Piazza Navona era illuminata da mille luci colorate e coperta da tante camionette e bancarelle. Tra le due grandi fontane c’era una grande giostra che offriva un giro di sapore antico, con carrozze e cavallucci come quelli di una volta.
Per tutta la piazza giravano tra i bambini e i turisti una decina di babbi natale con la tuta rossa sporca di fango e la barba portata sempre male.
Isabella girava tra le bancarelle di dolciumi e i negozi con enormi scimmie di peluche e serpentoni di stoffa, decine di calze piene di caramelle appese per aria.
Isabella osservava tutto con un misto di avidità, invidia, indifferenza e disprezzo. Ad una palla elettronica che si muoveva era appeso un criceto di peluche che sembrava inseguirla e rosicchiarla; dietro ad un computer una donna prometteva un briciolo di nobiltà a chiunque pagasse diecimila lire; seduti sul marciapiede c’erano due ragazzi che suonavano la chitarra e avevano un piattino di plastica verde davanti, e dentro c’erano tre o quattrocento lire.
Sulle vetrine dei negozi erano esposte tutte le novità discografiche italiane e straniere, e tra queste c’erano tre o quattro dischi costituiti interamente da canzoni natalizie.
Mariah Carry, Michael Bolton, Neri per caso, tutti i cantanti approfittavano del natale per vendere più dischi.
Era freddo a Bologna. Luca passeggiava infagottato per le vie illuminate della città. Le vetrine brillavano di mille colori. Dai negozi di elettrodomestici si affacciavano televisori accesi che presentavano famiglie felici che si facevano dolcissimi regali e babbi natale che correvano sulla slitta ridendo e gridando "Buon natale!". Panettoni, pandori, torroni e compra questo e regala quest’altro.
In un negozio era esposto il suo ultimo disco. Era tra le offerte di natale, prezzo scontato al 15%; era tra i dischi consigliati come regalo. Avrebbe venduto molto, Luca lo sapeva, in quel periodo, e sarebbero arrivati molti soldi a casa.
Eppure la cosa non gli dava nemmeno un briciolo di entusiasmo.
Camminava quasi assente per le vie di Bologna; si guardava intorno, osservava la frenesia della gente nel comprare, comprare, comprare. I mendicanti erano fuori dei supermercati con i loro cani.
"A che serve pensare che Gesù è nato in una stalla se non a fare il presepe? - A natale la differenza tra ricchi e poveri si fa ancora più marcata. Anziché rallegrarci per la nascita normale di un bambino speciale il natale serve ad arricchire gli industriali. Poi diamo mille lire a un mendicante e questo ci basta per sentirci buoni.
Sì perché a natale siamo tutti più buoni, ma questo è assurdo! O è natale tutti i giorni o non è natale mai!".
Lorenzo partiva da Milano per passare il natale con la famiglia, a Cortona.
Mentre la sua macchina sfrecciava in autostrada Lorenzo vedeva passare davanti ai suoi occhi enormi manifesti pubblicitari, le insegne luminose negli autogrill che invitavano ad entrare e a comprare, comprare, comprare...
La strada era bloccata per un incidente; si era creato un ingorgo e risuonavano nell’aria decine di clacson e di vaffanculo; finestrini aperti, gli automobilisti si insultavano a vicenda:
"Mattevoi da ‘namossa? Ambecille!"
"A stronzo, ma non lo vedi che la strada è bloccata!? Ma guarda questo!".
A natale siamo tutti più nervosi.
"Il mondo non è mai cambiato - pensava Lorenzo - e non cambierà mai. E non ci sarà pace in terra, perché noi non siamo uomini di buona volontà".
Solo i bambini, osservava Luca, erano veramente incantati dalla magia del natale. Per loro tutto era fantastico. Andavano sulle giostre e si divertivano. Era il momento di esprimere i loro desideri, e avrebbero ricevuto tutto quello che desideravano.
Gli adulti invece non facevano che consultare le liste dei regali da fare e quelli già fatti, si affannavano alla ricerca di quello che cercavano, o alla ricerca di un’idea (e la cosa era ancora più angosciante). E i negozianti facevano di tutto per accontentarli. Tiravano fuori le cose più "simpatiche" e inutili. Le cosiddette idee regalo.
Luca osservava le signore incontrarsi e salutarsi frettolosamente: "Allora se non ci vediamo buon natale, eh, a tutta la famiglia, ciao, scusa vado di fretta".
"Buon natale" pensava ascoltandole. "Chissà se ricordano ancora cosa significa questa frase. Buon natale è una delle frasi più abusate che circolano. Come "ti amo". La gente si fa gli auguri automaticamente ma non ricorda più cos’è che augura veramente. Non è un atto pensato ed espresso con amore. E’ semplicemente la formula di saluto che si usa sotto natale".
Erano come tanti robot ipnotizzati dal consumismo. Passavano indifferenti davanti ai mendicanti, al di là poi che li ignorassero completamente o gli mettessero cinquecento lire nel piattino, senza guardarli in faccia, senza avere il tempo di sentire i loro ringraziamenti, i loro auguri di buon natale.
Luca osservava e aveva voglia di gridare: "E’ Natale! Dovremmo stringerci le mani! Abbracciarci tutti! Cosa sono questi automi?".
Era l’alba, e Lorenzo stava facendo colazione in un autogrill.
Vendevano biglietti della Lotteria Italia e le cartoline per le estrazioni settimanali, i gratta e vinci, le schedine del totocalcio, Enalotto... a pandori e panettoni erano abbinati concorsi a premi su concorsi a premi.
La gente cercava la fortuna... perché i soldi non fanno la felicità, questo lo sanno tutti, e nonostante questo la gente continua ad inseguirli più di ogni altra cosa. Allora c’è una stupidità di fondo o una grossa ipocrisia.
O si cerca ciò che non serve o si dice ciò che non si pensa.
"Come diceva quella pubblicità?" improvvisamente gli era balzato in testa un vecchio spot di una lavatrice.
Che differenza c’è tra una lavatrice normale e una Candy?
Nessuna! Perché a Natale, ma solo a Natale, le lavatrici sono tutte uguali!.
"Ma che diavolo significa?" si domandava Lorenzo.
Nell’autogrill c’era qualsiasi cosa; la gente si faceva vendere di tutto.
"Quanti dolci - pensava Lorenzo - Che modo di festeggiare la nascita di Gesù, quello di ingrassare e farsi crescere la pancia!".
"Ma cos’è questo lusso di cartone!" pensava Luca dentro un centro commerciale, "possibile che non si debba pensare ad altro che a mettere cartone su cartone, a farci i palazzi di cartone!? Il mondo ha bisogno di mattoni! Aids, razzismo, guerra, fame, carestie, inquinamento! Il mondo ha bisogno di noi e noi pensiamo solo ad accumulare vanità su vanità!".
"Ci vogliono far credere che regalare cioccolatini con la nocciola sia un gesto d’amore! - diceva tra sé e sé Lorenzo - ma mentre ci imbambolano con i Baci Perugina e con le sponsorizzazioni dei film della Disney, intanto causano la morte di migliaia di bambini nel terzo mondo. E’ un nemico immenso, è una piovra che ha tentacoli ovunque! Multinazionali come la Nestlé o la Coca-Cola si stanno comprando tutto il mondo. La Nestlé possiede la Buitoni, la Motta, la Perugina, la L’Oreal e chissà quante altre industrie, anche il boicottaggio diventa quasi impossibile, te la ritrovi ovunque senza neanche saperlo. E mentre attirano i nostri bambini con i pupazzetti di Pocahontas intanto uccidono i bambini del terzo mondo vendendo latte in polvere proibito al solo scopo di aumentare il guadagno e il potere.
In questo momento migliaia di bambini sfruttati e sottopagati stanno costruendo in Cina e a Hong Kong i giocattoli che noi ci affanniamo a comprare per viziare i nostri figli.
Ma cosa importa, non è forse più importante esaudire un desiderio del nostro bambino piuttosto che salvare la vita di uno sconosciuto?".
"Per fortuna il mondo ha molto più tempo di noi per cambiare - rifletteva Luca - noi non ci saremo, ma chissà? Chissà che non ci sia davvero un giorno pace in terra".
Natale senza guerra (Happy Xmas)
La guerra era finita. Finalmente.
Una guerra ingiusta. Che era costata la vita a migliaia di ragazzi americani. Una guerra perduta. Che sarebbe rimasta per sempre sulla coscienza degli uomini di quel paese che John avvertiva sempre più come suo. Una guerra lunga, i cui orrori sarebbero riecheggiati per decenni nella coscienza del mondo. Una guerra triste e maledetta.
Ma era finita. Era finita, finalmente. E quello era il primo natale di pace dopo dieci anni. Il primo natale senza lacrime di ragazzi mandati al macello per la presunzione di un paese che si riteneva giudice del mondo. E chissà - si domandava John - chissà se l’America aveva imparato la lezione, o se avrebbe continuato anche dopo ad erigersi come guardiana del mondo, pronta a punire i cattivi, pronta a scatenare nuove guerre per dimostrare ancora una volta il suo potere, l’autorità che aveva su tutti. Chissà quanto ancora avrebbe calpestato i diritti umani, quante volte ancora si sarebbero ripetute quelle tragedie inutili. Chissà quanti ragazzi innocenti dovevano morire ancora per la superbia e la prepotenza di un paese cresciuto troppo in fretta. Un paese con la mente di un adolescente e il corpo di un adulto nel pieno delle forze.
Ma era finita, questo era importante. Era un natale di pace.
Yoko dormiva, rigirata su un angolo del letto. John si alzò dalla poltrona e si sedette al tavolino. Osservò il foglio bianco illuminato dalla luce della lampada. Prese la penna, e cominciò a scrivere:
So, this is Christmas…
C’era dello spumante sul tavolinetto bianco vicino al letto.
Olga e Sara erano fuori, in corridoio, con i parenti. C’era un alberello di natale in corridoio, e sul pianerottolo avevano allestito un piccolo presepio. Ce ne era uno per ogni reparto.
Lina , seduta sul letto, chiacchierava con le nipoti. Delia recitava il rosario. Laura era rintanata sotto le coperte con la luce spenta, e dormiva; o almeno ci provava. Era l’unica che nessuno era andato a trovare. Nessuno sapeva che fosse in ospedale. I genitori la credevano in montagna con gli amici.
Pina borbottava anch’essa sotto le coperte. Il marito se ne era andato da un’ora e lei si lamentava di che razza di natale gli toccava passare. Clara era andata nella cappella a pregare. Rosanna leggeva una rivista e Maria guardava Mike Bongiorno su una piccola televisione portatile.
Le luci erano quasi tutte accese. Eppure c’era poca luce. Troppo poca.
Loretta era sul letto. La flebo pendeva sopra la sua testa. Da una parte e dall’altra del letto erano seduti il marito e i figli.
Renzo le accarezzava la testa e sorrideva. Cercava di sorridere. I figli simulavano meno. Non nascondevano più di tanto la tristezza di quel natale.
Loretta lo guardava negli occhi. Fisso. Non lo mollava nemmeno per un momento, il suo sguardo. Lui sorrideva. Continuava a sorridere; a fatica, ma sorrideva. E lei lo odiava. Odiava quel sorriso. La accarezzava dolcemente e le baciava la fronte. Non diceva niente, quasi niente. Ed era un bene, perché quando parlava non faceva che "confortarla" cercando di raccontarle di quando sarebbe uscita, di quello che avrebbero fatto. Di come si sarebbero divertiti, dopo.
Ma lei lo sapeva, lo sapeva bene, che non ci sarebbe stato un dopo.
"Perché non me lo dici?" pensava. Lo implorava, con il pensiero.
Ma lui non ascoltava i suoi pensieri, e continuava a fingere. Continuava a far finta di niente; continuava questa triste recita in cui entrambi sapevano la verità ma entrambi continuavano a fingere l’uno con l’altro di credere che sarebbe guarita.
L’aveva capito pochi giorni prima.
Stava parlando a Renzo della sua vicina di letto, poverina, alla quale restava poco da vivere e non lo sapeva. Allora aveva visto per un secondo sul volto del marito una smorfia di dolore. Nel suo sguardo aveva letto tristezza, compassione, senso di colpa. Poi con una scusa qualsiasi si era allontanato e al ritorno aveva ancora gli occhi rossi.
Allora aveva capito che non si trattava di una semplice ciste. Aveva capito perché il dolore anziché diminuire aumentava. Aveva capito perché di tornare a casa non se ne parlava ancora. Tanti sospetti erano divenuti all’improvviso lampanti.
Eppure non aveva osato chiedere. Aveva fatto finta di niente. Chissà, se avesse chiesto…
Ma in fondo così era più comodo anche per lei. Le restava sempre quel filo di speranza che avesse interpretato male quegli sguardi, che veramente dicessero la verità; quel filo a cui poteva aggrapparsi nei momenti in cui la disperazione e la paura di morire si facevano più intense.
Così le era permesso ancora di sperare. E poi, che bisogna morire lo sanno tutti. Se poi sono trenta giorni o trenta anni non cambia poi molto. Nessuno sa quando morirà, ed è proprio questo che dà ad ogni uomo la forza di andare avanti. Il non conoscere la data della propria morte dà l’illusione di poter vivere per sempre. E così neanche lei voleva saperlo, quanto le restava da vivere. Così che poteva anche lei sperare di vivere.
Eppure sentiva che se si fossero guardati in faccia e si fossero detti la verità, lei e Renzo, se avessero deciso di condividere quel dolore che tenevano tutto per sé e che faceva male il doppio perché non potevano sfogarlo, perché dovevano nasconderlo, se si fossero abbracciati e avessero pianto per ore ed ore fino a sfogare tutte le lacrime che avevano trattenuto in quei mesi… chissà, forse avrebbero potuto anche ricominciare a sorridere.
Pensava che se avessero accettato la morte, che comunque sarebbe arrivata, allora avrebbero potuto apprezzare meglio la vita che le restava. Avrebbe potuto godere di ogni giorno, di ogni attimo che le restava sapendo che non sarebbe tornato mai più, avrebbero goduto di ogni bacio, di ogni carezza, di ogni frazione di secondo che passavano insieme.
Avrebbe potuto apprezzare la vita per quello che è, e non per quello che dovrebbe essere, e non rimpiangerla per ciò che non è stata o non sarà.
Allora capiva che è proprio la speranza di vivere per sempre che porta gli uomini a sprecare la propria vita. Perché la vita ha un senso proprio perché ha una fine. Perché le cose preziose sono quelle rare. Così la speranza di vivere per sempre porta gli uomini a non vivere, ma a sopravvivere sperando poi di sopravvivere il più a lungo possibile.
Così come lei, nella vaga illusione di poter sopravvivere ancora qualche anno stava perdendo anche questi ultimi giorni che le restavano da vivere.
Perché non erano vita quei silenzi, quei sorrisi tristi, quelle parole false, stavano solo sprecando quegli ultimi momenti.
Se avessero chiuso quella triste farsa, lei, Renzo, i bambini, avrebbero potuto decidere di passare il natale più bello della loro vita, proprio perché l’ultimo. Avrebbero potuto festeggiare, ridere e scherzare, come in una degna cerimonia di chiusura, quale meritava la sua vita. Avrebbero voluto, e forse chissà, potuto, ridere; ma erano lì, gli occhi continuavano a mentire; avrebbero voluto ridere e non riuscivano nemmeno a piangere.
La famiglia Manassei era riunita insieme per il cenone della vigilia.
Quello era il primo natale senza Milena. Tutti mangiavano tranquilli, ridevano e scherzavano; o almeno ci provavano. Cercavano di fare finta di niente. Ma si sentiva una freddezza esasperata in quelle chiacchiere, una forzatura tristissima in quelle risate.
Solo Sergio era sinceramente allegro. Le sue battute era veramente divertenti. I suoi sorrisi veri.
Era la persona che più aveva amato Mila. La persona che più le era stata vicina. E forse proprio per questo riusciva ad essere sereno.
Le aveva dato tutto, e aveva preso tutto ciò che lei aveva da offrirgli. Per questo non aveva rimpianti. Non aveva conti in sospeso con Milena. E poteva ricordarla con serenità.
Così come Cristiano era l’unico a manifestare la sua tristezza e il disagio in quella situazione. Non rideva alle battute idiote degli zii, non brindava. E non giocò a tombola, dopo cena.
La mancanza di Mila si sentiva ancora di più in momenti di festa come questo. Il posto vuoto sembrava ingigantirsi sempre di più nel cuore di ognuno. Ognuno pensava che un natale senza Mila non era natale, ma nessuno lo diceva. Ognuno di loro era invaso da una malinconia sempre più opprimente che avrebbe avuto tanto bisogno di sfogare, di condividere con gli altri, per consolarsi a vicenda e per ricordare Mila come meritava. Per tenerla viva nel ricordo di tutti. Ma tutti cercavano di nasconderla, quella malinconia. Bisognava festeggiare, bisognava sorridere, bisognava far finta di niente. Milena era argomento tabù. Milena non c’era più. Milena era cancellata. Milena non esisteva. Milena non era mai esistita.
Avevano voglia di piangere, ma ridevano tutti.
Diddi, Babbo Natale e la Befana
Fu concente delusione per il piccolo Diddi lo scoprire che Babbo Natale non era il marito della befana. Un po’ come quando prese coscienza del fatto che Furia non era il cavallo di Zorro o che Licia non era fidanzata con Paolo.
Vabbé, pazienza. L’importante è che portano i regali.
Per Alì il natale era un giorno come tanti altri. Solo che c’era meno concorrenza.
Decise di fermarsi al semaforo sia la sera della vigilia che il giorno di natale, a lavare i vetri (o a tentare di farlo) agli automobilisti che andavano a messa o a spasso, o fuori città.
Al tramonto interruppe il lavoro, stese la sua stuoia per terra e si inginocchiò verso oriente a pregare come sempre. Poi riprese a lavorare.
Il giorno dopo osservò il digiuno come prevedeva la legge nel mese del Ramadan, e finalmente, al calare delle tenebre tornò a casa e festeggiò anche lui mangiando panettoni e bevendo spumante con gli amici. E la sera si addormentò come sempre pensando alle sue due mogli e ai figli lontani, in Senegal.
Il Bue e l'Asinello in visita sulla Terra
Dal paradiso degli animali il Bue e l’Asinello decisero di scendere giù nel mondo per vedere come passavano il natale gli uomini duemila anni dopo la nascita di Gesù.
Fecero tutta la trafila burocratica attraverso angeli e arcangeli e finalmente arrivarono in portineria dove san Pietro accordò loro il permesso di scendere sulla terra.
Mentre scendevano nel Mondo sognavano di ritornare, dopo tanto tempo, nella stessa grotta che aveva accolto la nascita del Salvatore, ma li avevano avvertiti che sarebbero rimasti molto delusi ad andare là, perché la grotta praticamente non c’era più, coperta da una delle tante chiese che gli uomini avevano costruito sui luoghi dove Gesù aveva vissuto. Inoltre in quei paesi erano giunti, già da molti secoli, degli uomini di un’altra religione, e la capitale della cristianità era stata da tempo trasferita in Europa, e così fu lì che il Bue e l’Asinello si diressero.
Appena arrivati in una grande città furono travolti dal traffico di macchine, accecati da mille luci fluorescenti e frastornati da un caos di chiacchiere che non lasciava spazio ai pensieri.
La città era piena di luci colorate e di macchine metalliche che correvano ovunque lasciando nuvole di fumo velenoso che tutti respiravano con indifferenza.
Tutto ciò che vedevano era fatto di cemento e di vetro.
Dapprima si convinsero di essere scesi troppo in basso e di essere finiti all’Inferno.
Non lo avrebbero saputo immaginare più mostruoso di ciò che vedevano.
Frenesia, indifferenza, veleno, urla, rumori, luci accecanti...
"Ho controllato sulla carta - rassicurò l’Asinello - è proprio la Terra !"
"La Terra ? E se questa è la Terra che fine ha fatto la terra ? Che fine hanno fatto gli alberi, il legno, la roccia, l’erba ?
Che fine hanno fatto gli animali come noi ? Non vedo asini, né cavalli, né bovi o pecore ! E che fine hanno fatto gli uomini ?".
Finalmente li riconobbero (non li avevano visti subito perché gran parte di essi era imprigionato dentro le macchine di metallo) e cominciarono ad osservarli, girando per le strade.
Videro due signore impellicciate scambiarsi opinioni sulle ultime creazioni di Armani e Valentino ; videro due tizi che dopo essersi tamponati e mandati a quel paese si riconoscevano come amici di infanzia e parlavano dei loro figli ossessionati da giocattoli sempre più costosi e sempre più violenti. Entrarono in una casa e videro una signora intenta a scrivere affannosamente bigliettini di auguri, la videro trattare male la domestica e un facchino che chiedeva una mancia. "Non ce li ho i soldi, lo vuoi capire?!".
Litigava poi con il marito rinfacciandosi le spese reciproche:
"E i tuoi vestiti del cavolo, allora?"
"E le tue sigarette!?".
"Che c’entra, anche tu fumi!"
"Sì, ma non le compro!".
Per il negoziante di via del Corso il compleanno di Gesù significava soltanto più guadagno; maltrattava le commesse e la gente che gli veniva a far perdere tempo, cioè quella che sembrava non avere tanti soldi, mentre la gente elegante e distinta la leccava ben bene anche se non comprava niente.
Il bue e l’asinello erano meravigliati e addolorati nel vedere cosa significasse, dopo tanti secoli, la nascita di Gesù per gli uomini. Gli facevano pena, questi poveri esserini che nella loro piccolezza avevano dimenticato cosa si festeggiava e si arrabbattavano tra tante cose inutili e vane. Allora decisero di rivelare la verità ad un uomo.
Scelsero un poveretto. Uno che andava in giro con una sciarpa al collo e le tasche vuote, con un berretto di lana e il naso rosso dal freddo. Camminava lentamente davanti ai negozi e guardava le meraviglie in vetrina. Cosciente di non potersi permettere niente di tutto ciò. Era uno di quelli che veniva trattato freddamente dai negozianti se entrava in una di quelle boutique di lusso. Se ne andava in giro a capo chino con l’aria mogia mogia. Non gli apparteneva niente di tutta quel fasto e di quella grandezza. Lui era un piccolo uomo. Aveva una piccola moglie e dei piccoli figli. Erano una piccola famiglia. Avrebbero avuto piccoli dolci e piccoli festeggiamenti e piccoli regali. I suoi figli avrebbero pianto e si sarebbero lamentati dei regali anziché provarne gioia, perché erano molto più umili di quelli dei loro amici. E si sarebbero domandati perché, se veramente Babbo Natale vedeva tutto ed era giusto, perché i regali più brutti li portava a loro che si erano comportati bene e avevano cercato di essere buoni tutto l’anno, mentre quei loro compagnacci viziatissimi che facevano i dispetti a tutti e picchiavano i più piccoli poi a natale ricevevano i regali più belli.
Il bue e l’asinello si mostrarono visibili a quest’uomo semplice. Gli dissero la verità.
Semplicemente la verità.
Gli rinfrescarono la memoria e gli chiarirono le idee. E l’uomo capì. E fu felice.
Pensò subito che doveva comunicare quella gioia a tutte le persone che gli stavano vicino, quelle persone che avevano un bel conto in banca, un sacco di vestiti nell’armadio, un’auto nel garage, un amante sulla coscienza e uno psicologo sull’agenda. Doveva dire la verità a tutte le persone.
Fermò il primo che gli passò davanti. E quello affrettò il passo.
Fermò il secondo. Quello lo ascoltò e poi se ne andò dicendo "guarda i matti che girano a natale".
Il terzo non lo prese sul serio. Disse "sì, ha ragione" e se ne andò.
Il quarto disse "ci penserò".
Il quinto si mise a saltare dalla gioia e disse: "Sì, dobbiamo dirlo a tutti!".
Così si sparse la voce che era nato Gesù, e che era una cosa bellissima, perché era l’uomo che ci aveva insegnato la strada per arrivare alla felicità. Tutti gli uomini capirono la verità e si liberarono delle cose futili e vane per vivere finalmente il natale nel suo vero significato.
Si chiuse il sipario e il teatrino della scuola elementare Giuseppe Mazzini risuonò degli applausi dei genitori.
Tutti erano contenti della splendida recita. Tutti si complimentavano con le maestre e con i bambini.
I genitori commentavano tra di loro.
"Ma hai visto quanto è bravo mio figlio?"
"Dai, però anche mia figlia è proprio un’attrice nata, eh ? Hai visto come faceva bene la signora isterica ?"
"Veramente ! Sembrava proprio vera ! Dove avrà imparato ?"
"Ah, non lo so. Sarà talento naturale !"
"Lo sai che glie l’ho cucito io il vestito il vestito da asinello ? Con le mie mani! Hai visto che capolavoro ?".
"Dimmi un po’, che fate per natale?".
"Noi andiamo al Sestriere, partiamo martedì, e voi?".
"No, noi per natale stiamo a casa, poi per capodanno andiamo in Sudamerica".
"Ah, noi tanto lontano no, che quest’anno dobbiamo comprare la macchina a Marco, che mica può andare ancora in giro col Pandino!".
"Ah, Giacomo invece s’è fissato che vuole la moto, gli ho detto ‘va bene, ma quest’anno per la Befana niente regalo !’, e beh, mica se possono vizià ‘sti figli !"
"Auguri allora, scappo che ciò ancora un sacco di regali da fare!".
"Anch'io, per carità, ciao!".
Gli abitanti di Verchiano il natale quell’anno lo passarono in roulotte e in tenda.
Il terremoto di settembre aveva distrutto tutte le case del paese. I bambini quell’anno a Gesù Bambino chiesero una casa di mattoni e una chiesa dove pregare.
La messa fu celebrata in un conteiner adibito a casa parrocchiale appena comprato dalla Caritas e finanziato da decine di parrocchie di tutta l’Umbria.
Isabella camminava per le vie illuminate di Roma; ogni volta che passava davanti ad un negozio nuovo veniva presa da un desiderio fortissimo di comprare le cose che vedeva, ma dal momento in cui si rendeva conto che non poteva comprarle si rendeva conto anche di quanto poco bisogno ne avesse. Allora eliminata la possibilità di appagarlo, eliminava anche il desiderio, e cinque minuti dopo, camminando per un’altra strada, si domandava come avesse potuto desiderare tanto intensamente una cosa così inutile.
Poi entrava in un negozio di giocattoli e si fermava a guardare i pupazzi, le bambole, i trenini e i bambini che chiedevano "me lo compri?". E anche lei avrebbe voluto avere un padre a cui chiedere "me lo compri ?"
Un minuto dopo era in una libreria, affollatissima di gente che guardava e sfogliava ovunque e chiedeva consigli alle commesse che ormai non chiedevano più nemmeno se dovevano fare il pacchetto.
"Guardi, se vuole fare un bel regalo le consiglio questo di Eco che ormai è un classico".
La grande chiesa dell’abbazia di Melk risuonava del Suscepit Israel cantato dai monaci nel coro. I ceri illuminavano tutto l’abside e il grande altare mentre la navata centrale della Chiesa era in penombra e le due navate laterali quasi nella tenebra.
Adso era al suo posto, composto. In silenzio.
Le voci dei monaci sembravano un coro d’angeli. Se chiudeva gli occhi poteva credere di trovarsi in paradiso.
In quei momenti riusciva a dimenticare tutte le corruzioni, le depravazioni e le ingiustizie che regnavano in qualunque monastero. Mostruosità di cui aveva dovuto prendere tristemente coscienza un tempo. Mostruosità che aveva sperimentato in prima persona.
Fissava la statua della madonna.
Bellissima.
Osservava le curve del corpo; il seno, le pieghe della veste, i lineamenti del volto. Era una donna. Una donna bellissima. Una donna vera.
Una donna.
Che parola meravigliosa e terrificante!
Come era possibile che una sola donna potesse essere la più santa tra tutte le creature di Dio e tutte le altre le più demoniache creazioni presenti in questo mondo?
Eppure aveva sperimentato in prima persona il potere diabolico della donna. Aveva vissuto sulla sua pelle come poteva una sola di quelle creature privare un uomo della propria virtù, della dignità, della rettitudine...
Eppure, nonostante questo, ogni volta che guardava quella statua così affascinante non poteva fare a meno di vedere in quel volto santo e in quel corpo bellissimo proprio quella rosa senza nome che un tempo aveva amato dal profondo del suo cuore.
Il magico Natale di Alessandro Gori
Alessandro Gori, dirigente Mediaset era nel suo ufficio a organizzare la diretta di capodanno di Canale 5 e si domandava se avrebbe fatto più ascolti Mike Bongiorno o Marco Columbro e se era meglio fare affiancare il presentatore dalla Carlucci o dalla Parietti. Si informava su quello che avrebbe fatto la Rai per rubare qualche idea, a sua volta riceveva molte telefonate di sospette spie che cercavano di informarsi sulla sua diretta.
Stendeva appunti sulla scaletta :
Dunque :
- I bambini che cantano sotto l’albero, che fanno sempre tenerezza.
- Un po’ di ballerine abbastanza spogliate da attirare i mariti ma non troppo da turbare le mamme.
- Un bel caso umano, tipo un profugo algerino da aiutare perché a natale siamo tutti più buoni.
No però, troppi stranieri no che potrebbero dare fastidio ai razzisti, meglio un bel servizio sui terremotati con annessa maratona di solidarietà e intervista ai parenti delle vittime, che comunque un po’ di lacrime ci vogliono se vogliamo fare ascolti.
- Un bel comico da quattro soldi che attira pubblico e costa poco.
- Il solito imitatore simpaticone, qualcosa come Sabani che imita Toto Cutugno.
- Roberto d’Agostino, perché un cretino doc che parla di tutto e non capisce di niente ci vuole in una trasmissione seria.
- Quel poveraccio di Mino Reitano, che ci sta sempre bene. E magari pure un cantante.
Ci vuole uno di quelli che piace alle mamme e alle figlie, ecco tipo i Ragazzi Italiani.
- Il Prestigiatore imbalsamato. Bisogna sentire se è libero Silvan, sennò prendiamo Binarelli.
E poi ci vuole una bella sorpresa, qualcosa tipo Massimo Boldi e Christian De Sica che escono da un pacco gigante vestiti con i costumi di scena di A spasso nel tempo.
Si ricordò improvvisamente che doveva dire alla segretaria di comprare i regali per sua moglie e per i figli.
La moglie, a letto, stava pensando la stessa cosa:
"Che dici, Maurì, che gli faccio a mio marito e ai bambini per natale?".
"Ci pensi dopo, dài, che adesso abbiamo poco tempo, vieni qui".
Massimo e lo spirito del Natale
Massimo cercava l’atmosfera del Natale.
In casa sua il presepio e l’albero non si facevano più da due anni. Lui le aveva sempre considerate tradizioni stupide e conformiste e non glie ne era fregato niente quando i genitori avevano cambiato religione e avevano smesso di farli. Eppure adesso ne sentiva la mancanza. Sotto natale la casa senza addobbi sembrava spoglia, fredda. Triste. C’era una qualche magia in quelle lucine che brillavano colorate nel buio della sala quando si svegliava di notte per andare a prendere un bicchiere d’acqua in cucina.
La Befana aveva smesso di arrivare la notte del sei gennaio già da dodici anni, le feste di capodanno con gli amici di famiglia in cui gli sembrava un record assoluto andare a letto alle cinque e mezza da tempo erano state sostituite con serate in discoteca con i suoi amici fino all’alba e oltre.
Gesù Bambino che porta i regali... lui non avrebbe mai insegnato idiozie simili ai suoi figli, perché bisogna prenderli in giro e trattarli da cretini? Così come non gli avrebbe insegnato ad andare a messa e non li avrebbe battezzati per rispettare la loro libertà. Perché non è giusto costringere a diventare cristiano un povero neonato che non può nemmeno capire cosa significhi né potrebbe opporsi a quello che gli stai facendo se pure lo capisse. Qualcuno ci prova, ad opporsi. Urlano e strepitano ma niente, non ti salvi. Per questo si sono dovuti inventare la cresima. E vorrei sapere poi quanti fanno la cresima perché vogliono diventare cristiani e non perché i genitori li mandano a catechismo e glie la fanno fare.
La messa di mezzanotte non aveva più alcun significato per lui. Anzi, era l’aspetto del natale che trovava più stupido, insensato e addirittura irritante.
La messa di mezzanotte. Tutti vanno a messa la notte di natale. Anche lui c’era andato, con i genitori, fino a due anni prima. Solo a natale, è ovvio. A natale e a pasqua. A messa. Non è che avesse grande stima di quelli che vanno a messa tutte le domeniche, ma quelli che vanno a messa solo la notte di natale, solo per battesimi, cresime e funerali, solo per sposarsi, li guardava con un disprezzo cocente. Conformismo allo stato puro, lo chiamava.
Lui non si sarebbe mai sposato in chiesa solo per gli addobbi, l’atmosfera, solo perché lo facevano tutti. Lui era una persona coerente.
Dei cattolici praticanti apprezzava se non altro la coerenza. Ma quelli che si dichiarano cattolici perché è troppo scomodo ammettersi atei ma che vanno a messa solo a natale e a pasqua perché è troppo scomodo svegliarsi la domenica mattina alle dieci e perdere un’ora in chiesa… li disprezzava tanto quanto i democristiani che parlavano male del governo.
La sera di natale giocava a carte e a tombola. E dopo vent’anni di tombole e giochi di carte gli veniva la nausea solo all’idea di mettersi seduto davanti al tavolo con la tovaglia verde.
Allora si alzava e mentre gli altri giocavano lui leggeva un libro, o sentiva la musica, o accendeva la televisione.
Massimo girava per le strade e cercava il natale. Cercava quella magia che riempiva tutta la città quando si avvicinava. Quella magia che sentiva dentro una volta, e che sentiva perdere sempre di più anno dopo anno, mano mano che diventava adulto.
Daddo e Nene a caccia di Babbo Natale
Mancava un quarto d’ora a mezzanotte e Daddo e Nene cercavano di tenersi svegli sui loro lettini. Gli occhi si chiudevano a Daddo. Era stanco. Nene allora gli parlava per tenerlo sveglio. "Dai, resta sveglio, è quasi ora, forza, che quest’anno lo vediamo!".
Oh, sì, quest’anno ci sarebbero riusciti. Quest’anno non si addormentavano prima del suo arrivo. Tenevano la porta socchiusa e spiavano a turno dal buco della chiave.
Aprirono la porta di pochi millimetri e si affacciarono a guardare.
Tutto tranquillo.
La sala era buia. Nel grande presepio brillavano le luci della grotta e delle case; in lontananza, sullo sfondo, c’erano piccole grotte con focolari accesi. Le avevano fatte loro con il das.
L’unico rumore che si avvertiva era il ronzio delle luci dell’albero che lampeggiavano.
Passarono in punta di piedi attraverso il corridoio e arrivarono in sala. Si guardarono bene intorno. Niente.
Allora si infilarono senza fare rumore sotto il presepio.
Era come una grotta magica.
Il presepio era fatto sopra dei tavolini; se se ne stavano rannicchiati là sotto. Era il loro rifugio preferito. Dietro di loro la carta da parati del muro, davanti la carta verde che copriva la base del presepe.
Si misero ad aspettare lì.
Prima o poi sarebbe arrivato, e questa volta sarebbero riusciti a vederlo.
Ore 23:46, ore 23:46, ore 23:46...
La radio non smetteva di ripetere quell’odiosa frase.
...ore 23:46...
Era tardi, e lei non si era ancora sentita.
Claudio guardava il telefono. Lo stava fissando da ore, ma quello si ostinava a rimanere in silenzio. Ormai non sarebbe arrivata. Lo sapeva che non sarebbe arrivata.
Fuori scendeva la neve, nessuno l’avrebbe fermata quella maledetta neve.
Che natale è questo qua? si domandava Claudio, mentre continuava a fissare il telefono.
La tavola era apparecchiata per due persone. Al centro c’era una candela che si stava ormai consumando.
Non verrà.
Claudio guardava fuori della finestra. Sentiva le campane a festa. Non per lui.
I suoi occhi erano vetri appannati. Guardava i fiocchi di neve scendere sulla città, e gli sembravano tante lacrime che scendevano dal cielo.
Santa Lucia e la vecchia cattiva
Per i bambini di Lenna la notte del 13 dicembre era anche più importante del Natale.
Davanti al caminetto Nonna Ada raccontava alla piccola Lina la storia di Santa Lucia, che quella sera sarebbe passata in tutto il paese a portare i regali ai bambini.
"Ma perché si chiama proprio Lucia?" domandava Lina stringendosi nello scialle e avvicinandosi al camino.
"Perché porta la luce - diceva la nonna - hai visto che dalla fine dell’estate le giornate si sono fatte sempre più corte? E’ l’Inverno, che ha portato il buio e il freddo. Ma questa notte Lucia verrà a combattere il freddo e la cattiva stagione. Caccerà via l’Inverno e farà largo alla primavera che porterà il caldo e così le giornate ricominceranno ad allungarsi".
"Ma perché Santa Lucia porta sempre quelle uova sul piattino?" domandava la piccola pensando alla statua che tante volte aveva osservato nella chiesa di San Francesco.
"Non sono uova, sono i suoi occhi! Devi sapere che quando è nata Lucia c’era ancora la religione pagana, e i cristiani, se non si convertivano, venivano ammazzati tutti dai romani!".
"Veramente? - domandò Lina meravigliata - e cosa gli facevano?".
"Li davano in pasto ai leoni, nel Colosseo. Oppure li mettevano in croce, come Gesù e san Pietro, o gli tagliavano la testa, come hanno fatto a San Paolo, o li bruciavano sulla graticola come san Lorenzo".
Gli occhi della bimba si riempirono di orrore.
"Lucia era una cristiana, ed era una ragazza bellissima e i suoi occhi erano meravigliosi. Pieni di luce! Ovviamente Lucia si era votata alla castità e anche solo la vista di un uomo le procurava fastidio e la metteva a disagio. Ora, un soldato romano molto cattivo si era innamorato di lei e aveva preso a corteggiarla sfacciatamente dicendole che in un modo o nell’altro sarebbe riuscito ad avere quegli splendidi occhi tutti per sé. Allora Lucia sai cosa ha fatto? Si è cavata gli occhi e glie li ha mandati su un piattino con un messaggio: "ti piacevano tanto, ora sono tutti per te!".
Per questo adesso è la protettrice della vista".
Quella notte Santa Lucia passò per le case di Lenna come ogni anno e portò i regali a tutti i bambini del paese.
Eppure a Lina non portò niente. Così come non portò niente a molti altri bambini poveri.
"Perché? - piangeva Lina - perché se è tanto buona a me non ha portato niente?".
"Non è stata colpa sua - diceva nonna Ada mentre la accarezzava e le asciugava le lacrime".
"E’ stata una vecchia cattiva e malefica che ha fermato Lucia mentre passava per le case e le ha rubato tutti i regali lasciandola senza niente! E’ per questo che non ha fatto in tempo ad arrivare qui. Non è colpa sua!".
"E’ chi è questa vecchia cattiva? Voglio vederla!".
E la nonna la accontentò. Fece vestire la nipote e uscirono di casa camminando per le vie fredde di Lenna fino ad arrivare alla piazza principale. Là trovarono tanta altra gente. C’erano tutti i bambini poveri del paese con i loro genitori. Al centro della piazza c’era un grande falò.
"Guarda" disse Ada indicando a Lina una vecchia molto brutta, dal volto legnoso e il portamento rigido, che sembrava appoggiata al muro in un angolo della piazza.
"E’ lei! L’hanno presa e adesso la puniscono!".
La folla si gettò sulla vecchia e questa si lasciò trascinare nel falò senza ribellarsi.
La gettarono nel fuoco e quella cadde dentro come una scopa.
Lina guardava la vecchia ardere nel fuoco, punita finalmente delle sue malefatte. Punita per averle impedito anche quell’anno di essere felice come tutti gli altri bambini.
Un leggero ghingno di soddisfazione si disegnò sul volto della bambina.