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ARGENTINA

di Valerio Dalle Grave

 

Se dovessimo sbizzarrirci a fare una accurata ricerca forse riscontreremmo che in ognuno dei comuni della provincia Italiana esiste una o più famiglie che hanno qualche antenato o congiunto che vive in Argentina. Sono tanti (sono milioni) i cittadini Italiani che sono emigrati colà a fine ‘800, all’inizio del  1900, negli anni ’20 e anche negli anni immediatamente  dopo la seconda guerra mondiale. Sono partiti con sacchi e valigie pieni di speranza (a cercare fortuna si diceva), per costruirsi una vita migliore e per rifarsi dalle delusioni (e dalle privazioni) patite nella madrepatria .

Qualcuno (pochi) hanno trovato fortuna; i più sono sopravvissuti alla meno peggio e, oggi,  a mala pena (per chi lo desidera) riescono a trovare i soldi necessari per ritornare nella madrepatria.

Ma perché oggi tanti emigranti o figli di emigranti desiderano tornare? Questa è la domanda che la gente spesso si chiede.

Un’altra domanda che la gente si chiede è: “come mai l’Argentina si trova alla bancarotta”?

Per rispondere  alle due domande è necessario fare una brevissima storia di quel grande paese.

L’Argentina diventa stato indipendente dalla Spagna (e dopo sei anni di guerra) nel 1816. Da quella data e fino al 1829 è continuata una guerra civile interna tra federalisti e unitari; vinsero i federalisti, tant’è che oggi l’Argentina è una Repubblica federale (Repubblica Argentina). Dal 1829 al 1852 andò e rimase al potere un certo De Rosas che instaurò una dittatura sanguinaria e feroce. Solo verso la fine del 1852 il dittatore fu rovesciato dal generale Urquiza alla guida delle forze liberali. Nel 1862 fu eletto presidente Benito Mitre che iniziò la guerra contro il Paraguay, la quale terminò nel 1868.

Da allora l’Argentina conobbe una lunga fase di sviluppo delle sue enormi  potenzialità economiche (agricoltura, industria, credito, istruzione, trasporti, ecc.), tanto da apparire come terra promessa per tanti emigranti della vecchia Europa.

Dopo la  “grande cresi” del 1929 che, ovviamente, investì anche l’Argentina, nel 1930 ci fu un primo “colpo di stato” che portò al governo il generale Uriburo cui seguirono altri generali fino al 1943, quando, con un secondo “colpo di stato”, andarono al potere un gruppo di colonnelli, tra i quali finì col prevalere nel 1944, Juan Peròn, ministro del lavoro, coadiuvato dalla sua futura moglie Eva Duarte e dai suoi descamisados.

La dittatura populista di Peròn resistette fino al 1955, anno in cui un ennesimo colpo di stato militare (guidato dalla Marina) portò al potere prima i generali Lonardi e Aramburo, poi nel 1958, il capo del partito radicalpopolare Arturo Frondizi. Le elezioni del 1963 decretarono la vittoria del candidato della sinistra moderata Arturo Illia (originario del comune di Samolaco, in Valchiavenna).

All’inizio degli anni ’70 si instaurò ancora una dittatura militare, ma nel 1973 tornò al potere Juan Peròn e alla sua morte (1974) la presidenza fu assunta dalla sua terza moglie Maria Estela Martinez detta Isabelita.

Nel 1976 un ulteriore colpo di stato militare portò al potere ancora i generali (Videla, Viola, Galtieri, e Bignone) i quali soppressero tutte le libertà costituzionali e instaurarono un regime reazionario  e fortemente repressivo (si ricorderà l’epopea dei cosidetti  “desaparecidos”, ricordati e reclamati in continuazione  ancora oggi dalle loro mamme che col foulard bianco in testa si riuniscono tutti  i giovedì in “Plaza de Majo a Buones Aires) nei confronti degli oppositori.

IL regime dei generali si sfaldò a seguito della sconfitta subita ad opera della Gran Bretagna nel conflitto per le isole Falkland nel 1982.

Nel 1983 il Paese è tornato alla democrazia con la presidenza di Raùl Alfonsin, il quale non ebbe il coraggio di processare e condannare  i generali ma deliberò, invece, l’amnistia per quasi tutti i responsabili dei crimini al fine (si giustificò) di pacificare il paese.

Fu una pacificazione apparente e tormentata;  da parte della popolazione da sospetti, incertezze e diffidenze verso la classe dirigente politica e, da parte di quest’ultima, da litigiosità, corruzione e malversazione.

L’origine della crisi Argentina può essere fatta risalire al 1930, anno in cui ci fu il primo colpo di stato militare. Da allora il vero padrone del Paese fu “l’instabilità politica” e quando questa prende il sopravvento tutto è possibile a scapito del bene comune.

Nulla è più corruttibile dei regimi militari al potere. Non si dimentichi che l’Argentina fu anche un ottimo rifugio per i criminali reduci fuoriusciti della seconda guerra mondiale e non solo; trovarono asilo  e buona accoglienza, perché portatori di capitali, tanti mafiosi, trafficanti di droga, di armi e politici corrotti provenienti dai vari stati del mondo, i quali si impadronirono gradualmente delle leve del potere soprattutto economico e finanziario.

In buona sostanza, l’Argentina da paese ricco di risorse materiali e umane, per colpa di una accozzaglia di avventurieri e banditi senza scrupoli, di militari corrotti, di politici deboli e spesso incapaci, quindi facili vittime di speculatori di ogni risma è diventato un paese allo sbando sull’orlo della bancarotta.

La situazione economica ha cominciato a traballare quando il 7 giugno del 2001 il tribunale ha incriminato l’ex presidente peronista Carlos Menem per traffico di armi verso la Croazia e l’Equador;  ed è precipitata quando il FMI (Fondo Monetario Internazionale) ha constatato l’impossibilità dell’Argentina di restituire il prestito di 40 miliardi di dollari, accordato assieme alla Spagna, alla fine del 2000.

Gli esperti dicono anche che a dare il colpo di grazia all’economia del Paese siano state le incaute, quanto drastiche, riforme proposte dal ministro Domingo Cavallo negli anni 1994 – 95, con l’introduzione della parità monetaria tra il dollaro e il peso.

La mania di grandezza di Cavallo (che aspirava a diventare presidente dell’Argentina), le speculazioni finanziarie operate da alcune potenti famiglie, le politiche liberiste e populiste del governo, altre concause naturali avverse (epidemia di afta epizootica, crisi agricola) e l’ascesa del debito estero ammontante oramai a più di 160 miliardi di dollari, nonché i disordini sociali causati dalla protesta dei lavoratori e della media borghesia che si sono trovati di colpo senza nulla in mano e si sono visti sottratti i risparmi di una vita, infine la fame e la disperazione, hanno finito per avere ragione sul morale, sull’economia, sulla vita politica e sociale  e sulle prospettive di sviluppo di un Paese dalle grandi risorse naturali e umane.

Ora l’Argentina dovrà ricominciare tutto daccapo e la cosa non sarà per nulla facile.

Per noi italiani, questo fatto rappresenta insieme un monito e un dovere. Un monito per non sottovalutare il rischio, sempre presente anche per noi , di cadere negli stessi errori; un dovere di fare ogni sforzo, specie verso il FMI e la Banca Mondiale affinchè azzeri il debito e aiuti la nuova classe dirigente Argentina  ad uscire il più presto possibile dalla crisi.

Dopotutto, nelle vene di una larghissima parte della popolazione dell’Argentina scorre il nostro stesso Sangue: non dimentichiamolo mai.

E se qualcuno di loro preme per ritornare e chiede il nostro interessamento e il nostro aiuto, non rifiutiamolo, per l’amor di Dio, non rifiutiamolo!

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