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Intellettuali cattolici, più dibattito Mentre la cultura di sinistra discute con foga, il confronto fra i credenti è stanco di Giorgio Campanini
Il vivace dibattito sulla presenza (o
sull'assenza?) degli intellettuali che
si è aperto a sinistra, dopo recenti
ben note vicende, sembra avere sfiorato
solo marginalmente quanti si ispirano al
pensiero cristiano.
Non è in verità nello stile degli
intellettuali cattolici urlare nelle
piazze il loro disagio. Ciò non
significa, tuttavia, che questo disagio non
esista: e forse è più inquietante
certo silenzio piuttosto che la
preoccupata manifestazione di questo
stato di cose.
Vi è tuttavia una ragione per un
atteggiamento più riservato. Mentre gli
intellettuali di sinistra, orfani di
punti di riferimento propriamente
politici, sembrano affetti da una sorta
di sindrome di inutilità, gli
intellettuali cattolici hanno pur sempre
un loro spazio, all'interno del
quale operare, e un ideale «pubblico»,
la comunità cristiana, al quale
rivolgersi. Per loro, dunque, meno dura
e angosciosa appare la situazione di
«abbandono» nella quale, invece, si
dibattono quanti altri punti di
riferimento non hanno se non quello
partitico.
Questa constatazione non infirma
tuttavia una sensazione abbastanza diffusa:
che anche fra gli uomini di cultura
cristiani siano avvertibili talora
sentimenti di estraneità e forse di
frustrazione. Nonostante la lucida ed
importante proposta del «Progetto
culturale», è radicata - a torto o a
ragione - la convinzione che il cammino
della comunità cristiana prescinda
ancora largamente dal contributo degli
uomini di cultura. Quasi che grandi
decisioni vengano prese senza di loro.
Anzi, corre l'impressione più o meno
giustificata che le scelte di fondo
siano ispirate ad una lettura della
realtà che solo in minima misura tiene
conto delle elaborazioni della
cultura. Si constata che mancano, o sono
troppo diradati, i luoghi di un
autentico, schietto e franco scambio di
idee: bastano grandi convegni
ecclesiali a ritmo decennale?; e le
settimane sociali a ritmi un poco
intermittenti?, i convegni di singolare
realtà e movimenti che non riescono
a riunire se non esponenti di questa o
quell'area, di questa o quella
disciplina?; il quadro di insieme non è
proprio esaltante, almeno tale è
avvertito dagli intellettuali, né
bastano per soddisfare a pieno le esigenze
pur lodevoli iniziative individuali o di
gruppo a colmare questo deficit di
confronto critico.Gli stessi importanti
forum organizzati nell'ambito del
«Progetto culturale» assolvono sì ma
in parte a questa funzione.
Si ha, in generale, l'impressione di una
pressante frammentazione (anche e
soprattutto in campo editoriale, per la
mancanza di pool che possano tenere
testa ai «colossi» della cultura «laica»)
e, spesso, di un grande
isolamento.
Che cosa fare, dunque? Verrebbe talvolta
il desiderio di udire qualche altro
accorato e stralunato grido di protesta
che possa rappresentare un salutare
scossone per comunità cristiane troppo
spesso attardate e impigrite, tutte
prese dai loro problemi interni,
preoccupate soprattutto di tenere in piedi
strutture istituzionali fattesi ormai
scricchiolanti per il progressivo
venir meno dell'abbondante personale
ecclesiastico di un tempo.
Non si tratta di predicare la novità
per la novità, perché nessuna
istituzione come la Chiesa ha alto e
forte il senso vivo e vitale della
Tradizione (quella con la maiuscola,
tuttavia...). Ma un rinnovamento si
impone; né ad esso si potrà mettere
mano senza ascoltare di più gli uomini
di cultura, che fortunatamente non
mancano nella Chiesa ed anzi guardano ad
essa con attesa e con speranza. Sarebbe
bello se questo incontro con la
migliore cultura cattolica si
realizzasse, senza bisogno di esibizioni
televisive «in diretta».
da "Avvenire", 28 febbraio
2002
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