L'incontro di Francesco con il Vescovo di Terni
"Non sono un santo!"
di Arnaldo Casali
Francesco d'Assisi è stato definito ‘il più santo tra gli italiani e il più italiano tra i santi’, ma Francesco era anche, e soprattutto, umbro. E' naturale quindi che questa sia stata la terra privilegiata della sua predicazione. Numerosissime sono le fonti che raccontano di prediche e miracoli avvenute a Narni, Sangemini, Piediluco ed altre zone del ternano. Dei suoi passaggi a Terni(che dovettero essere molto frequenti perché Francesco ci passava ogni volta che doveva andare verso Rieti), è rimasta testimonianza tanto nelle fonti francescane quanto in quelle ternane.
L'episodio più conosciuto, è quello della predica davanti alla chiesa di S.Cristoforo, collocabile intorno al 1213, quando i santo era ospite del priore della chiesa.
Francesco Angeloni, nella sua Storia di Terni, racconta che il santo, trovandosi in via Camporeali, “fra il canto della chiesa e la paterna mia casa” era salito sopra un grosso tronco di colonna, detto ‘il pietrone di S.Cristoforo’ e aveva predicato al popolo della città, che l'aveva ascoltato catturato dalla sua parola. Il pietrone, che fu conservato per secoli nella chiesa di S.Francesco, è lo stesso su cui poggia attualmente la statua che ricorda l'evento.
Dopo la predica Francesco era tornato nella chiesa di S. Cristoforo, ed “essendo ivi il padre s.Francesco visitato da un gentiluomo e convitatolo a mangiare con esso lui, non si trovò vino in quella casa; laonde comandò che si recasse un fiasco di certo aceto, che v'era, il quale fu poi ritrovato perfettissimo vino”. Un episodio, questo, che ricorda quello delle nozze di Cana, narrato nel vangelo di Giovanni 2,1-11, e, come quello che segue, ci testimonia come nei racconti popolari, la figura del santo di Assisi fosse sempre più assimilata a quella di Gesù stesso.
“O fosse allora o in altro tempo - prosegue Angeloni, che riprende le cronache di Marco da Lisbona - che caduto nella medesima città un muro sopra un giovanetto, che morì, entrò Francesco in quella casa, dove se ne faceva il pianto; e giunto al cataletto, preso il giovane per un braccio chiamollo a nome, e quegli resuscitato, come se dal sonno si foste desto, profetizzandogli, che senza aver prole della moglie, vivrebbe, come seguì”.
Lo storico ci racconta anche che in seguito i ternani avevano edificato sette chiese francescane “Cioè due dei minori, una dei conventuali, una dei cappuccini, con due monasteri di monache, e un'altra chiesa e convento sopra il monte dedicata alla santissima Trinità col nome di Romita vecchia, e pure cappuccini vi dimorano, dove si ha tradizione, che tal fiata vi stanziasse s.Francesco”.
Se questi aneddoti ternani ci mostrano l'immagine che il popolo aveva del Poverello, le fonti francescane ci riportano invece, attraverso le parole dei suoi compagni più intimi, l'idea che Francesco aveva di sé stesso.
La Leggenda Perugina infatti (ripresa anche da Tommaso da Celano e dallo Speculum Perfectionis) racconta che “una volta, mentre predicava al popolo di Terni nella piazza davanti al duomo, il vescovo della città (Rainerio, 1218-1253 ndr), uomo saggio e spirituale, assisteva al sermone. Terminato che fu, il vescovo si alzò e, fra altre parole di Dio, rivolse al popolo questa esortazione: “Da quando cominciò a piantare e edificare la sua chiesa, il Signore non ha mai cessato d'inviare uomini santi, i quali con la parola l'esempio l'hanno sostenuta. E in questi tempi egli ha voluto illuminarla per mezzo di questo uomo poverello, semplice e illetterato - e così dicendo mostrava con il dito Francesco a tutto il popolo - per questo siete tenuti ad amare e onorare il Signore, e a guardarvi dai peccati: poiché non ha fatto a tutte le nazioni un dono simile”. Concluso che ebbe il discorso, il vescovo scese dal luogo dove aveva parlato ed entrò con Francesco nella chiesa cattedrale. Allora il Santo si inchinò davanti al vescovo e si prostrò ai suoi piedi dicendo: “In verità ti dico, messer vescovo, che finora nessuno mi ha fatto a questo mondo un onore grande come quello fattomi oggi da te. Gli altri dicono: - questo è un santo! -, attribuendo gloria e santità alla creatura e non al Creatore. Ma tu, da uomo sagace, hai separato la materia preziosa da quella vile”.
Lontano dall'essere un semplice esempio dell'umiltà del frate, questo episodio ci fa penetrare a fondo quello che era il concetto stesso di santità che aveva Francesco.
Il "Poverello" non amava essere considerato un santo. La santità per Francesco (così come per un'altra grande personalità moderna, Madre Teresa) è sentirsi strumento nelle mani di Dio. "Il servo di Dio - diceva - è simile a una tavola dipinta, non deve riferire nulla a Sé stesso. L'onore e la gloria vanno resi a Dio solo, mentre a sé stesso egli attribuirà vergogna e dispiacere, poiché sempre, finché viviamo, la nostra carne è ribelle alle grazie del Signore".
La santità vera è lasciarsi penetrare da Dio, lasciarsi guidare dal suo esempio.
Francesco conosceva bene le insidie che si nascondono dietro la parola "santo"; sapeva quanta superstizione è celata nel culto delle reliquie e nella devozione. La popolarità di Padre Pio ci dimostra ancora oggi quanto la gente cerchi nel santo i miracoli e non un esempio da seguire.
Francesco conosceva il suo rischi, quello, come abbiamo visto prima, di essere paragonato a Gesù stesso; un processo di assimilazione che, cominciato quando era ancora in vita e potenziato dalla scoperta, dopo la sua morte, delle stimmate, sarà portato drammaticamente a compimento sotto il generalato di Bonaventura da Bagnoregio, che con la sua Legenda Maior (e il successivo ordine di distruggere tutte le altre biografie) imporrà la visione di Francesco come Alter Christus e quindi non imitabile.
"Qualcuno - ha scritto Fabrizio De André nella Buona Novella - tentò di imitarlo, se non ci riuscì fu scusato anche lui, perché non si imita un Dio, un Dio va temuto e lodato".
L'originalità di Francesco fu proprio nel coraggio che ebbe, lui uomo "semplice e illetterato" di imitare Cristo, il figlio di Dio. Ed egli stesso, con la sua santità, voleva essere un modello; un modello da seguire, non un santo da ammirare. Francesco lo sapeva bene, che un santo serve ad essere messo sopra un altare, da venerare dal basso in alto, abbastanza in alto da non darci più fastidio, a noi che stiamo in basso, cosicché se non riusciamo a seguirlo possiamo sempre consolarci dicendo: "E mica sono un santo!".
Il risultato della devozione è quello di allontanare il santo dall'uomo per collocarlo in una posizione divina. Scopo di Francesco fu, al contrario, quello di portare l'esempio di Gesù alla portata di tutti, di chiunque - ricco o povero, colto o ignorante, semplice o intelligente - avesse però l'ambizione di diventare, come diceva lui, "Cavaliere del gran Re".
(Tratto da Adesso n.7 / 19)