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JEREMY MILGROM, IL SANSONE DEI DIRITTI UMANI IN ISRAELE.

 

    di Maria - Elisa Marotta & A. De Falco.

 

Alla 58.ma Mostra di Venezia, due film- Eden di A. Gitai e L’Invincibile di W. Herzog- hanno reso palpabile le speranze, la nostalgia, le lotte e la tragedia( e tale è tuttora) del popolo ebraico nel passato, con una tenerezza e un rigore commoventi.

Amos  Gitai ha  raccontato  in modo non semplicistico le origini della identità israeliana,  dichiarando che "La sensazione è che ci si stia avvicinando giorno dopo giorno al momento dello scontro finale, che si vada incontro a una escalation che arriverà a un termine violento; ma dopo questo termine tutto ricomincerà da capo, perché non esiste una soluzione diversa da quella della convivenza tra due popoli"(settembre 2001).

Invece W. Herzog nel suo L’Invincibile( che a noi è piaciuto parecchio, sebbene certe ripetizioni e lungaggini) presenta il mito del Golem, dell'uomo enorme, dalla spropositata forza fisica, che si sacrifica nel tentativo inutile di salvare la propria gente da una sciagura di cui si sente presago(l’avvento del nazismo).

Qualche tempo dopo, è scoppiato il patatrac in Palestina: non solo è sparita quella parvenza di pace tra i due popoli(ebrei –palestinesi), ma si è passati a vie di fatto, con morti ed attentati sanguinosi ad ogni ora del giorno.

Si è poi cominciato a leggere sui quotidiani( dal i febbraio 2002), la notizia  che parecchi ufficiali e soldati israeliani si sono rifiutati di prestare servizio nei Territori in operazioni antiterrorismo in difesa delle colonie, riscontrando un consenso crescente tra la popolazione e gli intellettuali pacifisti che, raccolti nell’organizzazione internazionale ICCI MEMBERS, assembla numerosissimi gruppi(  The American Jewish Committee Adam Institute, Givat Haviva - Jewish-Arab Center for Peace ,  Interns for Peace/Nitzanei Shalom/Baraem Assalaam,

Clergy for Peace, Bridges for Peace, The Ecumenical Theological Research Fraternity in Israel, The Elijah School for the Study of the Wisdom of World Religions, Givat Haviva - Jewish-Arab Center for Peace , House of Grace - International Peace Center, International Christian Embassy Jerusalem, Kidma - Project for the Advancement and Involvement of Women , College of Shari'a & Islamic Studies, Neve Shalom / Wahat al-Salam, Pontifical Institute Ratisbonne - Christian center of Jewish Studies, Rabbis for Human Rights, Yakar Educational and Cultural Center, World Conference for Religion and Peace (WCRP)……) facilmente rintracciabili in Internet, assolutamente contrari all’escalation delle violenze, tese a distruggere per sempre la loro straordinaria terra, “memoria” delle tre religioni abramitiche(ebraismo, cristianesimo, islamismo).

E si resterà maggiormente stupiti quando, leggendo i loro intenti ed azioni, ti accorgi che la maggior parte degli associati, sono rabbini ortodossi che ritengono che gli abusi dei diritti dell'uomo non sono compatibili con la tradizione ebraica antichissima della comprensione e della responsabilità morale o della preoccupazione biblica per " lo sconosciuto nel vostro cuore”, anche di fronte al pericolo di un sovvertimento dell’ordine pubblico e della  sicurezza che la rivolta palestinese rappresenta.

Tra di loro, vi sono quanti appartengono a Rabbis for Human Rights e Clergy for Peace, fondato da Jeremy Milgrom, con l’intento di dare voce al ricordo ebraico dei diritti dell’uomo, ricevendo un prestigioso premio dalla Knesset per la qualità di vita migliorata nei campi profughi nel rispetto dei valori democratici, della protezione e dei consigli alla tolleranza e stima reciproca.

 In un certo senso, RHR(Rabbis for Human Rights) è la voce rabbinica della coscienza in Israele.

Edificato nel 1988, in risposta agli abusi seri dei diritti dell'uomo da parte delle autorità militari israeliane nella soppressione dell’Intifada, e all’indifferenza enorme dei vertici religiosi, piuttosto impassibili di fronte alla sofferenza della gente palestinese non colpevole,  vista come il nemico, ha promosso e promuove molte iniziative per il  dialogo ecumenico, per le attività educative, le violazioni dei diritti dell'uomo dei palestinesi ad West Bank, per gli operai stranieri, per il sistema sanitario  israeliano, per la condizione delle donne, per gli ebrei etiopici

Uno di quelli che non riposa sugli allori per la terribile situazione in Israele, è proprio  Jeremy Milgrom che richiama, al meglio, molti personaggi biblici e talmudici(David, il Golem…).

A vederlo, per la sua prestanza fisica, l’arruffata chioma che porta a coda, l’irruenza del suo linguaggio, la sua numerosa progenie(sette figli), l’impegno a favore degli emarginati nella sua “Terra promessa”( è un ortodosso, tout court), ti rievoca quel certo Sansone su cui tanto si è favoleggiato per la sua forza, soprattutto fisica, visto che più di una volta è rimasto abbagliato dalla bellezza femminile, rimanendone intrappolato( la storia cominciò con Eva…).

La somiglianza è puramente casuale, poiché Jeremy è un uomo che si muove agilmente nel mondo, passando dall’America all’Italia, da Israele ad ogni Paese dove corre ad illustrare l’operato di Clergy for Peace di cui si dichiara orgoglioso iniziatore per cancellare( probabilmente) gli antipatici stereotipi sugli ebrei che da quando si sono piazzati in Palestina, sono diventati peggio dei vari oppressori di cui sono stati oggetti nel tempo.

Forse- ed è un peccato- nessuno di loro ha ancora visto i due film della Mostra di Venezia 2001, però Jeremy Milgrom- neanche lui li ha visti- nel suo agire, sembra che sia idealmente, fedelmente collegato a quelle storie che narrano il travaglio del suo popolo per tornare nella sognata Terra Promessa.

Leggete cosa ci dice.

DOMANDA: Jeremy da quando sei in Israele e perché?

RISPOSTA: sono emigrato dall’America dove sono nato, all’età di 14 anni, per inseguire il sogno della Terra Promessa, secondo gli insegnamenti dei nostri padri. Ora vivo a Baka, nelle vicinanze di Gerusalemme. Questo posto è  anche conosciuto come "il villaggio." E’ off.

Gli ebrei, in genere, abitano in zone migliori dove c’è più sicurezza per la propria famiglia.

DOMANDA: ma gli ebrei non vogliono la pace?

RISPOSTA: a livello dichiarativo, gli israeliani desiderano la pace; all'attivo, a livello cosciente, amano la loro propria sicurezza. Quando si guarda l'immagine completa, di che cosa realmente stia accadendo, ci troviamo di fronte ad un colonialismo del 20 secolo,  in cui, una società israeliano- ebrea, si è sovrapposta su una società palestinese natale, impadronendosi della maggior parte della terra e dell'acqua e prevedendo la pace e la sicurezza in cambio di alcune briciole per gli altri.

Per una società coloniale, l’isolamento è una parte integrante della relativa ideologia, la relativa auto- immagine, le relative razionalizzazioni -- persino la relativa alimentazione rimanente -- richiede la filtrazione verso l'esterno.

IL Trattato di OSLO era chiaro, circa il  ritiro israeliano dal territorio occupato e per l’auto- governo palestinese. Sono però dubbioso, perché la condizione palestinese rimarrà sottomessa, essendo l'economia israeliana ben più forte -- 25 volte più forte -- e continuerà a sfruttare le ultime risorse naturali dei palestinesi: la loro mano d'opera. La soluzione degli attuali presupposti, non fornisce una risposta sufficiente alle ingiustizie  del colonialismo.

Durante i primi dieci anni della mia vita in Israele, ero  inebriato  dal  sionismo; negli anni successivi, ho intrapreso un’azione sociale e ho partecipato alle attività tese all'erosione morale dell'esercito israeliano. Inoltre, i miei bambini hanno legato con i figli di un cardiologo palestinese ed io stesso ho stretto un profondo legame di amicizia col mio insegnante d’arabo che abitava in un accampamento ora distrutto. Ho superato la mia ansia di frequentare dei rifugiati e, allo stesso tempo, ho scoperto una ricchezza di vita in mezzo a loro. Ho aperto gli occhi e ho imparato a  conoscere una società completamente differente dalla mia, con una cultura molto preziosa.

DOMANDA: c’è differenza tra un colono che proviene dall’America da quello di un altro paese?

RISPOSTA: sicuramente e non solo per l’accento. In contrasto con la maggior parte degli immigrati (ebrei) che sono fuggiti dall’oppressione e dalla povertà, gli ebrei dell'ovest sono venuti per  motivi idealistici e solitamente non limitano la loro partecipazione democratica al tempo delle elezioni. E qui, naturalmente, avviene la divergenza critica: fra quelli di cui le preoccupazioni sono limitate alla gente ebrea e coloro che aspirano a rendere Israele una società vera che comprende anche il popolo palestinese. Coscientemente, man mano che gli anni passano, ho trasmesso il mio amore per il  baseball ai  miei figli, così come uso  il Simpsons come punto di riferimento (se non il modello) in molti dei nostri propri argomenti in famiglia.

Molti dei miei amici ebreo- israeliani religiosi della High School sono coloni nel West Bank e ritengo che oggi  ho ben poca cosa in comune con loro. Certamente, vi è una spiritualità collettiva: mentre le nostre politiche sono ampiamente divergenti, tutti consumiamo Bob Dylan, Shlomo Carlebach (il canto Rabbi) , candele e il desiderio di riflettere più spesso.

La violenza del vigilante del colono a West Bank , con un accento di Brooklyn, ha radici americane profonde, nel passato così come nel presente, anche se i teppisti ebrei israeliano- americani sono, probabilmente, la prima generazione  nelle loro famiglie a toccare un'arma.

DOMANDA: lei avversa la violenza e lotta per i Diritti umani. Allora, non sarebbe stato meglio che fosse rimasto in America?

RISPOSTA: nel giudaismo la componente spirituale lotta costantemente con il relativo lato etnico, che si abiti in Italia, in America, in Francia…La consapevolezza universale del giudaismo  e la preoccupazione per i diritti di tutti gli esseri umani deve oltrepassare l’etnocentrismo e l’assillo del benessere della gente ebrea.

L’ispirazione e l’azionamento di base per i diritti dell'uomo nel giudaismo è un umanismo religioso ed è derivato dalla storia biblica della creazione in cui Adam, il primo umano ed i suoi discendenti sono visti  generati da Elohim(Dio) e a sua immagine. Come pinnacolo della creazione e allineati appena sotto gli angeli, gli esseri umani possono mirare alla pietà  e sono soci con Dio nella  consumazione  e nella manutenzione del mondo. Ogni  ferita ad un umano, è concepita come causa di dolore a Dio.

Gli attributi divini che informano il comportamento umano sono la ricerca della giustizia e la pratica della pietà e benevolenza; quindi, i bisogni materiali degli individui più deboli quali la vedova, l’orfano, lo sconosciuto, devono occupare più della caccia al potere e alla prosperità. Da una prospettiva moderna, si può obiettare  che la Bibbia usi altri codici di categoria per la gente, particolarmente per le donne e gli schiavi, in svantaggio generale. Gli sviluppi  della letteratura post- biblica, tuttavia, hanno migliorato questi limiti in grande misura.

DOMANDA: leggendo la Bibbia, non si ha proprio la sensazione che vi sia un riguardo particolare per gli altri popoli. O no?

RISPOSTA: l'atteggiamento verso il non- israelita è problematico. La descrizione biblica limita l’attenzione umana, nel suo insieme,  alla storia dei discendenti di Jacob, che formano la gente ebrea convenuta in Israele. Tuttavia, la Bibbia ricorda costantemente ad Israele che il proprio Dio ha a cuore il benessere del resto del mondo. Di fatto, nella letteratura post- biblica , si persegue l'equilibrio fra l’universalismo ed il particolarismo. Successivamente, nell'era moderna, in seguito agli sviluppi politici ed ideologici quali l’illuminismo, il nazionalismo europeo, il marxismo e il  sionismo, si è  polarizzato lo studio nell'incontro fra gli ebrei ed i non ebrei, nel voler superare gli ostacoli per costituire la famiglia umana, seppure ciascuno con un compito diverso.

Oggi, con il ripristino della sovranità politica della gente ebrea in Israele,  "la condizione ebrea" ha trasformato la discussione sul riconoscimento nel giudaismo dei diritti dell'uomo del non ebreo da un'esercitazione scolastica, esoterica, teorica, ad un dibattito intenso che infuria in arene internazionali per fare opinione. Internamente, ha disposto l’immissione dei diritti dell'uomo nel centro dell'autoconsapevolezza ebraica e della politica pubblica ebraica.

DOMANDA : che cosa rappresenta per lei Gerusalemme?

RISPOSTA: quando come un rabbi israeliano con la cittadinanza americana sono  andato a richiedere i passaporti degli STATI UNITI per i miei  bambini, il funzionario consolare mi ha chiesto se sceglievo di registrare il loro luogo di nascita come "Gerusalemme" o
"Israele". Il dilemma che  ho dovuto affrontare, è la stessa domanda su come lo spirituale e le dimensioni politiche dell'importanza di Gerusalemme coesistono nella mente di un ebreo. La risposta è ambivalente. Le fonti religiose rabbiniche e moderne ci mostrano come Gerusalemme è stata  ispirazione/realismo, sentimentalismo/praticabilità, devozione/alienazione, sottomissione/responsabilità,  speranza/disperazione nel pensiero ebraico. Gerusalemme ha  un senso importante in entrambi. Essa è conosciuta nelle fonti ebraiche come città di pace e di giustizia  (in numerose citazioni bibliche) e come città di Dio. Tale condizione esige alte aspettative morali e un sistema elaborato delle delimitazioni simboliche, ciò che separa dal profano e dal mondano.

 Il mondo di Dio è grande e santo. Più santa fra tutte le terre è la terra di
Israele e più santa fra le relative città è Gerusalemme; la parte più santa di
Gerusalemme è il muro del tempio, e il punto più santo è il Santo dei Santi.

Quindi, Gerusalemme è per me come per ogni ebreo ortodosso, la città di Dio, cui converranno da tutto il mondo tutte le genti per adorarlo.

 

DOMANDA: quando si parla dell’ebreo ortodosso, è un po’ come dire integralista…

RISPOSTA: credo che le tradizioni religiose possono e devono essere soci nello sforzo di volere e cercare la pace.
Secondo il giudaismo, l'operazione religiosa di base è la  personale e collettiva
aspirazione alla santità, come un mezzo di emulazione del divino. La santità è
l’obiettivo in entrambi i mondi dell’attività religiosa: il piano orizzontale dell'essere umano in
interazione ed il piano  verticale con la partecipazione di umano/divino.

DOMANDA: naturalmente il sabato per lei è veramente un giorno sacro, sebbene quello che c’è in Israele non induca tanto alle celebrazioni e alla preghiera….

RISPOSTA: tutti i giorni dell'anno sono solenni per amare il Signore. Più santi delle feste sono i Sabbaths. Più santo del Sabbaths è il giorno dell’Espiazione, Yom Kippur, che è conosciuto come il Sabbath dei Sabbaths. Fra i popoli del mondo, più santo fra questi, è Yisrael e fra le sue  relative tribù, più santa è la tribù di Levi. Il più santo
fra i Leviti sono i sacerdoti , i discendenti di Aaron e più santo
fra loro, è il Sommo Sacerdote. Più santa delle molte lingue del mondo è il  Lashon Hakodesh, ebreo, nella cui lingua il libro più santo è la Bibbia. Il passaggio più santo
nella Bibbia sono  i dieci ordini(i comandamenti) e la parola più santa nei dieci  ordini è il nome di Dio.
Una volta all'anno(Yom Kippur) , le quattro sfere della santità si  intersecano
 quando l'alto sacerdote chiede perdono a nome di tutti. Là è Gerusalemme. Se in quel momento di santità grande, il Sommo Sacerdote fosse stato distratto  da un pensiero esterno, l'intero mondo potrebbe essere distrutto.

 DOMANDA: così, carissimo Jeremy, con la pretesa  degli ebrei a tutta la santità, continueranno le guerre…

RISPOSTA: ciascuno di noi è un Sommo Sacerdote e ogni posto da cui alziamo i nostri occhi al cielo è il Santo dei Santi; ogni momento è il giorno dell’Espiazione ed ogni parola pronunciata con sincerità, è il nome di Dio.
In questo modo, si  fonde il sistema gerarchico classico della santità con un moderno, universalista, egualitario credo, quasi una  prospettiva secolarista.

Ciò  indica chiaramente, la  capacità del giudaismo  di andare oltre l'oggetto limitato e concreto, rilasciando tale dichiarazione di importanza universale.
Una dei prodigi della storia ebraica, è il fatto che il giudaismo è sopravvissuto alla
 distruzione del tempio e,  malgrado la perdita del relativo "centro di comando", essa  nella vita rituale,  vicina spiritualmente ed universalmente,
 è conservata con il ricordo delle leggi sacre.

DOMANDA:  anche nella ritualità giornaliera c’è sempre questo richiamo a Gerusalemme?

RISPOSTA: la sua memoria è custodita in altre funzioni di vita ebraica quotidiana, con il giuramento del salmista:

Se dimentico te,  Gerusalemme,

si paralizzi la mia mano;

la mia lingua si incolli al palato

se non sei il mio continuo pensiero,

il colmo della mia gioia, Gerusalemme(Cfr. Salmo 137, 5- 6)e durante il matrimonio, quando lo sposo  frantuma un bicchiere  nel  punto culminante della sua cerimonia di nozze. Secondo gli insegnamenti rabbinici, un uomo può imbiancare la sua casa, ma dovrebbe lasciare una piccola zona non finita, in ricordo  di Gerusalemme. Un uomo può preparare un pasto con molte portate, ma dovrebbe omettere un elemento del menu in ricordo  di Gerusalemme. Una donna può mettersi tutti gli ornamenti tranne uno o due, per ricordare  Gerusalemme. (Talmud Bavli, Babza Batra 60b).

Inoltre,  il libro di preghiera richiede all'ebreo di pregare costantemente per la
ricostruzione di Gerusalemme.

Ciò ha permesso loro per 3000 anni, di avere Gerusalemme sulla punta della loro lingua, dappertutto le loro vite si realizzassero e, in attesa del Messia, la dispersione
della gente ebrea era accettata come divinamente ordinata, benchè fosse razionalizzata per i guasti morali di Israele. Così, anche il raduno  dai relativi esili, era assicurato, poichè  discendeva dall’impegno di Dio con il suo patto con Israele.

Dovrebbe essere chiaro ormai che "Gerusalemme" nel pensiero ebreo corrisponde a
molto più che a una città; "Zion" diventa sinonimo della terra d’Israele.

DOMANDA: la condizione politica di Gerusalemme interagisce con il senso spirituale  e metafisico di tutti gli ebrei. Come si risolverà questo problema, visto che Essa è un centro spirituale di importanza capitale anche per i cristiani e gli islamici?

RISPOSTA: Gerusalemme è stato il centro fisico del mondo ebreo dal  re David, che l’ha resa una città reale e capitale del suo regno ed è diventato  centro religioso permanente d’Israele da Salomone, suo figlio che ha costruito il tempio a Gerusalemme. È questo intreccio di politico e spirituale registrato in primo luogo nella Bibbia,  che è rimesso in vigore oggi e che concentra la nostra attenzione.
Il profeta  Isaia sviluppa il concetto di Gerusalemme come la città del Signore dell'Israele, in risposta all'affronto internazionale di situazioni sgradevoli per il regno di Giudea. Non più tardi, prima che questa idea si potenziasse nella nozione di quasi- immunità; Geremia  ha indicato chiaramente in Dio, la protezione di Gerusalemme che però sarebbe dipesa dalla moralità dei suoi abitanti, dalla  loro rettitudine e  onestà e non certo dal  loro savoir-faire politico.

Oggi c’è da temere per il destino di Gerusalemme se il benessere politico non è accompagnato dalla giustizia.

C’è il pericolo della punizione severa, quando le promesse non sono mantenute.
Un autore del 19.mo secolo, Y.L.Peretz, in un’allegoria Yiddish mette in guardia sulla precarietà e sull’incertezza di camminare sulla corda dei simboli salvatori. Bisognerebbe ricordare anche la storia famosa  dei "tre regali", che sintetizzo
Un ebreo ricco  minacciato dai ladri,  gira a loro tutto il 'suo oro, argento e
gioielli, dicendo con calma filosofica:  "Ho ricevuto tutto dal Signore ed il Signore mi ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore”.

Inebriati dal  suo fascino, fisico e spirituale, noi abbiamo perso di vista gli imperativi morali che discendono dalla richiesta di giustizia. La mancanza d'interesse di alcuni ebrei di dividere Gerusalemme con i non- ebrei, l'intolleranza fuorviata da altre religioni, o a causa della minaccia che i palestinesi rappresentino  alla sovranità ebrea, deve essere considerata una piaga divina che potrebbe squalificare bene la nostra propria richiesta su Gerusalemme. L'adempimento del futuro universale di Gerusalemme, come profetizzato da Zaccaria, Isaia e Michea, non indica  solo la tolleranza e l’unione tra ebrei e non- ebrei in un umanistico ideale, ma un imperativo religioso. Non c'è uno spiraglio che le forze del nazionalismo ed il fervore religioso siano a lavoro in tandem a Gerusalemme; si sta creando un'atmosfera politica irrazionale, sorretta dalla spiritualità dell’estremismo. Il sogno messianico per ora, è relegato a chissà quando dalle agende politiche e spirituali. Atti terroristi sono stati progettati  in un tentativo per demolire i luoghi santi musulmani e con ciò accelerare la ricostruzione del  Tempio. La speranza " nostalgica” di ripristinare i nostri giorni come nell’antichità, suona come un  malaugurio. Il fallimento della lotta di disgiungere la religione dalla politica è stato considerato erroneamente una battaglia di eretici contro credenti, una  minaccia di creare la più grande bestemmia, una specie di Armaggedon. La quarta benedizione del sabato e il servizio della  sera di Festa, risveglia in me il commento seguente di un rabbino famoso: Noi preghiamo quel Dio che può diffondere la sua tenda della pace su noi, sull'Israele e su Gerusalemme. Per  indicare che la nostra aspirazione più alta è portare la pace a Gerusalemme.

Gerusalemme sta in piedi  non solo come una città: “la pace di Gerusalemme " intende la pace del mondo. Solamente quando c'è pace a Gerusalemme noi, le nostre comunità e tutto Israele godono della vera pace. Quella pace per tutti, comincerà a Gerusalemme.

E allora…
 

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