Monsignor Vincenzo Paglia e Igor Mann parlano di Islam, Romero e crisi in medioriente
La
speranza per il Terzo Millennio
di
Arnaldo Casali
Il
4 ottobre 2000, nel giorno di San Francesco, il vescovo di Terni monsignor
Vincenzo Paglia e Igor Man, editorialista de La Stampa, si sono incontrati a
Sangemini per parlare insieme della figura di Oscar Romero, il vescovo di San
Salvador ucciso nel 1980 dagli squadroni della morte mentre celebrava la messa.
Una
figura alla quale entrambi sono legati molto: Man, infatti è stato diverse
volte nel Salvador, ha conosciuto i collaboratori più stretti di Romero
partecipando spesso a missioni pericolose e rischiando in prima persona, mentre
Vincenzo Paglia è postulatore per la beatificazione del vescovo salvadoregno;
nel corso del suo ultimo viaggio in Salvador, pochi mesi fa, gli è stata
regalata dalla diocesi di Romero,
la croce pettorale che il vescovo indossava quando è stato ucciso.
Oscar
Romero è stato comunque solo il punto di partenza di una serata che, anche
grazie alle domande dei presenti, ha toccato molti altri argomenti: da Padre Pio
a Madre Teresa, dalla crisi in Medioriente fino alle dichiarazioni del cardinale
Biffi sugli immigrati, che al vescovo Paglia è stato chiesto di commentare.
Paglia:
«C’è il rischio di farli diventare una cosa astratta, i poveri. Molti li
difendono solo a parole.
Pensate
che i poveri siano buoni? Attenzione al mito. Perché chi mitizza vuol dire che
non si sporca le mani.
Quest’estate
sono stato una settimana a predicare gli esercizi spirituali in Salvador e
quando parlavo di Romero molti lo difendevano. Io a queste persone dicevo:
“Non crederò ad una sola parola di quello che dici se non fai come Romero e
vai a lavorare tutti i giorni in un ospedale per malati di tumore”.
I
poveri non vanno amati perché sono buoni, vanno amati perché sono uomini!
Non
abbiamo bisogno di ideologi che difendono i poveri, ma di persone che si
commuovono di fronte a chi è debole».
«Un
giorno Helder Camara mi disse: “Se vado da un povero mi inginocchio davanti a
lui”.
Francesco
che scende da cavallo e bacia il lebbroso: questa è l’immagine di come
bisogna amare i poveri. Romero si lasciava evangelizzare dai poveri».
Paglia:
«Nel Vangelo c’è scritto che nella casa del Padre ci sono molte dimore e
molti modi di pensare. Io penso che l’accoglienza è sempre la migliore delle
posizioni, e non credo che ci sia
un reale pericolo di invasione islamica in Italia.
Credo
che se c’è da considerare un pericolo nel cristianesimo è più nel messaggio
di sette e religioni orientali o nella New Age, che ci indebolisce
dall’interno. E poi non è semplice parlare di “Islam”. Ci sono tanti
Islam; è vero poi che si possono presentare dei problemi, per esempio quello
dei matrimoni. Poi c’è la questione della reciprocità, e cioè che il
presidente del consiglio possa andare dal re di un paese arabo e pretendere per
i cittadini italiani gli stessi diritti che hanno gli arabi in Italia.
Ma
io come cristiano non voglio rivendicare diritti, io sono più per la gratuità
che per la reciprocità.
Sono
convinto di una cosa: un’accoglienza attenta, intelligente e generosa alla
fine vince. Quando si vogliono chiudere le porte
significa che si ha paura. E io non ho paura».
Man
«A Gerusalemme, quando si era giunti ad un accordo hanno ucciso Rabin.
Adesso
Sharon, che ha la responsabilità di migliaia di bambini sgozzati, va sulla
spianata della moschea alle sette del mattino con 350 poliziotti. Come a dire
“Me ne frego”. Arafat, che è un laico, mi diceva: “Da noi non c'è
differenza tra chi è praticante e chi no; quello che conta per noi è il senso
dell’appartenenza. L’Islam non è solo una religione, è un tutt’uno. Non
puoi toccare le moschee, perché quello è un luogo sacro per qualsiasi
islamico”. Loro sanno credere veramente».
Man:
«Quando è diventato vescovo Romero era un uomo rigoroso, conservatore, che
aveva il terrore delle rivoluzioni. Poi, dopo, scoprirono che era
“lunatico”. Almeno questo dicevano prendendo atto del suo cambiamento di
rotta. E invece no, aveva solo
conosciuto i poveri, ed era diventato apostolo di Gesù.
Quando
si parla della sua canonizzazione e si dice “Il popolo l’ha già fatto
santo” ci sente rispondere “Eh, ma frequentava troppi comunisti!”».
«Eroi
non si nasce. Nel diario di Romero c’è scritto: “Ho paura, ma devo
vincerla, e continuare a fare il mio dovere”.
Spero
che monsignor Paglia vinca la sua battaglia per questa beatificazione. Sarebbe
una porta spalancata sulla speranza».