Redenzione o autocelebrazione?
La Chiesa e le adunate oceaniche
Il Giubileo dei bambini del 2000
di
Il papa ha voluto iniziare la serie di
incontri oceanici con i fedeli che caratterizzeranno tutto l’Anno Santo con il
Giubileo dei bambini. Vogliamo vederlo come un’apertura verso il futuro, verso
la speranza che la Chiesa ripone nei più giovani; in questo un segnale
indubbiamente positivo.
Quella dell'incontro con il papa è stata poi sicuramente un'esperienza positiva
per i ragazzi e per i bambini: è stato un momento di aggregazione, è stata
l'occasione per vedere il papa da vicino, è stata una bella gita a Roma; è stato
anche, ci auguriamo, un modo per sentirsi Chiesa, per sentirsi parte di un
gruppo di persone che crede in qualcosa. Forse, però, è stato proprio quel
“qualcosa” a mancare. Perché oltre allo stare tutti insieme, ad applaudire il
papa e a cantare le canzoni scritte per l’occasione, non c'è stato alcun momento
per l’approfondimento spirituale, anzi, siamo arrivati addirittura al paradosso
che per festeggiare il Giubileo ci siamo persi la messa. «Non preoccupatevi - ha
rassicurato don Antonio Maniero a fine giornata - se non siamo stati a messa.
Quello che conta è l'intenzione». Certo, sarebbe ben misera una religiosità che
si riduce alla formalità di “prendere” o “non prendere” la messa, eppure forse
quello che accaduto non è completamente privo di significato, perché ha
dimostrato - comunque, al di là dei difetti di organizzazione - che in occasioni
simili è più importante sventolare i cappellini davanti alle telecamere che
pregare insieme. Ed è qualcosa che ci fa riflettere sul significato che tali
occasioni possano avere non tanto per i bambini ma per la Chiesa stessa. Perché
se per i bambini può essere un'esperienza positiva comunque, è innegabile che
per la Chiesa cattolica questi eventi hanno soprattutto la funzione di celebrare
sé stessa, di attirare l'attenzione del mondo sul Pontefice, di favorire il
culto della personalità. Che il Giubileo rischi di ridursi ad un fare “alé-ooh!”
davanti al Papa, che l'evento del 2 gennaio si sia ridotto ad un grande show
televisivo con tanto di tempi morti prima e dopo la diretta e prove per lo
sventolamento dei cappellini, è una verità scomoda, ma che non si può fingere di
ignorare. Non si può ignorare perché la superficialità con cui si dà più
importanza a tesserini, borsette e gadget vari piuttosto che ai momenti di
formazione è sintomatica di una catechesi che continua ad interessarsi quasi
esclusivamente a tutto ciò che è apparenza, cerimonia, formalità a scapito del
vangelo e dell'autenticità della fede. Ed è un atteggiamento, questo, di cui
paghiamo le conseguenze ogni anno, con la puntuale fuga dalle parrocchie dei
ragazzi appena cresimati.
Allo stesso modo è assurdo che durante il Giubileo dei bambini vengano proposti
al pubblico ed esaltati per le loro opere di “beneficenza” i calciatori della
Roma. Al di là delle loro esperienze personali, i giocatori di calcio
rappresentano quanto di più superficiale circonda i ragazzi; il mondo in cui
vivono, i loro stipendi miliardari sono la testimonianza di quanto più
sfacciatamente il mondo del calcio sia un’insulto alla cultura, all'uguaglianza
e alla giustizia sociale, e quindi anche all'impegno religioso. Vederli col papa
circondati dall'aureola può essere “carino” e al limite rassicurante, ma certo
non aiuta la crescita di chi già li venera come eroi. Accostarli al Papa
significa dire ai ragazzi: “continuate pure ad interessarvi solo del pallone e a
venerare questa gente come idoli, basta che poi, dopo la partita, venite ache a
messa”.
Se veramente vogliamo che questo Giubileo serva a qualcosa dobbiamo cominciare a
discernere tra bene e male, tra serio e frivolo, tra educativo e diseducativo,
perché, Gesù, il buonismo, non l’ha mai predicato.
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