Intervista a Jesùs Delgado
Segretario e biografo di Romero e Vicario della diocesi di San Salvador
di Arnaldo Casali
Quali sono le attuali condizioni del Salvador?
“La
situazione sociale è peggiorata. Questa globalizzazione neo-liberalista ha
fatto sì che il divario tra i pochi che hanno molto e i molti che non hanno
niente si è allargato. Se prima il potere era tutto nelle mani di 14 ricchi ora
sono diventate solo 5 famiglie. La democrazia è stata piuttosto formale, la
guerriglia è diventata un partito politico non vuole partecipare pienamente al
potere, vogliono fare opposizione proseguire nello scontro non collaborando alla
democrazia, non facendo progredire la giustizia e rendendo tutto più difficile
e i ricchi sono contenti di questo atteggiamento della sinistra. Il partito dei
ricchi ha lasciato fuori tutti i politici e il partito è stato preso dai grandi
proprietari, così avranno il presidente della Repubblica. Ma non sanno niente
di politica, così chiederanno all’esercito di mettere ordine e i militari
andranno di nuovo al potere. Così la situazione non potrà che peggiorare”.
E in questo contesto quale è l’atteggiamento della Chiesa?
“La
chiesa cerca di mediare tra le parti, creare il dialogo tra le parti perché il
progetto della pace sia efficace e dinamico. Ma sembra che per ora non riesca in
questo intento di mediazione”.
Monsignor Romero era cosciente del pericolo che correva?
“Sin
da quando divenne sacerdote Romero aveva offerto la sua vita a Dio. Nel tempo
del suo episcopato questo è diventato più storico, più esistenziale. Il
cristo si è progettato nel povero e nella conversione dei ricchi. Parlando
umanamente è chiaro che quando si viene minacciati di morte si ha paura, ma
questo non significa certo dire “no”, anzi, significa affidare questo ad una
è una risoluzione più grande . E’ stato un uomo coerente fino alla fine con
l’offerta della sua vita. Il martirio lo ha affrontato con piena coscienza,
non con esaltazione, ma con l’amore di un mistico che si dona alla sua
chiesa”.
Perché da parte della Chiesa c’è tanta difficoltà a riconoscere monsignor Romero come un martire? La causa è la strumentalizzazione politica che è stata fatta della sua figura, o la paura di un’aderenza al Vangelo così radicale?
“Giovanni
Paolo II ha riconosciuto Romero come martire. Io gli ho mostrato un miracolo e
lui mi ha detto che monsignor Romero non ha bisogno di miracoli perché è un
martire. Ma ci sono cardinali, soprattutto latino-americani, che dicono che
Romero è stato solo la vittima di una situazione politica molto confusa. Allora
se per Chiesa intendiamo Giovanni Paolo II, beh, lui
vuole canonizzarlo subito, invece questi cardinali dicono che non è
opportuno, perché questa beatificazione sarebbe interpretata come una
approvazione da parte della Chiesa della Sinistra e una critica dell'estrema
destra. Allora la Chiesa sarebbe divisa in America Latina.
Sant'Ignazio
di Loyola parlava di segni dal Cielo. Romero è morto durante la celebrazione
della messa. Tra l'altro i mandanti volevano che Romero fosse ucciso nella
Cattedrale, dove parlava di politica, invece è stato ucciso in una piccola
cappella, mentre parlava di cose spirituali. Quello che ha deciso la sua morte
quando ha saputo ha detto: "No! Non era questo il giorno né il luogo.
Bisognava aspettare per farlo in cattedrale". Questo significa che Dio
confonde anche i nemici”.
Ma c’è sempre da parte della Chiesa questa paura di schierarsi…
"Perché l'America Latina è ancora divisa dalla teologia della Liberazione e così ci sono questi tre-quattro cardinali che si oppongono alla sua beatificazione. Ma io spero che con il lavoro che sta facendo monsignor Paglia, Romero possa essere beatificato in tre-quattro anni”.
Che conseguenze avrà la beatificazione di Romero sulla situazione della Chiesa dell'America Latina?
"Porterà un grande respiro a gente che ha sofferto tanto per la giustizia e per la Pace, ma anche una critica a coloro che commettono ingiustizie. D’altra parte il Papa, in Messico nel 1999 ha già riconosciuto - con il documento su Chiesa e America – che c’è un’ingiustizia da parte di coloro che hanno un potere economico, preparando così il terreno per la beatificaizione di monsignor Romero, che sarà un incoraggiamento per coloro che hanno sofferto vittime dell'ingiustizia e un appello alla conversione per coloro che le commettono".
Servirà anche a dare anche il coraggio, a vescovi e a sacerdoti, di schierarsi con i più poveri?
“Non
solo, ma aiuterà la Chiesa universale a chiarire il suo atteggiamento nei
confronti nell’america latina che è un po’ confuso. Il Vaticano fa una
politica ambigua: siamo con i poveri ma ascoltiamo soltanto i ricchi. La carità
per i poveri, ma la pietà e la parola per i ricchi”.