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TRE MADRI
Madre
di Tito:
"Tito, non sei figlio di Dio,
ma c'è chi muore nel dirti addio".
Madre di Dimaco:
"Dimaco, ignori chi fu tuo padre,
ma più di te muore tua madre".
Le due madri:
"Con troppe lacrime piangi, Maria,
solo l'immagine d'un'agonia:
sai che alla vita, nel terzo giorno,
il figlio tuo farà ritorno:
lascia noi piangere, un po' più forte,
chi non risorgerà più dalla morte".
Madre di Gesù:
"Piango di lui ciò che mi è tolto,
le braccia magre, la fronte, il volto,
ogni sua vita che vive ancora,
che vedo spegnersi ora per ora.
Figlio nel sangue, figlio nel cuore,
e chi ti chiama - Nostro Signore -,
nella fatica del tuo sorriso
cerca un ritaglio di Paradiso.
Per me sei figlio, vita morente,
ti portò cieco questo mio ventre,
come nel grembo, e adesso in croce,
ti chiama amore questa mia voce.
Non fossi stato figlio di Dio
t'avrei ancora per figlio mio".
IL TESTAMENTO DI TITO
Tito:
“Non
avrai altro Dio all'infuori di me,
spesso
mi ha fatto pensare:
genti
diverse venute dall'est
dicevan
che in fondo era uguale.
Credevano
a un altro diverso da te
e
non mi hanno fatto del male.
Credevano
a un altro diverso da te
e
non mi hanno fatto del male.
Non
nominare il nome di Dio,
non
nominarlo invano.
Con
un coltello piantato nel fianco
gridai
la mia pena e il suo nome:
ma
forse era stanco, forse troppo occupato,
e
non ascoltò il mio dolore.
Ma
forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero
lo nominai invano.
Onora
il padre, onora la madre
e
onora anche il loro bastone,
bacia
la mano che ruppe il tuo naso
perché
le chiedevi un boccone:
quando
a mio padre si fermò il cuore
non
ho provato dolore.
Quanto
a mio padre si fermò il cuore
non
ho provato dolore.
Ricorda
di santificare le feste.
Facile
per noi ladroni
entrare
nei templi che riguargitan salmi
di
schiavi e dei loro padroni
senza
finire legati agli altari
sgozzati
come animali.
Senza
finire legati agli altari
sgozzati
come animali.
Il
quinto dice non devi rubare
e
forse io l'ho rispettato
vuotando,
in silenzio, le tasche già gonfie
di
quelli che avevan rubato:
ma
io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli
altri nel nome di Dio.
Ma
io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli
altri nel nome di Dio.
Non
commettere atti che non siano puri
cioè
non disperdere il seme.
Feconda
una donna ogni volta che l'ami
così
sarai uomo di fede:
Poi
la voglia svanisce e il figlio rimane
e
tanti ne uccide la fame.
Io,
forse, ho confuso il piacere e l'amore:
ma
non ho creato dolore.
Il
settimo dice non ammazzare
se
del cielo vuoi essere degno.
Guardatela
oggi, questa legge di Dio,
tre
volte inchiodata nel legno:
guardate
la fine di quel nazzareno
e
un ladro non muore di meno.
Guardate
la fine di quel nazzareno
e
un ladro non muore di meno.
Non
dire falsa testimonianza
e
aiutali a uccidere un uomo.
Lo
sanno a memoria il diritto divino,
e
scordano sempre il perdono:
ho
spergiurato su Dio e sul mio onore
e
no, non ne provo dolore.
Ho
spergiurato su Dio e sul mio onore
e
no, non ne provo dolore.
Non
desiderare la roba degli altri
non
desiderarne la sposa.
Ditelo
a quelli, chiedetelo ai pochi
che
hanno una donna e qualcosa:
nei
letti degli altri già caldi d'amore
non
ho provato dolore.
L'invidia
di ieri non è già finita:
stasera
vi invidio la vita.
Ma
adesso che viene la sera ed il buio
mi
toglie il dolore dagli occhi
e
scivola il sole al di là delle dune
a
violentare altre notti:
io
nel vedere quest'uomo che muore,
madre,
io provo dolore.
Nella
pietà che non cede al rancore,
madre,
ho imparato l'amore”.
Fabrizio De André
1970