Oscar Arnulfo Romero,
la Chiesa e l'America centrale del suo tempo
“Il
mondo è cambiato per ben due volte, nell’89 prima e nell’11 settembre
scorso poi, e la memoria di Oscar Romero continua a suscitare sentimenti forti e
talora contrastanti. La simbolicità della sua morte lo ha reso un testimone
particolarmente eloquente. La Chiesa anglicana – per fare un esempio - lo ha
posto tra le dieci personalità religiose del Novecento che campeggiano nella
facciata della cattedrale di Westminister. Ed è stato personalmente Giovanni
Paolo II ad inserire il nome di Romero nel testo della celebrazione dei Nuovi
Martiri, tenutasi nell’anno giubilare, dopo una singolare assenza, riprendendo
quasi alla lettera quanto aveva scritto nel giorno stesso dell’uccisione
dell’arcivescovo alla Conferenza Episcopale salvadoregna. Disse, allora, il
Papa che il “servizio sacerdotale della Chiesa
(di Monsignor Romero) ha avuto il sigillo immolando la sua vita mentre
offriva la vittima eucaristica”. Così pure, nonostante le forti pressioni del
governo salvadoregno perché non si recasse sulla tomba, il Papa vi andò
ugualmente”.
Con
queste parole monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni Narni Amelia, ha
chiuso i lavori del Congresso Internazionale che si è svolto a Terni dal 26 al
28 ottobre 2001 a Terni.
Liberare
Romero dalla strumentalizzazione politica e riportare alla luce la sua identità
di pastore profondamente legato alla sua Chiesa è stato il compito principale
di questo congresso, che ha visto gli interventi – tra gli altri - di Andrea
Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio), del cardinale Edward
Cassidy, di Jesùs Delgado, prima segretario di Romero, poi biografo e
attualmente vicario della diocesi di El Salvador, e infine dello stesso Vincenzo
Paglia, che è il postulatore della causa di beatificazione del vescovo martire.
“Lo
scopo di questo convegno - ha detto Riccardi - non è né canonizzare Romero né
demonizzarlo, nemmeno giudicarlo né mettere in luce i suoi meriti o demeriti.
E' uno scopo semplice e basilare: comprendere, soprattutto comprendere"
Nella
giornata di sabato sono intervenuti anche due noti giornalisti che hanno avuto
la fortuna di conoscere personalmente Oscar Romero nel periodo del suo
episcopato: Lucia Annunziata, ex direttore del TG3 e Maurizio Chierici del Corriere
della sera, che hanno inserito la figura di Romero all’interno del quadro
politico internazionale del periodo ricordando anche il difficile rapporto
con Giovanni Paolo II, al quale il vescovo di El Salvador confermò
comunque sempre la sua fedeltà e il suo amore per la Chiesa.
D’altra
parte Wojtila veniva da un regime comunista, ed era inevitabile che guardasse
con diffidenza un vescovo che gli era stato additato come simpatizzante dei
rivoluzionari in un contesto delicato come l’America Latina.
Romero
ebbe tre colloqui con Giovanni Paolo II, e soprattutto dal primo – tanto
atteso - il vescovo uscì amareggiato. Aveva preparato un dossier vastissimo che
il Papa nemmeno aprì. Non si
riusciva ad instaurare un dialogo e Giovanni Paolo II fu sul punto di rimuovere
dal suo incarico il vescovo di San Salvador.
D’altra
parte – ha ricordato Chierici – quando il Papa, dopo la morte di Romero,
visito il paese, i poveri furono tenuti ben lontani dalle cerimonie ufficiali.
“E’ noto - ha raccontato monsignor Paglia - che Romero viene scelto come arcivescovo di San Salvador perché ritenuto un moderato, rispetto all’altro candidato Mons. Rivera Damas, salesiano, legato al predecessore di Romero, Mons. Chavez, pastore di larghe vedute e sostenitore di un cristianesimo sociale. Mons.Romero, in effetti, non era schierato pienamente su questa linea, sebbene ne accettasse le indicazioni di fondo. Passano però appena diciotto giorni dal suo ingresso - siamo nel 1977- e viene assassinato uno dei suoi sacerdoti, il padre Rutilio Grande. In quella occasione il clero si raccoglie tutto attorno al suo arcivescovo, con il noto episodio dell’unica Messa celebrata nell’arcidiocesi per il funerale di p.Rutilio a cui parteciparono almeno centomila persone. Questo fatto, che pure causò a Romero qualche problema con il Nunzio, gli valse il superamento non solo della diffidenza del clero verso di lui, ma un insperato movimento di unità del clero attorno alla sua figura. Vengono poi trucidati altri cinque sacerdoti, alcuni giovanissimi, ordinati dallo stesso Romero. La tecnica assassina è quella tipica di non uccidere soltanto, ma di torturare o sfigurare, mutilare, insomma di mostrare una violenza enorme sui corpi, per terrorizzare e stroncare ogni aspirazione sul nascere. Il padre Octavio Ortiz, ucciso con quattro giovani durante un ritiro spirituale, ha la testa schiacciata, “sommamente sfigurata”, nota Romero nel suo Diario. Gli squadroni della morte uccidono decine e decine di catechisti delle comunità di base, e molti fedeli di queste comunità scompaiono. A tutto questo si aggiungevano le profanazioni delle chiese e del Santissimo Sacramento. Insomma, con un clima di terrore si voleva scoraggiare anche il più piccolo desiderio di cambiamento della situazione. La Chiesa era la principale imputata perché si preoccupava dei diritti umani e della promozione sociale, e quindi era maggiormente colpita”.
Uno
degli aspetti che è stato particolarmente approfondito nel corso del convegno
è stata la tanto discussa “conversione” di Romero.
“Se
di conversione di Romero arcivescovo si vuole parlare - ha detto nel corso del suo intervento il professor Roberto
Morozzo della Rocca - si tratta della conversione permanente del cristiano e
della conversione del vescovo che ha piena coscienza dei suoi doveri pastorali,
sicché, in una situazione di crisi drammatica e confusa, si fa defensor
civitatis secondo la tradizione dei Padri antichi della Chiesa, difende il
clero perseguitato, vive nella compassione per i più poveri, non senza prendere
alla lettera il magistero pontificio e conciliare. Quattro mesi prima di morire
Romero dichiara a un giornalista venezuelano: “La mia unica conversione è a
Cristo, e lungo tutta la mia vita”. Romero, come tanti sacerdoti della sua
generazione, compie un lento percorso di riforma interiore grazie ai documenti
dell’”aggiornamento” conciliare.
Non vanno dimenticati, per comprendere Romero arcivescovo, alcuni modelli di governo ecclesiale da lui venerati, come san Carlo Borromeo e, in epoca più vicina, Pio XI, il papa dei suoi anni romani, spesso e volentieri ricordato, che si era opposto fermamente a totalitarismi di diverso segno. (Sia detto per inciso, i due papi più amati da Romero sono Pio XI e Paolo VI). Come i personaggi citati, Romero ha un senso molto alto della funzione episcopale. Aveva dubitato, nel 1970, quando gli era stato proposto di diventare vescovo. E dubita nel 1977 di essere in grado di governare la diocesi metropolitana del Salvador, come confida a familiari. Sono i dubbi di un uomo retto e scrupoloso, che esamina se stesso dinanzi al suo Dio, misura le difficoltà, e non tiene oltre misura alla carriera".