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Ma il crocifisso non è di parte

di Ferdinando Camon

 
Quando Pasolini girò il film sul Vangelo di Matteo, scelse come Gesù un
immigrato (oggi diremmo un extracomunitario) e come Maria la propria madre.
Perché? Perché quel profugo era «un Cristo in croce», e sua madre avrebbe
pianto di fronte al Cristo crocifisso come aveva pianto di fronte al proprio
figlio, partigiano messo a morte da altri partigiani. Per farla piangere,
glielo disse: «Pensa a quando hai visto l'altro figlio morto».
Anche Pier Paolo pensava a questo: il fratello ammazzato dai compagni era un
povero Cristo messo in croce da coloro che voleva salvare. Cristo in croce
era innocente, per questo veniva crocifisso: in un impero mondiale basato
sulla forza, la predicazione dell'innocenza era una colpa mortale. Fortini
vide il film di Pier Paolo in un cinema di Firenze, e non resse fino alla
fine: uscì in anticipo, sopraffatto dalla violenza dell'emozione (va
ricordato che Fortini era un comunista-vangelista).
Ricordo questi episodi per dire che oggi questi personaggi (che allora erano
la «coscienza critica» del mondo giovanile, ambedue di sinistra, ambedue
comunisti, anche se tra loro nemici) non si metterebbero di sicuro tra
coloro che vogliono rimuovere il crocifisso dalle scuole e dagli ospedali.
Quello che il crocifisso rappresenta è un valore anche per la sinistra, che
anzi da quel valore è nata, e senza quel valore non sarebbe stata possibile.
Quando Pasolini, per il suo primo romanzo, fu processato con un'accusa che
poteva riassumersi nell'oltraggio ai valori cristiani, andò a testimoniare
per lui un grande critico italiano del momento, cattolico dichiarato, e ci
andò nel nome di quegli stessi valori, evidentemente intesi in senso
contrario.
Il problema è proprio questo: il crocifisso cosa rappresenta? Rappresenta
chi è crocifisso come lui. Oggi sono crocifissi come lui i senza-lavoro, i
senza-casa, i senza-patria, le vittime della pulizia etnica, i morenti in
sistemi politici morenti, i malati di malattie incurabili.
Ieri furono crocifissi non-cristiani, da parte di cristiani che adottavano
come simbolo una croce, sia pure arzigogolata. (Nell'impero romano
rappresentava quelli che l'impero riteneva immeritevoli di diritti equi,
«foedera aequa», e meritevoli di diritti iniqui).
Non fa nessuna meraviglia che, mentre intellettuali italiani, figli di una
cultura cattolica e borghese, sostengono che bisogna togliere il crocifisso
da tutti i luoghi in cui può disturbare i nuovi arrivati islamici, i nuovi
arrivati islamici rispondano che per loro può restare dov'è, a loro non dà
fastidio.
Tra i due schieramenti, quello di chi arriva qui per mare, in traversate
avventurose, su navi sgangherate, piene di malati, alcuni dei quali morenti,
e quello di chi li aspetta per rimandarli indietro, perché ha come
principale legge la propria salvaguardia, i primi possono a buon diritto
sentirsi rappresentati dal crocifisso, e i secondi sentirlo come
disturbante. La battaglia contro il crocifisso non è una battaglia di
sinistra. È la battaglia contro un simbolo che la sinistra fraintende. Se è
il simbolo dell'innocenza sacrificata (un'esaltazione dell'innocenza, e una
condanna di chi la sacrifica), non sta dentro la chiesa, ma ben al di sopra
della chiesa e in molte fasi della storia è stato un duro giudizio e una
piena condanna sulla chiesa stessa. Non sta dentro i codici, ma ben al di
sopra dei codici, i quali spesso, per interesse o incapacità, sacificano
l'innocente.
Nei giudizi pronunciati sotto un simbolo militare o ideologico, l'imputato
deve sempre chiedersi con terrore se è in linea con quel simbolo, e nella
risposta intravede la sentenza. L'uomo in croce è l'immagine con cui la
cultura occidentale ammonisce se stessa nelle relazioni con quello che
chiama "l'altro". Lancia a se stessa questo ammonimento ricordandosi il più
grosso errore che ha commesso nel più grave dei processi, quello in cui ha
giudicato il più innocente degli imputati e l'ha condannato a morte con la
peggiore delle morti.
Invece di lavorare per far dimenticare quel simbolo, la sinistra dovrebbe
lavorare per farlo ricordare in ogni minuto. Certo noi stiamo andando verso
un pluralismo di simboli. Prima o poi nei nostri luoghi pubblici entreranno
anche simboli portati da altre storie, che confluiscono nella nostra o le
scorrono a fianco. Questo è inevitabile.
Ma questo non si prepara cancellando il nostro simbolo principale: in questo
modo non si va verso un pluralismo, ma verso il nullismo.


da l'Unità del 05/12/2001

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