<<<- |
. . . . . . . . . . . . . |
Italia, quando partivano i bastimenti di Enrico Pugliese
Una nomumentale "Storia
dell'emigrazione italiana" edita da Donzelli. Molti
i materiali offerti, in gran parte
dedicati alla "grande migrazione"
transoceanica. In secondo piano rimane
il movimento migratorio verso la
Svizzera e la Germania negli anni
Cinquanta e Sessanta
Il ponderoso volume di storia
dell'emigrazione italiana curato da Piero
Bevilacqua, Andreina De Clementi e
Emilio Franzina - Storia dell'emigrazione
itaiana, Donzelli editore, pp. 701,
39,77 euro - rappresenta un'utile fonte
per chi vuol conoscere la rilevanza di
questo fenomeno nella storia
italiana. Esso si compone di quattro
parti: "I quadri generali",
"L'emigrazione di massa nell'età
liberale fino agli anni trenta", "I
movimenti migratori dagli anni trenta
alla fine del novecento" e
"L'immaginario e la
rappresentazione dell'emigrante". Assente è però
un'introduzione da parte dei curatori
volta a sistemare il materiale
raccolto, anche se il saggio conclusivo
di Emilio Franzina cerca di tirare
alcune conclusioni sull'incidenza -
sociale, culturale e politica -
dell'emigrazione nelle vicende italiane.
Ma l'assenza di una introduzione
sistematica riflette la mancanza di un filo
conduttore capace di legare gli
interventi tematicamente eterogenei e
presentare così un disegno unitario,
individuando continuità e rotture,
nonché le caratteristiche generali
dell'emigrazione italiana, le sue
specificità e la sua articolazione nei
diversi momenti storici. E questo è
un peccato perché si tratta di un
volume "ricco", frutto della
collaborazione di alcuni tra i
principali esperti dell'emigrazione italiana.
Un testo, quindi, che presenta indubbi
elementi di originalità anche per
l'attenzione dedicata a esperienze
migratorie che hanno sempre avuto scarsa
attenzione negli studi su questo
fenomeno. Penso al contributo di Brunello
Mantelli sull'emigrazione di manodopera
italiana nel Terzo Reich, al breve
saggio di Raul Pupo sull'esodo forzoso
dall'Istria o a quello di Oscar
Gaspari sulle migrazioni rurali in
occasione della bonifica e la
colonizzazione dell'Agro Pontino. Questi
sono stati momenti importanti - di
portata e caratteristiche diverse da
quelle delle due grandi ondate
migratorie più studiate - e comunque
preziosi per arricchire il quadro del
fenomeno affrontato nel libro.
L'obiettivo della raccolta è dunque
estremamente ambizioso. Scrivono gli
autori e l'editore nella breve
presentazione: "Da un lato si tratta di
operare una sorta di `decantazione della
memoria', asportando le scorie di
una retorica appiccicosa e malinconica,
che è stata spesso il contraltare di
una gigantesca rimozione collettiva.
Dall'altro è il caso di recuperare
molti significati analitici e insieme il
senso complessivo di una ricerca
dell'identità nazionale come identità
`aperta', disposta all'ibridazione,
mai arroccata in una presunta
autosufficienza".
E' difficile dire - dopo un attenta
lettura dei saggi - quanto gli autori
siano riusciti a raggiungere questi
ambiziosi obiettivi scientifici e
politici. I materiali costituiscono
sicuramente un buon contributo alla
conoscenza delle molteplici dimensioni
dell'emigrazione italiana e alla sua
divulgazione. Certamente utile da questo
punto di vista è infatti il saggio
di Golini e Amato che fornisce una
documentata presentazione della
evoluzione del fenomeno - in riferimento
alla sua portata e alle
destinazione dei flussi migratori - ma
anche dell'articolazione della
presenza degli italiani nel mondo. Così
come interessanti sono, per motivi
diversi, i due saggi di Matteo
Sanfilippo, che tra l'altro fornisce un
generale quadro storico del fenomeno e
un tentativo di individuare un filo
interpretativo, concludendo che "un
solo elemento è costante: la
costituzione di una rete migratoria che
si avvale dell'apporto familiare e
che lega i luoghi di partenza e quelli
di arrivo". Insomma la "catena
migratoria" risulta elemento
caratterizzante anche per la storia
dell'emigrazione italiana.
Sul versante degli studi culturali,
invece, il denso capitolo di Gian Piero
Brunetta su "Cinema e
Emigrazione" tratta sia la produzione straniera, in
prevalenza statunitense, sia quella
italiana nelle diverse epoche.
Soprattutto nella prima - nota Brunetta
- accanto a film capaci di esprimere
simpatia per i migranti, c'è la
sistematica riproposizione di stereotipi, in
particolare quella dell'emigrato
italiano mafioso. Ma in generale "la storia
di un destino di fame e miseria cui ci
si ribella, del trauma e del dolore
per la rescissione del cordone
ombelicale con la madre patria, dell'epopea
relativa al cammino della speranza verso
la terra promessa... del lungo e
sofferto processo di integrazione ... è
ben scandita, con motivi ricorrenti
e perfettamente coesi nei cent'anni del
cinema appena celebrati". Il cinema,
come annota in maniera convincente
Brunetta, ha dunque svolto un ruolo
positivo in questo campo. Così come
positivo appare il riferimento al
"cammino della speranza" -
titolo di un celebre film di Pietro Germi, con un
grandioso Raf Vallone emigrante
siciliano clandestino - che è utile per
comprendere l'immigrazione verso
l'Italia di oggi, con la forzata condizione
di clandestinità a cui sono condannati
a vivere molti migranti nel nostro
paese.
E tuttavia, e nonostante la ricchezza
del materiale presentato, nel volume
si nota una lacuna di rilievo rispetto
agli ambiziosi obiettivi. Questo non
significa che ci sarebbe stato bisogno
di ulteriori interventi. Il limite va
ricercato semmai nell'impianto
dell'opera che risulta, sia a livello di
documentazione che a livello di
interpretazione, squilibrato, provocando
così una sottovalutazione della
portata, delle caratteristiche e delle
specificità delle grandi migrazioni
intra-europee nei "trent'anni gloriosi"
dello sviluppo economico post-bellico.
In altri termini all'emigrazione
italiana verso le "aree forti
d'Europa" trainata dallo sviluppo industriale
tra gli anni Cinquanta e Settanta è
dedicato troppo poco spazio e troppa
poca attenzione. L'unico saggio che
tratta specificamente la questione è
quello brevissimo di Federico Romero: un
testo attento alla dimensione
strutturale del fenomeno, di contenuto
per altro condivisibile, che però non
riesce a dar conto della complessità e
delle specificità di quella grande
esperienza migratoria. Né, ovviamente,
riempiono questa lacuna i riferimenti
alle migrazioni italiane in Europa
sparsi qua e là nei diversi saggi che
compongono il volume.
Il periodo storico preso in
considerazione dura infatti un secolo e qualche
decennio con lo spartiacque
rappresentato dagli anni Trenta. Ma, mentre nel
primo periodo che va "dall'età
liberale fino agli anni `30" si consuma
l'intera vicenda della emigrazione
transoceanica (la "Grande emigrazione")
che ha il suo culmine nei decenni a
cavallo del secolo, nel secondo periodo
non c'è alcun elemento unitario o
costante. Le migrazioni non assumono mai
caratteristiche di massa, fino alla
seconda metà degli anni Cinquanta,
quando esplode una nuova grande
emigrazione avente la Svizzera e la Germania
come destinazioni principali, al punto
che per un decennio è lecito parlare
di una ripresa della grande epopea
dell'emigrazione italiana. Ma
quest'ultima fase non sembra però
destare un interesse particolare da parte
degli autori.
Eppure il confronto tra le due grandi
emigrazioni italiane, quella
transoceanica a cavallo del secolo e
quella verso l'Europa - non le uniche,
come per altro ben mostrato dal libro,
ma certo le più importanti - avrebbe
permesso di comprendere ancora meglio le
dinamiche migratorie e i
comportamenti dei suoi protagonisti.
Pensiamo al più stretto rapporto, nel
secondo caso, con l'area di provenienza
dovuto al frequente andirivieni, a
sua volta intrecciato con la politica
migratoria del principale paese di
arrivo, la Germania, che praticava un
modello "rotatorio", definendosi,
contrariamente agli Stati uniti,
"paese non di immigrazione". E così via di
seguito.
E' vero che l'epoca delle grandi
migrazioni intraeuropee copre uno spazio
temporale breve, almeno nella sua fase
di fenomeno massa a cavallo tra gli
anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Ma
in quegli anni, proprio per effetto
del turn over ben più alto che nel caso
della "Grande emigrazione",
l'esperienza ha coinvolto un numero di
persone estremamente elevato. Si è
trattato inoltre di una emigrazione i
cui effetti sul tessuto sociale delle
regioni di partenza sono paragonabili -
e probabilmente superiori - a quelli
della "grande emigrazione"
verso gli Usa, anche perché si sommavano in
maniera interessante a quelli delle
migrazioni interne anche esse trainate
dall'intenso sviluppo industriale. E
anche un qualche riferimento in più a
queste ultime - proprio per i loro nessi
con le contemporanee migrazioni
intraeuropee - non sarebbe stato
pleonastico in un'opera che vuole
"asportare le scorie di una
retorica appiccicosa e malinconica che fa da
contraltare di una gigantesca rimozione
collettiva". Tanto più che nel
volume qualche saggio è comunque
dedicato a movimenti di popolazione interni
al paese: importanti, come abbiamo
accennato, ma di portata ben più modesta
di quelli riguardanti la Germania e la
Svizzera.
L'analisi delle analogie e delle
differenze tra i due grandi momenti della
storia dell'emigrazione italiana sarebbe
stata di grande utilità anche per
chi oggi cerca di comprendere le
caratteristiche e gli aspetti dei nuovi
movimenti migratori internazionali che
riguardano l'Italia come paese di
immigrazione: caratteristiche che a
volte ricordano la "Grande emigrazione",
a volte le migrazioni intra-europee a
noi più vicine. A volte, infine,
quelle ancora precedenti (alle quali si
riferisce anche Franzina nelle
conclusioni) con i suonatori italiani e
altre figure di marginali usate dal
pensiero dominante per alimentare lo
stereotipo dell'"emigrazione
vergognosa".
Insomma, il libro ha due limiti: la
mancata esplicitazione di un quadro
interpretativo e la scarsa attenzione
per l'emigrazione europea del
dopoguerra. Detto questo, va ribadito
che esso ha un indubbio pregio, specie
come opera di consultazione. E - cosa
che non guasta - la raccolta di saggi
è arricchita da foto e illustrazioni, a
partire ovviamente da quella
classica del 1894 di Raffaello Gambogi
"Emigranti", che compare
sistematicamente nella iconografia sulla
emigrazione italiana e che più di
ogni altra corrisponde all'immaginario
radicato sulla emigrazione italiana.
da "Il Manifesto", 26 febbraio
2002
_________________________________________________________________ |