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Il crocifisso non più scandalo ma mera suppellettile

di Guido Armellini


Nella Prima lettera ai Corinti l'apostolo Paolo definisce "scandalo" e
"follia" la croce di Cristo. Queste espressioni sottolineano la radicale
incompatibilità tra la fede, che riconosce la presenza di Dio in un corpo d'
uomo sofferente, condannato a una morte ignominiosa, e la sapienza umana,
che associa l'idea del divino all'onnipotenza, all'incorporeità, all'
imperturbabilità.
Oggi si richiede a gran voce che l'immagine di quell'uomo agonizzante,
riprodotta in decine di migliaia di copie fatte in serie, sia affissa nelle
aule scolastiche e negli uffici pubblici, a testimoniare le radici cristiane
della nostra cultura.
Mi stupisce che i credenti che si fanno latori di questa rivendicazione non
si rendano conto che, riducendo l'icona di Cristo in croce a un rassicurante
simbolo delle tradizioni codificate e dell'ordine costituito, si finisce per
svuotarla del suo carattere sconvolgente, e per falsarne profondamente il
significato.
Ho insegnato per molti anni (fino all'ultimo concordato) con il brutto
crocifisso d'ordinanza, prescritto per tutte le scuole d'Italia come
segnacolo della "religione di stato", appeso alle mie spalle. Non mi sono
reso conto che questa presenza suscitasse nei miei alunni riflessioni
profonde sul destino umano e sul senso della vita. Mi è sembrato anzi che il
depositarsi quotidiano di sguardi distratti degradasse l'immagine sacra al
rango di una banale suppellettile, paragonabile agli attaccapanni o alla
lavagna, con l'aggravante di non svolgere alcuna funzione pratica. Nessuno
si accorgeva che il nostro tran tran didattico scorreva di fronte alla
rappresentazione di una tragica agonia. Ridotta a insignificante ornamento
standardizzato imposto per legge, la croce di Cristo non aveva più nulla di
folle o di scandaloso.
Ancora più grave mi sembra che, da parte delle gerarchie di una chiesa
cristiana, si insista sull'identificazione tra quel simbolo e la nostra
tradizione culturale.
Nessuno può negare che l'arte, la letteratura, il pensiero dell'occidente
siano profondamente segnati dal cristianesimo. Ma non tutto ciò che si è
compiuto in nome di Cristo è stato eticamente commendevole, come dimostrano
i numerosi mea culpa dell'attuale pontefice.
La traccia storica dei dogmi e dei simboli cristiani è depositata nella
Commedia di Dante come nella vicenda delle crociate, nell'opera di
Michelangelo come nei roghi della Santa Inquisizione. Per secoli le comunità
ebraiche e le altre minoranze religiose hanno visto nella croce un simbolo
di persecuzione più che di amore fraterno. E si potrebbe continuare a lungo.
Mi sembra insomma che l'esperienza storica dovrebbe aver insegnato a noi
cristiani che non è il caso di identificare i nostri progetti, le nostre
imprese, i nostri modelli di società con le misteriose intenzioni del Dio
nel quale crediamo.
Il ricordo di quell'uomo crocefisso dal potere politico e religioso non
merita di essere utilizzato come marca identitaria che contrassegna un
territorio, bandiera delle ragioni di una cultura contro altre culture: è un
errore che la cristianità ha compiuto per secoli, da cui ci mettono in
guardia voci ed eloquenti silenzi, provenienti dalle zone più pensose dello
stesso mondo cattolico.

Guido Armellini* (e-mail: gegdmerk@iol.it)
*Membro della Chiesa Evangelica Metodista di Bologna, aderente al Comitato
Scuola e Costituzione.

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