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Siamo tutti un po' islamici
Una moschea a Lodi?
Mai!, grida la Lega, per razzismo e per ignoranza.
Eppure, fin dal
Medioevo, l'Europa succhiò la filosofia, la scienza, la
letteratura, i sogni dei
musulmani. Una ricerca molto attuale, da
consigliare al cardinale
Biffi
di Carlo Saccone
MILANO.
Questo testo.
Come sapete, la Lega ha manifestato
contro la costruzione di una moschea, a
Lodi. E prima ancora un alto prelato, il
cardinale Giacomo Biffi, ha chiesto
di vietare l'ingresso in Italia agli
immigrati islamici. E infine, uno
studioso di istituzioni, il professor
Giovanni Sartori, ha scritto un libro
dedicato alla "integrazione
impossibile". Tutto questo nei giorni in cui a
Gerusalemme la religione - addirittura
le singole pietre sono state
simbolicamente passeggiate, distrutte,
rivendicate - ha immediatamente
innescato morti, ferimenti, atrocità,
martirii.In questo testo troverete
tutta un'altra storia: la fantastica
epopea dei rapporti tra ebrei,
cristiani e musulmani, a partire dal
medioevo e fino ai giorni nostri.
Ansie, paure, curiosità che hanno
prodotto la nostra cultura attuale. Carlo
Sacconi, uno dei nostri più autorevoli
studiosi dell'Islam, vi accompagnerà
in un viaggio sorprendente.
In una lettera a Giovanni Dondi (Seniles,
XII, 2), il Petrarca scriveva:
"Arabes vero quales medici tu scis.
Quales autem Poetae scio ego, nihil
blandius, nihil mollius, nihil
enervatius, nihil turpius"! Lo scriveva nel
Trecento e, al di là della valutazione
sul merito del giudizio del grande
aretino, quel che balza subito agli
occhi è l'evidente impatto, il
prestigio, l'indubbio ascendente che la
cultura e la scienza arabo-musulmane
esercitavano sul mondo intellettuale del
nostro tardo medioevo.
Se si passa a leggere Dante, ci si rende
conto che tanta parte della sua
opera, considerata oggi con occhi nuovi,
mostra una riverente considerazione
per la scienza e la filosofia di un
Avicenna o un Averroè, personaggi che il
poeta della Commedia colloca
rispettosamente nel limbo, piuttosto che nel
profondo dell'inferno in compagnia di
Maometto.
Ecco, proprio questo Maometto, scagliato
nel profondo dell'inferno dal poeta
che meglio rappresenta la coscienza e
l'anima europea del tempo, accusato
delle colpe più turpi e punito nei modi
più degradanti, ci fa forse
riflettere e capire meglio il senso
delle parole di un grande islamologo
britannico, William Montgomery Watt, che
a lungo meditò su queste tematiche.
In un saggio dall'eloquente titolo The
influence of Islam on Medieval Europe
(London, 1972, trad. it. L'Islam e
l'Europa medievale, Oscar Mondadori,
Milano, 1991), dopo avere analizzato una
serie impressionante di antichi
pregiudizi cristiani sui musulmani,
osserva che nel medioevo "l'immagine
distorta dell'Islam tra gli europei era
necessaria per controbilanciare il
loro senso di inferiorità" nella
scienza, nella bella vita, nella tecnologia
e nel potere politico-militare.Poi
Montgomery Watt conclude con queste un po
' enfatiche ma giudiziose parole:
"Poiché l'Europa reagiva contro l'Islam,
sminuì l'influenza dei Saraceni e
esagerò la sua dipendenza dall'eredità
greca e romana. Così oggi è dovere
primario di noi Europei occidentali, che
ci avviciniamo all'epoca di un mondo
unificato, correggere questa falsa
enfasi e riconoscere in pieno il nostro
debito nei riguardi del mondo arabo
e islamico". Come suggerisce
un'altra studiosa, Maria Rosa Menocal (The
Arabic role in medieval literary history,
Philadelphia, 1987), in uno
splendido saggio che spazia dalle corti
di sovrani arabofili come Federico
II o Guglielmo d'Aquitania alla grande
impresa delle traduzioni dall'arabo
compiuta tra Palermo e Toledo, molte
cose ci fanno pensare che l'identità
europea si costruì anche come
"reazione ansiosa" all'invadenza culturale del
mondo arabo-musulmano.
MAOMETTO,GOTOHELL! Maometto umiliato e
ricacciato nelle viscere dell'
inferno: eccola la Grande Rimozione
della coscienza e dell'intellettualità
europea medievale! Vediamo di chiarire
un po' la questione. È un'epoca
segnata, sul piano religioso, dal
proliferare di eresie e dalla fanfara
delle grandi crociate, dalla sistematica
demonizzazione dell'"altro":
eretico, ebreo o musulmano che sia; ma,
ecco il punto, sul piano della vita
culturale e intellettuale il mondo
cristiano-europeo è largamente tributario
(qualcuno ha detto persino
"succube") della scienza e della filosofia arabe.
A Toledo re Alfonso X il Savio nel XIII
secolo stipendiava un collegio di
traduttori, dall'arabo in latino, che
immetteranno nei circuiti delle grandi
università europee (Parigi, Oxford,
Colonia, Bologna) i testi dei commenti
arabi ad Aristotele e Platone, e poi
testi di medicina, fisica, astronomia,
ottica, alchimia... La stessa cosa
avveniva a Palermo alla corte dei re
normanni e sino a Federico II e oltre.
Ma anche in ambienti insospettabili si
studiavano e traducevano avidamente i
testi dei grandi filosofi arabi. In un
memorabile studio, Etienne Gilson
(Les sources gréco-arabes de l'Augustinisme
Avicennisant, in Archives d'
histoire doctrinale et littéraire du
Moyen Age, IV/1929) evidenziava tutta
una corrente di "agostinismo
avicennizzante": se non se ne comprende natura
e finalità, non è possibile dar conto
di alcuni momenti centrali del
pensiero cristiano medievale. Dante
ricordava nel Paradiso (XII, 134-135) la
figura di Petrus Ispanus, grande
filosofo francescano, nella cui teoria
della conoscenza, affermava Gilson,
"Avicenna si sostituiva espressamente a
Aristotele per tutto ciò che concerne
l'ordine mistico". Questo Petrus
Ispanus non è un intellettuale
qualsiasi: diventerà papa Giovanni XXI e il
suo rapporto con la cultura araba appare
estremamente ambiguo ma, proprio
per questo, oltremodo significativo. Sarà
egli infatti il promotore, diretto
o indiretto, della condanna delle tesi
aristoteliche e dei loro arabi
commenti a Parigi nel 1277.
Un altro personaggio contraddittorio nel
suo rapporto con il mondo
arabo-musulmano, e per questo quanto mai
emblematico dell'atteggiamento di
curiosità/rimozione della cultura
europea medievale, è Raimondo Lullo,
celebre filosofo e teologo catalano
(1232-1316). Affascinato dapprima dal
pensiero di Avicenna e Averroè, dal
misticismo sufi (che permea segretamente
il suo splendido Libro dell'Amico e
dell'Amato. Dialoghi mistici, Città
Nuova, Roma, 1991) e dallo studio della
lingua araba, in un secondo tempo
correrà a Parigi per combattere
l'influsso degli "arabi", ovvero dell'
averroismo, nelle locali celebri
università e finirà per farsi ardente
promotore di crociate anti-musulmane.
La storia dell'averroismo latino è un
altro, grande, capitolo: dalle grandi
università del Nord Europa a quelle
italiane di Padova e Bologna, lo
sviluppo della filosofia tra il Duecento
e il Cinquecento è segnata da lotte
e controversie tra averroisti e
anti-averroisti. A Padova, per fare un
esempio, il vescovo Barozzi doveva
intervenire con un decreto curiale per
interdire le discussioni tra professori
averroisti e professori avicennisti
nella locale università ancora sul
finire del Cinquecento. E forse ancor più
lunga è la storia dell'influsso delle
scienze arabe: fino al Settecento il
Canone di Avicenna (filosofo
"arabo", ma di madrelingua persiana) era tra i
libri fondamentali della medicina; e si
studiavano ancora le opere di ottica
di Alhazen e di alchimia di Jeber; e
l'astronomia ai tempi di Galileo era in
parte ancora una scienza greca
rivisitata degli arabi.
NASCITADELLADONNAANGELO. Ma la scienza e
la filosofia non esauriscono
affatto il campo degli influssi
arabo-musulmani sulla cultura europea
medievale. Nel Novecento è venuto alla
luce, grazie agli studi e alle
ricerche di un manipolo di studiosi
privi di preconcetti, tutto un nuovo
ampio orizzonte di studi: quello dei
rapporti tra letterature romanze e
letterature musulmane e l'araba in primo
luogo. Già negli anni Venti si
cominciò a discutere accanitamente la
tesi dell'orientalista spagnolo don
Miguel Asìn Palcios esposta sin dal
titolo della sua opera più nota: La
escatologia musulmana en la divina
comedia (Madrid 1919; trad. italiana:
Dante e l'Islam, Pratiche, Parma, 1994).
Da qui è scaturita tutta una serie
di ricerche ulteriori, dal famoso saggio
di Enrico Cerulli intitolato Il
Libro della Scala e la questione delle
fonti arabo-spagnuole della Divina
Commedia (1949) sino ai recenti saggi di
vari studiosi italiani (Cesare
Segre, Maria Corti eccetera) che,
rovesciando l'iniziale ostinata
avversione, riconoscono finalmente la
fondatezza di parte di quella tesi.
Vengono alla luce strane
"consonanze" letterarie: per esempio come poeti
apparentemente lontani, quali il nostro
Dante e i persiani 'Attâr (Il verbo
degli uccelli, Se, Milano, 1986) o Sanâ'i
(Viaggio nel regno del ritorno,
Pratiche, Parma, 1993), ci descrivano
nei loro poemi dei viaggi dell'anima
nell'aldilà "profondamente"
simili. E, forse, non necessariamente perché
tutti costoro attingessero a supposti e
controversi modelli comuni tipo la
pia leggenda del viaggio celeste di
Maometto narrato ne Il libro della Scala
di Maometto (Se, Milano, 1991); bensì
perché i loro "viaggi" - era la nostra
tesi - scaturivano da sensibilità
affini, da un lascito neoplatonico nelle
sue ampie rielaborazioni vuoi
agostiniane vuoi avicenniane. Henry Corbin ha
acutamente indagato in pagine
intensissime sul ruolo di questa eredità nel
momento formativo di certe idee
emblematiche, come quella della
"donna-angelo", che sottendono
la concezione dell'amore nello Stilnovo e
nella tradizione letteraria medievale (Avicenne
et le récit visionnaire,
Teheran-Paris, 1954).
CHIESEESINAGOGHE. C'è un altro aspetto
della civiltà arabo-musulmana di
solito pressoché ignorato in Europa
persino al livello delle persone più
colte. Questa civiltà ci ha dato delle
grandi, straordinarie, lezioni di
tolleranza interconfessionale e di
pacifica convivenza tra popoli di diversa
fede o etnia in epoche in cui
l'atteggiamento dell'Europa cristiana nei
confronti dell'Islam era ben riassunto
dal famoso appello al "malecidio" di
San Bernardo di Chiaravalle, gran
fautore della crociata. Epoche in cui si
praticava volentieri nei confronti
dell'"altro" la politica dell'olocausto
o, in alternativa, della pulizia etnica:
si pensi alla strage dei Catari o
all'eccidio degli abitanti di
Gerusalemme conquistata dai Crociati o al
massacro degli ultimi musulmani di
Sicilia, o, più tardi, alla brutale
cacciata degli ebrei dalla Spagna
cattolica (che in gran parte si
rifugeranno nell'assai più tollerante
impero turco ottomano).
Ecco, la Spagna moresca fu forse il più
fulgido esempio della storia della
tolleranza in terre europee: musulmani,
ebrei e cristiani poterono a lungo
convivere in pace e produrre alcune
delle opere più memorabili uscite dall'
ingegno umano. Mosè Maimonide, il
maggiore filosofo ebreo medievale, nasce a
Cordova, vive in Spagna e in Egitto,
insegna la sua dottrina e redige alcune
delle sue opere capitali in arabo.
Spostandoci dalla periferia verso il
centro dell'ecumene musulmana, nella
Baghdad califfale (IX-XIII sec.) si
organizzavano a corte pubblici dibattiti
tra rabbini, vescovi cristiani e
ulèma musulmani e sappiamo che le varie
comunità non-islamiche godevano
appieno dello statuto di comunità
protette (dhimmi): potevano liberamente
praticare il loro culto, anche se non
era consentito loro di fare proseliti.
C'è di più e, ahimé, poco noto ai più:
sovrani e sultani dell'Islam
medievale non disdegnavano di affidare a
ministri di fede ebraica o
cristiana la conduzione degli affari del
regno e, talora, contribuirono con
i fondi pubblici a restaurare chiese e
sinagoghe danneggiate da calamità
naturali (proviamoci a immaginare un
papa che in quel'epoca nominasse suo
ministro-segretario di Stato un ebreo, o
si adoperasse fraternamente per far
riparare le sinagoghe...).
È, questa della collaborazione ai
massimi livelli istituzionali, una
tradizione che si perpetua sino ai
nostri giorni. Due esempi per tutti:
cristiani sono l'egiziano Boutros Ghali,
già primo ministro in governi
egiziani e poi segretario generale dell'Onu;
e Tareq Aziz, primo ministro
dell'odierno Iraq. Si tratta
notoriamente di due Paesi in cui la comunità
cristiana è fortemente minoritaria. Ma
quando mai, ci chiediamo, vedremo un
primo ministro di religione musulmana
(lasciando perdere l'Italia) in
Francia o in Germania? Se ci spostiamo
ancora più a est, troviamo a Herat e
Samarkanda in epoca timuride (XIV sec.,
quella della dinastia fondata dal
"terribile Tamerlano") e più
tardi a Delhi, alla corte dei Moghul a partire
dal XVI sec., altrettanti centri ove
prosperano culture e letterature
diverse (turca, araba, persiana, urdu,
uzbeca, mongola) e s'incontrano
pacificamente scrittori e intellettuali
che professano anche fedi diverse da
quelle abramitiche, come l'induismo e il
buddhismo. La nostra "piccola"
Europa dovrà faticare non solo per
recuperare il gap scientifico con il
mondo musulmano medievale, ma anche per
arrivare soltanto a concepire (non
parliamo di praticare) forme di
tolleranza e pacifica convivenza con l'
"altro". Nel medioevo, per
quanto strana ci possa oggi apparire la cosa, il
pensiero arabo-musulmano e quello
latino-cristiano, al di là della diversità
di fede, facevano riferimento al
medesimo lascito culturale: un
aristotelismo rivisitato e ricapitolato
prima da Avicenna e poi da Averroè,
una scienza greca ampiamente riscritta e
portata avanti dagli arabi. Una
straordinaria koiné intellettuale che,
secondo molti studiosi, feconda e
prepara la successiva fioritura del
grande umanesimo europeo.
LAVERITÁ SUISMAELE. E sul piano
religioso? Le relazioni tra questi due mondi
sono forse poco appariscenti ma,
contrariamente a quanto appare a prima
vista, profonde e antiche, ben radicate
nella storia e nelle stesse Sacre
scritture. Si legge per esempio
nell'Antico Testamento questo passo
straordinario, forse mai adeguatamente
meditato neppure da chi
istituzionalmente si fa carico oggi -
nelle gerarchie cattoliche e delle
altre chiese cristiane - di sviluppare
il "dialogo interreligioso":
"Ma Dio gli disse: non rattristarti
[o Abramo] per la tua schiava [Agar] e
per il ragazzo [Ismaele]. Accontenta
Sara in tutto quello che ti chiederà,
perché per mezzo di Isacco tu avrai
discendenti. Ma anche Ismaele, il figlio
di questa tua schiava, darà origine a
un grande popolo, perché anche lui è
tuo figlio!". (Genesi, 21,11)
E Ismaele, considerato dagli arabi
profeta e loro progenitore, s'allontanò
con la madre Agar nel deserto... Mentre
l'altra donna d'Abramo, la moglie
Sara, doveva dare inizio alla eletta
discendenza di Israele. La disperazione
di Agar cacciata dal marito, consolata
soltanto dalle parole di un angelo
che le conferma: "Lo farò
diventare padre di un grande popolo" (Genesi, 21,
17), conclude il racconto biblico; ma la
storia di Agar e Ismaele non muore
in quelle pagine: viene inopinatamente
ripresa dalla tradizione musulmana
che ci narra del vagabondaggio dei due
alla ricerca di acqua e conforto nei
pressi delle colline di Marwà e Safà,
vicino La Mecca. Si tratta dei luoghi
ove si svolge tutt'ora gran parte dei
riti del pellegrinaggio (hajj)
musulmano e ove il piccolo Ismaele,
giocando ignaro del dramma, scopre
provvidenzialmente una fonte d'acqua
ristoratrice (la fonte di Zemzem,
tuttora a disposizione dei pellegrini).
In questo esodo misconosciuto del figlio
reietto di Abramo ha inizio l'
antefatto della storia dell'Islam.
Questo lungo viaggio di allontanamento
dalle radici, che porterà Ismaele a
fondare, secondo il Corano (II, 125-128)
la Ka'ba, ossia il tempio ancestrale
degli arabi nel cuore dell'Arabia, e a
dar origine alla loro stirpe, solo in
questi ultimi decenni sembra avere
invertito il senso di marcia. Segnali di
una nuova attenzione del mondo
cristiano all'Islam, e viceversa,
all'insegna della formula del dialogo tra
"le tre religioni di Abramo"
coniata da Louis Massignon (Parola data,
Adelphi, Milano, 1995) si moltiplicano
senza sosta. Ma il mistero di questa
biblica, lontana tragedia, che
bruscamente diseredava un ramo della
discendenza di Abramo cacciandolo fuori
- per divino decreto - dallo
scenario della storia del popolo eletto,
resta un nodo irrisolto. E pesa
tuttora come un macigno su Ismaele e
Agar il giudizio di San Paolo, che
forse in realtà non intendeva che dare
una interpretazione in chiave allegor
ica e spirituale del passo
anticotestamentario:
"Le due madri rappresentano le due
alleanze: Agar rappresenta l'antica
alleanza, quella del monte Sinai, che
genera solo schiavi (il monte Sinai è
in Arabia ma corrisponde all'attuale
Gerusalemme che è schiava della legge
con tutti i suoi figli); Sara invece è
libera e rappresenta la Gerusalemme
celeste, ed è lei la nostra
madre". (Lettera ai Galati, 4, 24-26)
Ma il passo di Genesi su riportato
termina, come s'è visto, con una profezia
straordinaria e inequivocabile: Ismaele
"darà origine a un grande popolo" e
lancia un avvertimento denso di
significanze che attende ancora di venire
disvelato e compreso in tutta la sua
portata: "Perché anche lui [o Abramo] è
tuo figlio"!
A ben vedere, la Sacra scrittura ci
dispiega di fronte agli occhi il mistero
di una "grande ingiustizia",
umanamente ripugnante, che colpisce
improvvisamente i più deboli, una
schiava e il suo figlioletto; ci descrive
una drammatica esclusione che ci appare
inspiegabile, ma che quantomeno
fornisce lo sfondo adeguato all'altezza
degli odierni, perduranti, steccati.
Sappiamo che Abramo è considerato nel
Corano con immenso rispetto e venerato
come uno dei grandi profeti inviati agli
uomini da Allah. Eppure,
stranamente, occorrerà attendere il XX
secolo perché il mondo cattolico,
attraverso il citato Louis Massignon,
mettendosi alle spalle secoli di
incomprensioni e di sovrano disprezzo
(di cui l'infamante castigo dantesco
dell'"eretico" Maometto è
solo l'iceberg), si accorga che da Abramo non
discendono solo gli ebrei, i figli di
Israele, ma, tramite la reietta Agar,
anche gli "Agareni" o figli di
Ismaele, ovvero la stirpe da cui nascerà
Maometto. Con la nuova lettura di Louis
Massignon, l'Islam cessa di essere
visto soltanto come un nemico, una
"impostura" o una "eresia" (San Giovanni
Damasceno), una fede degenerata, da
raddrizzare, o - sulla scia della più
benevola visione di San Francesco - un
popolo da convertire, venendogli per
la prima volta espressamente
riconosciuta la dignità di una fede rivelata.
Una fede che ha qualcosa d'importante in
comune con le altre due religioni
di ceppo biblico: l'origine, ovvero
Abramo, "il primo monoteista", secondo
il Corano; e un grande mistero, quello
di Gesù di Nazareth, più volte citato
nel Corano come "profeta" di
Dio e addirittura presentato nella tradizione
musulmana come "annunciatore
dell'Ora", ossia del finale giorno del
giudizio.
Le fedi sorelle. L'opera pionieristica
di Massignon si colloca storicamente
tra le due guerre, nel periodo
conclusivo del colonialismo europeo e di un
certo "orientalismo" che,
aldilà dei suoi indubbi meriti, era stato
percepito da molti intellettuali
musulmani come scienza straniera, posta
organicamente al servizio dell'invasore
sin dai tempi di Napoleone. Con la
riflessione del cattolico Massignon e il
riconoscimento dell'Islam come
possibile "fede sorella", il
clima cambia completamente: l'interesse
reciproco s'intensifica, l'Islam non è
più solo quello di vecchi stereotipi
e pregiudizi (ahinoi, quanto ancora
diffusi!) riassunti nell'inveterata
espressione "mamma, li
Turchi!". Le tappe successive sono a tutti ben note:
il concilio Vaticano II e il suo
innovativo interesse per i musulmani
(documento Nostra Aetate), il dialogo
interreligioso avviato dalle due parti
attraverso una ormai nutrita serie di
incontri, convegni eccetera. Con
Massignon e le successive aperture
cristiane all'Islam parrebbe
intravvedersi la fine di un esilio
doloroso durato oltre tremila anni,
quello di Ismaele, l'altro figlio di
Abramo, che Isacco, Giacobbe e i loro
discendenti, al pari di San Paolo e dei
cristiani di oggi, stentano tuttora
a riconoscere come loro stretto
congiunto.
FIGLIDIARISTOTELE. Riassumendo quanto
sinora detto, possiamo affermare che
la cultura arabo-musulmana attinge in
massima parte alle medesime fonti -
eredità biblica e greco-ellenistica -
cui attinsero il cristianesimo e l'
ebraismo postalessandrino. Da un lato,
infatti, Maometto si rifà
esplicitamente ad Abramo, e si dichiara
erede dei profeti della tradizione
biblica; Maometto dichiara inoltre di
voler confermare col Corano il
messaggio essenziale di Mosé e di Gesù,
da lui posto su un piedistallo di
eccellenza: nel Corano si legge infatti
che Gesù "fu fatto eminente in
questo mondo e in quell'altro" e
(ma quanti cristiani lo sanno?) si difende
contro le accuse infamanti degli ebrei
persino la verginità di Maria
definita "l'eletta su tutte le
donne del creato" (III, 42)! Dall'altro, si
osserva che gran parte della grande
stagione della filosofia e della
teologia arabo-islamiche sarebbero
inconcepibili senza pensare all'eredità
filosofica greca, conosciuta nel mondo
arabo-musulmano anche attraverso
traduzioni dal siriaco e dal
medio-persiano a partire dal IX secolo.
A Baghdad nella Casa della Sapienza (Bayt
al-Hikma) i califfi finanziavano
con il pubblico erario le traduzioni di
Aristotele e Platone, e di una
miriade di altri filosofi e scienziati
greci. Più tardi, come s'è visto,
nella Spagna del XII-XIII secolo e in
Sicilia la cultura arabo-musulmana
restituirà "con gli
interessi" all'Europa del tempo della Scolastica l'
eredità greca. Infine, a partire dallo
sbarco di Napoleone in Egitto,
inizierà una terza grande stagione di
scambi e influssi, questa volta in
senso inverso: il mondo arabo-islamico
entra a contatto con la civiltà
europea e, pur attraverso la mediazione
difficile e dolorosa del periodo
coloniale, inizia un nuovo tumultuoso
periodo di assimilazione che dura a
tutt'oggi.
A ben vedere, nel bacino mediterraneo,
la storia e la cultura di genti
cristiane, ebree e musulmane si
intersecano senza sosta, dal medioevo ai
nostri giorni: alle guerre seguivano i
commerci e gli scambi, o più spesso
le une e gli altri procedevano
parallelamente... Viaggiatori e missionari,
intellettuali e soldati, mercanti e
avventurieri stabilirono a partire dal
tempo delle crociate una complessa e mai
interrotta rete di contatti.
Eppure, si continua a guardare all'Islam
come a un fenomeno "alieno",
sentito di volta in volta come qualcosa
di inspiegabile, conturbante,
minaccioso, o persino repellente. Dopo
la caduta del comunismo, si fa
volentieri di qualche mediocre piccolo
dittatore del Medio Oriente il nuovo
satana, il tenebroso e torbido nemico
della solare e limpida "civiltà
occidentale", contro cui è lecito
scatenare moderne e superteconologiche
crociate...
Ma ha senso, ci chiediamo, continuare a
parlare ancor oggi di Europa e
Islam, di Occidente e Islam, opponendosi
alquanto illogicamente concetti
storico-geografici a uno
storico-religioso? Quanto abbiamo sommariamente
presentato più sopra testimonia
dell'ampiezza, della varietà e della
profondità dei rapporti tra mondo
arabo-musulmano e mondo europeo e
cristiano sin dal medioevo; non a caso
già parecchi anni addietro con la
consueta lucidità Alessandro Bausani
(l'autore dell'impagabile Persia
Religiosa, Lionello Editore, Cosenza,
1999) ci aveva parlato di un "Islam as
essential part of Western Culture"
(in Studies on Islam, Amsterdam-London,
1974).
Oggigiorno, valenti studiosi degli
intensi scambi intercorsi a Cordova come
a Baghdad tra intellettuali ebrei,
cristiani e musulmani, non esitano più a
parlare in proposito di una vera e
propria "comunità di pensiero" e di
cultura, di una autentica fucina
dell'identità e del destino dell'Occidente
(si veda in proposito di Roger Arnsaldez,
A la croisée des trois
monothéismes. Une communauté de pensée
au Moyen Age, Paris, 1993).
Resta da chiedersi: il mondo musulmano
(interiormente dilaniato da almeno
due secoli tra rincorsa affannosa di
mode e miti europei e attaccamento
orgoglioso alla tradizione, tra ingenua
ammirazione per le conquiste
tecniche e scientifiche e senso acuto di
frustrazione e perdita d'identità)
si riconosce davvero "parte"
di questo Occidente?
Oggi l'Islam si va riconoscendo sempre
più come fede di masse oppresse,
marginali, del sud del mondo, si va
caricando in altre parole di un forte
antagonismo sociale e
ideologico/culturale che investe inevitabilmente il
ruolo e la posizione delle chiese
cristiane, cui tuttora viene rimproverata
l'antica "compromissione" col
potere coloniale, imperialista eccetera.
Prosperano, anche se minoritari e
fortunatamente oggi in netto palese
riflusso, movimenti integralisti e
gruppi dediti alla violenza terroristica.
Qualche Stato ha attuato una fuga
regressiva nel passato, tentando di
restaurare e imporre i rigori della
legge coranica. Il mondo islamico nel
suo complesso vive una vasta profonda
crisi di identità e non si riconosce
(se non al livello di ristrette élites
americanizzate) nella nuova koiné
culturale dominante a livello planetario
che parla inglese e si esprime nell
'asettico linguaggio di finanzieri,
informatici e ingegneri del nuovo ordine
internazionale "globalizzato".
L'Islam nel suo complesso appare scisso
tra ansia di assimilazione alla
Modernità a tappe forzate e una forte
tentazione di prendere il largo da
questo Occidente... L'antica koinè
arabo-latina, unificata dal culto dell'
eredità scientifica e filosofica della
Grecia, non esiste più o sta sempre
più affannosamente ricercando le
ragioni per riconoscere e recuperare un'
anima comune; o, forse, sta solo
oscuramente scrutando per capire se alla
fine del tunnel riscoprirà, a dispetto
dei profeti del paventato Clash of
Civilizations, un destino comune.
Oggi sarebbe più adeguato, e nel tempo
sicuramente più fecondo oltre che più
rispettoso dell'identità altrui,
cominciare a parlare di un "Occidente
latino-cristiano" e di un
"Occidente arabo-musulmano", due Occidenti, due
modi diversi di interpretare la
medesima, antica, luminosa eredità. Dovremmo
riconoscere finalmente che l'eredità
biblica e greco-ellenistica non
appartiene solo all'Europa cristiana,
come ci provano ad abundantiam
Maometto e Averroè. Gran parte del
pensiero medievale sino a San Tommaso d'
Aquino e oltre si sviluppa sulla
discussione o la refutazione del nuovo
aristotelismo di marca araba, sulla
discussione intorno ai commenti di
Averroè, "Colui", dirà
Dante, "che lo gran Comento fèo" ad Aristotele.
Né il pensiero critico, come ancora si
ostinano a far credere pseudo-esperti
(anche vestiti dell'abito ecclesiastico)
è stato mai un monopolio dell'
Europa cristiana, né l'idea e la
pratica della tolleranza sono nate nel XVI
secolo in Olanda... Nel mondo
arabo-musulmano troviamo poeti e visionari che
ci parlano, anche prima di Dante, di
splendidi viaggi nell'aldilà, o che
sembrano talvolta guardare alla figura
amata con gli occhi di uno
"stilnovista", si pensi a Hâfez,
il grande ispiratore dell'ultima opera di
Goethe (si veda Hâfez, Il Libro del
Coppiere, Luni, Milano-Trento, 1998).
Innumerevoli indizi ci fanno pensare a
una koiné arabo-latina che non solo
nelle scienze e nella filosofia
attingeva alle medesime classiche fonti, ma
anche nello spazio letterario
condivideva certi temi (viaggio mistico, amore
per figure angelicate) e certi
atteggiamenti culturali (enciclopedismo,
simbolismo diffuso) o stilistici
(linguaggio amoroso a doppio senso
mistico-erotico, tendenza alla
dimensione onirico-visionaria).
Davvero l'idea di un Occidente
monolitico, greco-latino-cristiano e europeo
a tutto tondo, non regge più a uno
sguardo che consideri, oltre all'
indiscusso ruolo centrale della cultura
scientifica e filosofica araba nel
Medioevo - oscurato e a lungo rimosso
nell'era del colonialismo - anche le
molte altre "condivisioni":
letterarie, sociologiche (si pensi a certi studi
sull'origine della cavalleria e delle
corporazioni medievali), commerciali,
di moda e di costume. L'Islam - sarebbe
ora di aprire gli occhi e
riconoscerlo - non è mai stato altro
dall'Occidente, bensì ne è a pieno
titolo un co-fondatore. La Grande
Rimozione, emblematicamente rappresentata
dal Maometto ricacciato nel profondo
dell'Inferno dantesco, ci impedisce
tuttora di allargare i confini
dell'ormai boccheggiante e asfittica
"coscienza occidentale".
Eppure tentativi in questo senso non sono mancati,
tutt'altro. Nell'Ottocento si scoprì e
si parlò a più non posso della
matrice indo-aria della nostra civiltà;
dopo l'Olocausto si è andati
riscoprendo le radici ebraiche del
Moderno. Una sorta di congenita
"presbiopia" ci ha però
impedito sinora di guardare più vicino: chissà se il
XXI secolo non sarà il tempo della
scoperta che l'Occidente dall'epoca di
San Tommaso e Dante ha poggiato su due
gambe, che il mondo arabo-islamico
non è "altro" dall'Occidente
ma - pur attraverso lotte e incomprensioni
senza fine - lo ha costruito dal
Medioevo sino a oggi insieme al mondo
euro-cristiano.
Noi facciamo ancora fatica a ipotizzare
che forse la parte più vivace dell'
"Occidente" tra il X e il XIII
sec. si collocava al di là del Bosforo e dei
Pirenei, un'epoca in cui certamente
l'Islam dà un contributo decisivo alla
storia universale (vedi in proposito lo
splendido saggio di A. Lombard,
Splendore e apogeo dell'Islam, Bur,
Rizzoli, Milano, 1991); che l'Occidente
contemporaneo "cristiano-euro-americano"
forse non sarebbe quale oggi noi lo
conosciamo senza l'altro Occidente,
quello misconosciuto che parte da
Ismaele e Maometto. Quell'Occidente
arabo-islamico che, attraverso tanti
momenti di scontro o di incontro, si
congiunge - di volta in volta
fecondandola o restandone fecondato -
alla nostra storia; quell'Occidente
arabo-islamico che dall'Ottocento guarda
di nuovo all'Europa e ai suoi
"miracoli" tecnico-scientifici
tutto assimilando nel bene e nel male, e che
già oggi ci delizia con la grazia
sconcertante del recente cinema iraniano o
dei romanzieri maghrebini e un domani,
chissà, potrebbe restituirci un nuovo
Averroè.
Tratto da Diario.it
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