IL TERRORISMO DAL BASSO E QUELLO DI BIN LADEN
di Ettore Masina
La disperazione dei
poveri, perseguitati e schiacciati, ha talvolta contemplato il terrorismo come
necessità di auto-difesa di quelli che Dostoiewski chiamava gli “umiliati e
offesi”.
La storia ricorda atti di terrorismo posti in essere da poveri, oppressi, al
fine di liberarsi da una dominazione feroce (o di renderla più difficile con la
diffusione del terrore fra gli oppressori), atti in cui il coinvolgimento di
innocenti è possibile e anche la propria fine è prevedibile e prevista da parte
degli agenti.
Questo ci porta all’esame di un terrorismo che avremo sempre con noi finché
avremo con noi i poveri, finché vi saranno popoli calpestati, denegati, gettati
nella più cupa disperazione. Nessuna guerra riuscirà mai a sradicarlo
completamente, nessun apparato repressivo. Ci sarà sempre un povero che
preferirà morire piuttosto che vivere nel disprezzo di se stesso; e vorrà
rendere la sua morte “produttiva” di un evento cui i mass-media saranno
finalmente obbligati a dare spazio e immagine, essi che della condizione del suo
popolo non hanno mai voluto parlare o lo hanno fatto nel più sprezzante dei
modi.
Sia chiaro: io considero spaventosi tutti gli atti di terrorismo, non li
giustifico. E tuttavia lasciatemi dire che, se mi straziano, non li trovo però
incomprensibili; e che penso necessario, urgente e doveroso studiarne le matrici
politico-economiche. Penso per esempio a certi “martiri” palestinesi. Io non
posso qui non testimoniare ciò che ho visto nei campi profughi palestinesi nel
1991, guidandovi - su invito della UNWRRA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati -
una delegazione di deputati italiani.
Persone di quarant’anni nate e vissute dalla nascita in poi in baracche infette,
fra canaletti fognari a cielo aperto perché gli israeliani avevano deciso che
tutto doveva rimanere allo stato di provvisorietà, perennemente minacciate da
mitragliatrici puntate su di loro dalle colline sovrastanti; impedite di darsi
organizzazione sociale, sofferenti di rifornimenti idrici inadeguati, continue
perquisizioni e angherie, mancanza di strumentazione medica, disoccupazione: due
generazioni costrette alla “scodella di minestra umanitaria”; per ogni atto
ostile (non si parla di sparatorie, si parla di sassi), sbrigativa
identificazione del colpevole o supposto tale, suo arresto e deportazione,
chiusura di una delle stanze della misera abitazione della sua famiglia o
addirittura intervento di un bulldozer che la spiana al suolo.
La situazione dei palestinesi, poi, è, per così dire, l’acme del disprezzo con
il quale il mondo arabo è stato sempre trattato dalle Grandi Potenze. Quando il
massacratore Bin Laden parla di ottant’anni di umiliazione araba non s’inventa
una data. Gli anni '20 sono quelli in cui Francia e Gran Bretagna ridisegnano a
loro piacimento la mappa del Medio Oriente, usando il righello invece del
rispetto della storia dell’area e dei più elementari diritti dei popoli mentre
l’Italia prepara una riconquista della Libia che avverrà con indicibile
crudeltà.
La condanna del terrorismo dei disperati non basta. Bisogna che tutti facciamo
quello che è possibile fare (ed è molto di più di ciò che facciamo) perché siano
spenti i focolai di disperazione; è accanto ai focolai di disperazione che cova
le sue perversioni il terrorismo, anche quello organizzato. La disperazione dei
poveri è l’acqua in cui nuota e sempre più nuoterà lo squalo ferocissimo di Bin
Laden e dei suoi epigoni.
Confondere il terrorismo dei disperati con quello organizzato da Bin Laden, è
ciò che maggiormente farebbe il suo gioco.
Bin Laden non è né un difensore della causa palestinese (soltanto da poco ha
cominciato a parlarne) né un fondamentalista religioso se con questa espressione
si vuole definire una persona inchiodata alla lettera dei Libri sacri: non c’era
una sola citazione del Corano nel suo tele-messaggio. Bin Laden è quello che in
genetica si chiama una “chimera”, cioè un’essere che porta l’impronta di due
diverse matrici biologiche. E’ uomo dell’Occidente in quanto ha saputo inserirsi
nelle pieghe del sistema capitalistico, ha accumulato enormi ricchezze,
approfittando dell’anarchia delle cosiddette “leggi del mercato”; è uomo
dell’Occidente per la sua capacità di ideare un atto di ferocia di così grande
impatto mediatico e di perpetuarne l’eco con i suoi proclami. Ed è un fanatico
che sogna insieme di diventare il fondatore di un impero panislamico petrolifero
e il violento correttore del nostro materialismo che gli appare del tutto ateo.
Credo che noi non dovremmo lasciare a lui né la difesa della causa palestinese
né l’evidenza di certe accuse alla nostra civiltà.
(Estratto della conferenza
tenuta il 9 ottobre 2001 alla Cappella Universitaria dell’università La Sapienza
di Roma)