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IMMIGRAZIONE Schiavi in Europa di Nicola Coccìa
Il disegno di legge Bossi-Fini non
diverge molto dalle proposte di
direttiva europee: contingentare i
flussi, rendere lo straniero
ricattabile e legato come uno schiavo
alla sua precarietà di
immigrato, destrutturando così l'intero
mercato del lavoro
È attualmente all'esame della
Commissione affari costituzionali del
Senato il disegno governativo n° 795
(cosiddetto Bossi-Fini) di
riforma del Testo Unico delle
disposizioni sull'immigrazione. Ove
approvato, modificherebbe sensibilmente
in peggio la già pessima
legge vigente Turco-Napolitano,
caratterizzandosi per la
sostanziale riduzione del complesso
fenomeno sociale
dell'immigrazione alla dimensione
dell'ordine pubblico e per
l'ulteriore compressione delle
condizioni dell'immigrato, già ridotto a
mero fattore della produzione, da
sfruttare il massimo possibile al
minor costo.
NEL QUADRO DI SCHENGEN
L'evidente inasprimento della politica
di chiusura (l'obiettivo non
troppo nascosto è l'"immigrazione
regolare zero") non costituisce
però un'anomalia italiana, iscrivendosi
a pieno titolo nella normativa
europea in corso di preparazione,
applicativa dell'accordo di
Schengen.
Propio mentre l'Onu pubblicava studi
demografici in base ai quali -
per mantenere inalterati l'equilibrio
fra popolazione attiva e inattiva e
la capacità produttiva - l'Europa
dovrebbe consentire milioni di
ingressi (160 entro il 2050, di cui 17
in Italia, per circa 350.000
nuovi ingressi all'anno, contro gli
attuali 60/80.000 in gran parte a
termine), il vertice dell'Ue, riunito a
Tampere a fine 1999, tracciava
una politica assolutamente restrittiva,
trasfusa oggi in una serie di
proposte di direttiva le cui regole, in
fondo, non divergono molto da
quelle del disegno Bossi-Fini.
CONTINGENTAMENTO DEI FLUSSI
Così, tanto per fare qualche esempio,
nell'ambito del comune
orizzonte del contingentamento dei
flussi (proprio la proposta della
commissione n° 386/2001 di direttiva
del Consiglio consente agli
Stati membri di imporre tetti massimi
per gli ingressi e di
sospendere il rilascio di permessi), il
modello pressoché unico di
ingresso legittimo previsto dal progetto
Bossi-Fini, che vincola la
possibilità di ottenere il permesso di
soggiorno alla previa
stipulazione dall'estero di un contratto
di lavoro con domanda
presentata tramite le rappresentanze
consolari, è il "normale"
meccanismo di ingresso previsto dalla
proposta di direttiva
comunitaria sopra citata (art. 5).
Tale proposta considera solo
"eventuale" la possibilità per gli Stati
membri di stabilire ulteriori ipotesi di
ottenimento del (o conversione
in) permesso di soggiorno per lavoro per
chi, entrato per turismo,
studio o ricerca di lavoro, abbia
effettivamente trovato un impiego.
Nessuna sostanziale discrepanza nemmeno
in materia di durata
del permesso di soggiorno: la durata
massima prevista dal progetto
Bossi-Fini (2 anni, come nella vigente
legge Turco-Napolitano) si
colloca all'interno della previsione
comunitaria la quale, senza
fissare una durata minima, stabilisce
che il permesso possa
essere concesso per un "periodo
iniziale non superiore a 3 anni".
IL "CONTRATTO DI SOGGIORNO"
Quanto al vincolo sempre più stretto
che lega la permanenza dello
straniero al mantenimento del posto di
lavoro (con l'evidente effetto
di costringere gli immigrati ad
accettare qualsiasi forma di lavoro a
qualsiasi condizione, purché possa
servire, seppure nel breve
periodo, ad evitare l'espulsione),
l'introduzione del "contratto di
soggiorno" del progetto Bossi-Fini
trova riscontro nella proposta di
direttiva europea, che prevede
l'accorpamento in un unico atto
amministrativo del permesso di lavoro e
di soggiorno.
Inoltre, il progetto governativo dimezza
rispetto ad oggi (da un anno
a 6 mesi) il periodo massimo di
disoccupazione, trascorso il quale
si fuoriesce, se non dall'Italia, dalla
regolarità (determinando un
aumento della clandestinità cosiddetta
"di ritorno" anche per
lavoratori regolarmente presenti in
Italia da lungo tempo, magari
con famiglia). Ma la proposta di
direttiva non prevede condizioni
migliori: il periodo massimo di
disoccupazione, trascorso il quale
scatta la revoca del permesso di
soggiorno, è di 3 mesi per quanti
abbiano lavorato regolarmente meno di 2
anni e di 6 mesi per
coloro che abbiano lavorato più a lungo
(art. 10).
LA NUOVA SCHIAVITÙ
E ancora: l'attribuzione di un diritto
di preferenza ai lavoratori italiani
(o meglio, comunitari) è in sintonia
con la proposta di direttiva, che
sancisce espressamente il principio
secondo cui "un posto di
lavoro può essere occupato da un
lavoratore extracomunitario
soltanto dopo un'attenta valutazione del
mercato interno", quindi
solo "se il posto non può essere
occupato da un cittadino dell'Ue"
(art. 6).
Come corollario la proposta di direttiva
(scavalcando di molto Bossi
e Fini) vincola lo straniero allo
svolgimento dell'attività per la quale
gli è stato consentito l'ingresso,
consentendo agli Stati membri di
limitare il permesso "allo
svolgimento di attività di lavoro
subordinato in una regione
specifica" (art. 8) e comunque
prevedendo che ogni variazione debba
essere comunicata
all'autorità competente e da questa
autorizzata. In altre parole:
poiché allo straniero è concesso di
entrare solo se un lavoratore
comunitario non può o non vuole
occupare uno specifico posto di
lavoro, una volta entrato non gli è
concesso di cambiare attività o
zona ma è indissolubilmente legato al
suo posto di lavoro, come lo
schiavo ai remi della galea...
ATTACCO AL SISTEMA DEI DIRITTI
Certo nella prosa del legislatore
europeo non ci sono tutti gli
eccessi dettati dal furore xenofobo
della destra italiana. Si pensi
alla previsione nel disegno Bossi-Fini
di generalizzare l'espulsione
per gli irregolari con sommaria
procedura amministrativa, da
eseguirsi con immediato accompagnamento
alla frontiera (previo
internamento nei centri di permanenza),
in violazione palese
dell'art.13 della Costituzione che
riserva agli atti motivati
dell'autorità giudiziaria ogni misura
limitativa della libertà personale,
secondo quanto già espressamente
affermato dalla Corte
costituzionale con sentenza n°
105/2001.
Ma l'Europa è ben disposta a
rimodellare verso il basso l'intero
sistema dei diritti civili e umani:
basti pensare all'istituzione dei
"campi" e alla creazione di un
diritto speciale per stranieri, che
possono essere sottoposti a misure
privative della libertà senza
aver commesso alcun fatto penalmente
rilevante. Ciò non
costituisce certo un'anomalia italiana:
l'arresto/detenzione di una
persona contro cui è in corso un
procedimento di espulsione è
infatti espressamente previsto sin
dall'art. 5 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà
fondamentali (sic) del 1950.
LO STRANIERO È IL NUOVO NEMICO
Il fatto è che in Italia come in Europa
lo straniero è considerato
potenzialmente un nemico, mentre
l'immigrazione è trattata come
un fenomeno composto da una pluralità
di scelte individuali di fuga
dalla povertà, assumendo un punto di
vista che prescinde del tutto
dall'analisi delle cause sociali ed
economiche del fenomeno.
Si nega così - con una mistificante
costruzione ideologica -
l'evidente incidenza sui flussi
migratori delle politiche economiche
occidentali: allargamento dei mercati,
politiche ultraliberiste e di
riduzione della spesa sociale imposte
dal Fmi e dalla Banca
mondiale, industrializzazione,
trasformazione dell'agricoltura. Per
non parlare delle guerre e delle
politiche di impoverimento e
saccheggio delle risorse naturali dei
paesi del Sud del mondo (che
costituiscono l'altra faccia del
rapporto Nord/Sud).
Il circolo diventa così vizioso: con la
guerra e la neocolonizzazione
si alimentano le cause dell'emigrazione,
che si cerca di tenere
sotto controllo essenzialmente con lo
strumento poliziesco e
quindi con un'altra guerra a bassa
intensità, ma non per questo
meno cruenta (l'accordo sul Nuovo
concetto strategico Nato
sottoscritto dai governi dell'alleanza
nel 1999 inserisce fra i rischi
incombenti per la "stabilità
euro-atlantica" proprio i "movimenti
incontrollati di un gran numero di
persone, in particolare come
conseguenza dei conflitti armati").
SPINTI ALLA CLANDESTINITÀ
In fondo, la ricetta poliziesca proposta
per controllare i flussi è
sempre la stessa e produce soprattutto
clandestinità. Se da un
lato muraglioni e controlli elettronici
non fermano l'immigrazione -
come dimostra la frontiera fra Usa e
Messico -, dall'altro il
meccanismo di ingresso previa chiamata
nominativa dall'estero da
parte del datore di lavoro era già
previsto in Italia prima del 1998 e
ha fatto sì che quasi il 50% degli
stranieri oggi regolarmente
soggiornanti lo siano esclusivamente
grazie alle varie sanatorie
(quasi un milione di stranieri
regolarizzati fra il 1987, il 1990, il 1995
e il 1998), essendo pertanto entrati nel
territorio dello stato
irregolarmente. Se si tiene conto che un
altro 25% circa degli
ingressi è dovuto ai ricongiungimenti
familiari, si deduce che la
percentuale degli ingressi regolari per
lavoro subordinato è
trascurabile (dati Istat).
Si vuole quindi, più o meno
consapevolmente, mantenere (se
possibile, accentuare) un sistema
bloccato, in cui alla sostanziale
impossibilità di entrare regolarmente
non può che corrispondere un
incremento degli ingressi clandestini,
con ciò che comporta in
termini di costi per i migranti,
marginalizzazione, spinta verso la
criminalità ecc. - proprio il fenomeno
che demagogicamente si dice
di voler combattere. Questo, in realtà,
perché la presenza di un alto
numero di clandestini costituisce e
rinnova continuamente un vero
esercito industriale di riserva composto
da soggetti "flessibili" per
eccellenza, in quanto
"non-esistenti", e così indispensabili a
questa economia per la loro ricattabilità.
LAVORATORI SOTTO RICATTO
Allo stesso modo, quanto più stretto
sarà il legame fra permesso di
soggiorno e contratto di lavoro, tanto
meno potere contrattuale avrà
anche il lavoratore straniero regolare,
che in caso di perdita del
posto di lavoro rischia di essere
licenziato... dall'Italia.
La diffusione di valori xenofobi, la
tolleranza zero, la rassicurazione
dell'elettorato attraverso la riduzione
del numero e della durata dei
soggiorni e la (inattuabile) espulsione
generalizzata e immediata,
servono quindi soprattutto a creare e
mantenere in condizioni di
invisibilità un amplissimo bacino di
manodopera a bassissimo
costo, che, per di più, non ha alcuna
possibilità di associazione o
anche solo rivendicazione dei diritti
minimi (casa, istruzione, lavoro,
sanità).
E non solo: tenendo ai margini della
società centinaia di migliaia di
stranieri si rende ancora più
flessibile e si destruttura l'intero
mercato del lavoro, abbassando anche il
potere di contrattazione
dei lavoratori italiani, poiché la
concorrenza inter-nazionale fra
lavoratori serve solo a ridurre i salari
e, più in generale, le
condizioni di vita e di lavoro.
Non è solo un problema da affrontare in
nome della solidarietà
quindi, poiché la difesa dei diritti
dei migranti è elemento centrale e
ineludibile per combattere la logica del
sistema economico
liberista.
Da Guerre & Pace
N. 86 - Febbraio 2002
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