islam”.
Prese
di posizione nette contro la guerra ci furono dopo Francesco?
“Dirette
non ne abbiamo. C’è sempre una teorizzazione della guerra “giusta” fino
anche all’ultimo catechismo della Chiesa Cattolica (quello di Ratzinger),
anche se le condizioni sono tali da renderla quasi impossibile. Nel Medioevo
esistono delle frange minoritarie contrarie alla guerra in linea di principio,
soprattutto eretici e terziari laici. Da parte del Papato, invece, non c’è
mai stata una presa di posizione teorica contro la guerra, anche se fece
scalpore la definizione della guerra di Benedetto XVI come “inutile strage”
nel corso della Prima Guerra Mondiale. Un’espressione che fu molto contestata
e creò non poche difficoltà ai cappellani militari sul fronte italiano.
Poi
ci fu l’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, proprio
quarant’anni fa, forse la più chiara su questo tema”.
Lei
insegna all’Università, da sempre il luogo dove nasce “la contestazione”.
Come sono stati vissuti questi momenti alla “Sapienza”?
“La
verità è che non si è fatto granché. C’è stata una presa di posizione del
Senato Accademico, poi la Facoltà di Lettere e Filosofia è riuscita a far
approvare una mozione perché i docenti dedicassero una lezione speciale del
loro corso al tema della guerra. Esiste anche un Comitato contro la guerra della
Sapienza, cui aderiscono docenti, amministrativi ed ultimamente anche studenti,
che si muove con manifestazioni e documenti. La cosa più interessante è stata,
quando ancora si discuteva al consiglio di sicurezza dell'ONU, una lettera
contro la guerra inviata a Kofi Annan, che prese parecchie firme”.
Poi
c’è stato l’episodio del concerto di Riccardo Muti...
“Innanzitutto
si poteva avere la sensibilità di rinviare le celebrazioni per il centenario
della fondazione dell’Università, celebrazioni forse anche un po’ troppo
fastose vista anche la critica situazione economica dell’università. Invece
si è scelto comunque di iniziare le celebrazioni con il concerto di Muti al
quale non sono stati invitati i docenti né gli studenti, che però hanno
contestato l’evento entrando nella sala e interrompendo il concerto”.
Quali
altre iniziative ci sono state da parte degli studenti?
“La
relativa scarsità dei docenti che hanno preso posizione si è riscontrata anche
negli studenti: siamo l’università più grande d’Europa e abbiamo avuto in
tutto tre-quattrocento studenti che si sono mobilitati, e francamente mi sembra
un silenzio preoccupante, anche visto quello che è stato fatto nel resto
d’Italia. La nostra cappella universitaria, retta dai gesuiti, è stata la
prima ad esporre la bandiera della pace dentro la chiesa, eppure il giorno delle
ceneri, se la chiesa era piena di studenti, nel Piazzale, dove lo stesso giorno
era venuto a parlare padre Alex Zanotelli, c’erano quattro gatti. Mi domando
dove erano tutti gli studenti cattolici che erano andati a prendere le ceneri
nel giorno in cui il papa aveva dedicato il digiuno alla pace. Questo è molto
triste”.
Quindi,
paradossalmente, gli studenti in quest’occasione si sono sentiti poco?
“Gli
studenti sono pochi e poco attivi, ci sono collettivi che esistevano già da
prima e che hanno posizioni non sempre condivisibili. E’ paradossale, la
contestazione è sempre nata nelle università e in quest’occasione in cui si
è mobilitato tutto il mondo qui c’è stato un silenzio assordante”.
Il
suo Dipartimento, invece, quello di Studi Medievali, è molto attivo...
“Innanzitutto le uniche due bandiere della pace esposte in Facoltà sono le nostre. Ci siamo subito attivati spontaneamente scambiandoci le idee e abbiamo deciso di fare una lezione comune sulla guerra in medioevo. Giulia Barone ha parlato dei motivi economici, Umberto Longo della tematica della guerra nei padri della Chiesa, e io ho parlato di Francesco in Terra Santa. E’ andata molto bene tanto da decidere di farne un’altra l’8 maggio prossimo”.
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