<<<- |
. . . . . . . . . . . . . |
Prostituzione e ipocrisiadi don Vinicio Albanesi
[presidente del
Coordinamento nazionale
comunità d'accoglienza (Cnca), pubblicato nella rubrica "In
Italiano"
dell'agenzia stampa Redattore Sociale (www.redattoresociale.it).]
Ritorna spesso in Italia la discussione sulla prostituzione: in genere quando qualcuno - questa volta il Presidente del Consiglio - protesta per le scene non edificanti sulle strade; qualche altra volta per le lamentele di abitanti di quartieri a rischio. Le tesi contrapposte sono due. La prima dice: sistemiamo, una volta per tutte, la storia della prostituzione. Considerato che la prostituzione in sé non è reato, tanto vale organizzarne l'esercizio. Case chiuse, cooperative, quartieri a luce rosse, vetrine ecc. diventano varianti della regolamentazione. Si tratterebbe, in ultima analisi, di trovare la forma più efficace per l'igiene, la sicurezza, la tranquillità sociale, il fisco, la lotta allo sfruttamento. Esempi di organizzazione non mancano: Olanda, Germania non sono che spunti di un'unica soluzione. Lo stato interviene per i risvolti di ordine pubblico (tranquillità, igiene, tasse ecc.) considerando la prostituzione tra adulti un'attività lecita. Una seconda ipotesi, molto minoritaria, dichiara che la prostituzione in sé è un mercato "turpe" e come tale va combattuto: non solo sul versante delle donne e uomini che si prostituiscono, ma anche sul versante dei clienti. Un mercato "turpe" non può essere regolamentato, ma semplicemente combattuto e represso. In Italia sembra prevalente la prima tesi: tanto vale, con coraggio, assumersene le conseguenze e iniziare una ipotesi di regolamentazione. La soluzione però sembra troppo forte, perché regolamentare la prostituzione con una legge fa male a quel "senso comune del pudore" che non sappiamo se derivi dalla coscienza cattolica o semplicemente dalla cultura araba-mediterranea a forte tinte familistiche. La conseguenza è che la prostituzione è sparsa sul territorio nazionale, poggiando su variabili che sfuggono a qualsiasi logica. Si assiste così alla contraddizione di un vasto permissivismo culturale e a repressioni per la tutela dei propri territori (si vedano le campagne, in genere estive, dei sindaci delle coste adriatiche) anche molto forti. Personalmente siamo sostenitori della seconda ipotesi: la prostituzione va combattuta perché è uno scambio che non rispetta la dignità delle persone. Quella stessa dignità che impedisce altri contratti ritenuti "turpi": la bigamia, ad esempio, la compravendita di un bambino per una coppia sterile, la cessione di un organo a scopo lucrativo. Il sospetto è che permanga, nella sottocultura che definisce la prostituzione l'arte "più antica del mondo", un forte contenuto possessivo, per cui il padrone (uomo in genere, ma recentemente anche donna) possa "comperare" molte cose: tra queste anche le prestazioni sessuali. E' forse questo il motivo che vede accomunate culture apparentemente contrapposte, ma che si riunificano nel comune denominatore dell'acquisto. L'ipocrisia recente mette insieme sostegno alle famiglie regolari e regolamentazione della prostituzione, quasi a voler definire le regole morali del "benpensante" che ha una famiglia perfetta, ma a cui qualche passaggio dalla prostituta o dal femminiello fa bene alla salute. La volgarità e l’ipocrisia non hanno più limiti. Don
Vinicio Albanesi – Presidente Coordinamento Nazionale Comunità di
Accoglienza (C.N.C.A.) 7
gennaio 2002 _________________________________________________________________ |