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Etica e solidarietà riguardano anche gli "atei" Una tavola dei valori per credenti e non credenti di SERGIO GIVONE
Se è vero, com'è vero, che la figura
tradizionale dell'ateo non esiste più,
e ad essa è venuta sostituendosi quella
dell'ateo che nega Dio semplicemente
non ponendosi il problema, come ha
scritto lo storico Massimo Marcocchi in
un intervento pubblicato su
"Avvenire" di ieri, allora dovremo capire meglio
che cosa si nasconda in questo
passaggio. Davvero si tratta semplicemente
del fatto che Dio dilegua e sparisce
dall'orizzonte dell'uomo?
L'ateo che prendeva posizione contro Dio
e lo negava in nome dell'uomo,
convinto com'era che Dio fosse di
ostacolo alla libertà e alla dignità
umana, restava in rapporto con Dio e in
fondo mostrava un desiderio di Lui.
Infatti è pur sempre a partire
dall'idea di Dio che l'uomo ha concepito
l'idea di responsabilità, l'idea di
dover rispondere di tutti i suoi atti, e
con l'idea di responsabilità anche
quelle di libertà e di dignità umana.
Ma se l'ateo restava in rapporto con Dio
negandolo e provava nostalgia
rifiutandolo, proprio questo rapporto e
questa nostalgia oggi sembrano
spariti. Chi si preoccupa più di negare
Dio? Eppure più di un dubbio resta.
Tant'è vero che di non credenti che si
dichiarino apertamente atei se ne
trovano pochi. Nessuno comunque o quasi
nessuno che faccia esplicita
professione di materialismo e di
libertinismo vecchia maniera: concezioni,
queste, che rinviano non solo
all'Ottocento ma al Settecento.
Oggi fra i non credenti si sente parlare
piuttosto di ricerca di più ampi
orizzonti di senso, di rifondazione
dell'etica su qualcosa che vada oltre
l'interesse singolo e lo spinga a
trascendersi, di riscoperta di quei
vincoli di solidarietà non solo fra i
viventi ma fra le generazioni presenti
e future senza i quali è inevitabile
cadere nella barbarie, e così via.
Non è precisamente questo il problema
di Dio? Non lo s'incontra, questo
problema, ogniqualvolta alziamo lo
sguardo e ci chiediamo che cosa, al di là
delle differenze, ci accomuni tutti?
Fino ad affermare (o a negare) che sì,
qualcosa ci deve essere, per cui valga
la pena di vivere, e valga
assolutamente, incondizionatamente,
perché altrimenti nel volto in ombra del
mondo non vedremmo altro che il volto
del maligno?
È su questa base che possiamo sperare
in un dialogo fra credenti e non
credenti. E portarlo avanti come dialogo
fra persone che, da posizioni
diverse, prendono sul serio la vita e le
domande che essa pone. Domande a
ben vedere tutte raccolte intorno al
problema di Dio, cioè del senso della
vita. Si obietterà: d'accordo, però
questo riguarda solo una minoranza,
peggio ancora una minoranza di
intellettuali. Ma c'è da dubitarne. Non in
commotione Dominus.
Il Signore non fa rumore. Dio si
presenta in silenzio, e nessuno può dire
che cosa accada in un cuore umano,
magari il più umile, o il più
sconsiderato, quando sia visitato dal
dolore, dalla colpa, dal pentimento, o
dalla gioia, o dalla grazia. Sono tutte
esperienze, queste, in cui la
meravigliosa e terribile serietà della
vita s'impone a chiunque. Certo, ci
sono fenomeni di massa che fanno pensare
piuttosto alla agostiniana massa
damnata, fenomeni che sono espressione
di una cecità e di una rozzezza al
limite del bestiale. Prendiamo ad
esempio la diffusione di forme di
religiosità che conoscono l'intero
spettro del negativo assoluto:
superstizione, fanatismo, integralismo,
eccetera. Oppure il sempre più
contagioso culto idolatrico del denaro,
del potere, per non dire della moda.
Dov'è Dio, lì? E' lì, come problema
non risolto o rimosso.
Questo non significa che il credente,
dall'alto della sua fede, possa
guardare al triste spettacolo del mondo
sentendosi al sicuro. Niente è così
problematico come la fede. Oggi una fede
che non passi attraverso il suo
contrario e non conosca il dubbio e il
rifiuto è troppo debole per reggere
l'urto delle prove che l'attendono al
varco. E perciò si dovrà dire del
credente quel che s'è detto del non
credente. Né l'uno né l'altro sono più
quelli che erano. Così come non c'è più
l'ateo che nega Dio, e gli rende a
suo modo testimonianza, ugualmente non
ci può più essere il credente che in
Dio riposa tranquillo, e così di fatto
finisce col negarlo.
da Avvenire, 11 luglio 2001 _________________________________________________________________ |