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Il ruolo della religione nel tenere unite le repubbliche di Maurizio Viroli
Gli Etruschi, diversamente dai Greci e
dai Romani, non furono per i moderni
maestri di politica. Non lasciarono
opere teoriche né descrizioni delle loro
istituzioni che ispirarono il pensiero e
l'opera delle generazioni
successive. Eppure, alcuni frammenti
della loro saggezza politica sono
sopravvissuti all'oblio del tempo grazie
soprattutto a Machiavelli. Uno di
questi frammenti riguarda il tema,
attuale, del rapporto fra religione e
politica. Machiavelli era affascinato da
«quegli antichi Toscani», come egli
li chiama. La loro storia era ai suoi
occhi un esempio di quella «oblivione
delle cose» che spegne perfino la
memoria di un popolo. Della grandezza
etrusca, scrive in un passo assai
suggestivo, è rimasta quasi solo «la
memoria del nome». Eppure, dalle
notizie che rinviene in Tito Livio e in
Leonardo Bruni, Machiavelli elabora
l'idea degli Etruschi come popolo che ha
importanti principi politici da
insegnare ai moderni, soprattutto ai «moder
ni Toscani». Egli cerca in qualche modo
di costruire un mito Etrusco che
integra e completa il più grandioso
mito romano che egli elabora nei
Discorsi sopra la prima deca di Tito
Livio . Uno degli aspetti del mito
riguarda la religione. La Toscana prima
dei romani, scrive Machiavelli, era
libera e viveva «con somma gloria
d'imperio e d'arme, e massima laude di
costumi e di religione». Machiavelli,
è un dettaglio importante, non aveva
ragione alcuna di menzionare la virtù e
la religione degli Etruschi. In quel
capitolo dei Discorsi (II.4) sta
trattando dei modi che le repubbliche hanno
tenuto nel corso dei secoli per
espandere il loro territorio, e aveva già
descritto e lodato il metodo della
federazione seguito dalle città etrusche.
Egli cita la virtù e la religione degli
etruschi perché gli preme ribadire
un principio politico che considera
importante, ovvero che le buone leggi
hanno bisogno dei buoni costumi e
soprattutto che le repubbliche, ancor più
delle monarchie, hanno bisogno della
religione per rimanere buone e unite.
Tre secoli dopo, in Democrazia in
America , Tocqueville giunge alla medesima
conclusione alla quale era pervenuto
Machiavelli, ovvero che sono
soprattutto le repubbliche democratiche
ad aver bisogno della religione. La
religione, scrive Tocqueville, «è
molto più necessaria nella repubblica
(...) che nella monarchia (...), e ancor
più necessaria nelle repubbliche
democratiche che in tutte le altre. Come
la società potrebbe non correre il
rischio di perire se, mentre il legame
politico si allenta, il legame morale
non si restringe? E che fare di un
popolo padrone di sé stesso, se non è
sottomesso a Dio?» (Libro I, parte II,
9). Machiavelli e Tocqueville, due
scrittori fra loro lontanissimi, l'uno
scrivendo della repubblica più grande
del mondo antico, l'altro della
repubblica più grande del mondo moderno,
giungono alla conclusione che le
repubbliche hanno necessità della religione
per dare ai cittadini un orientamento
della vita morale e far nascere in
essi il senso del dovere che fa
rispettare le leggi e adempiere agli
obblighi civili. È ancora valida l'idea
di Machiavelli e di Tocqueville, che
viene addirittura dagli Etruschi, che il
potere politico nelle repubbliche
ha bisogno della religione? Credo che
Tocqueville sbagli quando afferma,
allontanandosi in questo da Machiavelli,
che è impossibile, da un punto di
vista esistenziale, vivere a un tempo
liberi e senza l'aiuto delle certezze
religiose. Chi non ha fede non vive
necessariamente in uno stato di
incertezza o di apatia morale. Può
avere principi morali fermissimi e
testimoniarli e viverli con coerenza
paragonabile a quella dimostrata da chi
ha una fede religiosa. La storia
presenta infiniti casi di uomini e donne
che non sentivano una fede religiosa e
sono stati esempi altissimi di
dignità morale. La ragione umana
illumina poco. Ma la luce che ci dà è
sufficiente a capire e a orientarci,
anche se ci lascia dubbi che, per
fortuna, non si dissolvono mai. La fede
è invece una luce fortissima che
dissolve il dubbio ma al tempo stesso
abbaglia. Può convivere benissimo con
la libertà politica, come Tocqueville
ha dimostrato, a condizione che resti
entro i confini dell'interiorità e non
pretenda di guidare le scelte
pubbliche e di servirsi della forza
coercitiva dello Stato. Ma quando si
entra nella sfera della politica bisogna
adottare il dubbio proprio dello
spirito laico, più che le certezze
della fede religiosa. La democrazia
politica ha bisogno di valori p olitici
e morali creduti e vissuti con
passione, ma con altrettanta passione
creduti e vissuti non come verità
bensì come scelte possibili accanto ad
altre. Da un punto di vista politico
credo invece che il monito di
Machiavelli e Tocqueville sia validissimo. Il
loro argomento sulla necessità della
religione individua una verità
importante: la credenza religiosa e il
timore di Dio penetrano nel cuore
degli individui e ispirano le loro
azioni; l'autorità politica e le leggi,
con i premi e le sanzioni, non entrano
nei cuori e si limitano a
condizionare le azioni senza influire
sulle motivazioni, se non in piccola
misura. La religione è dunque
necessaria per aver e quei buoni costumi che
favoriscono il rispetto della legalità
e sostengono il senso del dovere. Ma
dire che la repubblica ha bisogno della
religione può voler dire che la
repubblica si serve della religione,
come insegnava Machiavelli, che la
repubblica si allea con la religione,
come consiglia Tocqueville (se la
religione, com'era il caso degli Stati
Uniti, parla lo stesso linguaggio
democratico e repubblicano dello Stato)
o che la Repubblica costruisce una
propria religione, una religione civile,
ovvero un sentimento interiore di
lealtà alla costituzione e alle leggi.
Non si può sperare che gli int eressi
o l'adesione a principi universali di
libertà possano sostenere il senso di
responsabilità civile: gli interessi
non muovono a sostenere il bene
pubblico; i principi universali
conquistano l'assenso della ragione ma
raramente spingono all'azione. Bisogna
dunque scegliere, e credo che la
scelta saggia sia quella della religione
civile, fondata su principi di
tolleranza e di libertà individuale,
che coesiste con una o più religioni
che vivono liberamente nella società
civile. Sarebbe per ovvie ragioni una
convivenza difficile, regolata da
confini mal disegnati che dovranno essere
costantemente rinegoziati, anche con
discussioni accese. Quali che siano i
suoi costi, la convivenza della
religione civile e della religione rivelata
sono da preferire al m onopolio dell'una
o dell'altra. Quel che è certo è
che una repubblica democratica non può
fare a meno sia della religione
civile, sia della religione. Teniamo
presente questa perla della saggezza
politica antica e moderna.
da La Stampa, 6 Aprile 2001 _________________________________________________________________ |