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Il Mondo se lo sono fatto loro di Dacia Maraini
Caro direttore,
eccoci di fronte ad un nuovo Otto marzo,
l'Otto marzo del 2002, fra fiori di
mimosa e cene di sole donne. È una
festa, una ricorrenza, una occasione di
incontro, di discussione?
Perché in molte donne suscita un senso
di ripetizione e di sazietà?
Strana questa ripugnanza proprio nel
momento in cui si ricomincia a trovarsi
nelle piazze, proprio nel momento in cui
si riprendono ad organizzare con
entusiasmo manifestazioni e incontri che
sembravano ormai solo lontani
ricordi di un'epoca di entusiasmi ormai
morti. A che cosa attribuire la
stanchezza che ritrovo in tante donne di
fronte all'Otto marzo, anche fra
quelle che oggi sono pronte ad afferrare
la mano di uno sconosciuto per un
girotondo festoso intorno al Palazzo di
Giustizia?
Sarà che la festa si è svuotata dei
suoi contenuti e ha acquistato il tono
un poco prevedibile e vuoto delle
cerimonie ufficiali? Sarà che i contenuti
appaiono agli occhi delle più attente,
come svuotati? Eppure siamo ancora
visibilmente in un pianeta fatto a
misura d'uomo. Le ingiustizie continuano
e il mondo inventa costantemente nuovi
modi di discriminare le donne. Anche
nei paesi più avanzati e che si
pretendono evoluti dal punto di vista del
rapporto fra i sessi. Non sto parlando
infatti dell'Africa con i suoi due
milioni di bambine castrate ogni anno, o
dei paesi dell'Est che esportano
schiave sessuali come fossero beni di
scambio dei più comuni quali patate e
pomodori; o di quei paesi arabi che
impongono il velo e la segregazione alle
loro donne, e si tengono fedeli ad una
legislazione razzista e sessista come
quella che permette la lapidazione per
le adultere (vedi caso Safya). Parlo
dell'Europa e delle sue donne emancipate
e ormai partecipi a pieno diritto
di tutte le professioni.
Il fatto è che, sulla carta, le donne
nei paesi europei hanno conquistato
parità di fronte alle leggi. Lo si
dichiara in ogni occasione. E in effetti
di parità si tratta, ma sulla carta.
Nella vita quotidiana questa parità è
spesso un sogno. Nonostante i diritti
civili conquistati: il diritto di
famiglia, il diritto agli studi, il
diritto alla carriera, ci sono ancora
moltissime discriminazioni che vengono
imposte da una parte e subito dall'
altra come «naturali». Molte
ingiustizie, cacciate dalla porta, sono
rientrate dalla finestra sotto altre
forme, più subdole, più nascoste e
mascherate. Da noi non si impone il
burqa per rendere invisibili e
silenziose le donne, ma si trasforma il
corpo femminile in linguaggio,
togliendole, con l'illusione della
libertà sessuale, la parola.
L'Otto marzo veniva festeggiato finora
secondo le vecchie categorie di
giudizio della politica degli anni 60. E
questo forse è ciò che lo rende
sazievole. Gli argomenti di allora
appaiono pallidi rispetto alle nuove
ingiustizie e ai nuovi soprusi. C'è
modo e modo di affrontare l'inimicizia
verso il sesso femminile: quello antico,
ancora valido per molti paesi a noi
vicini, che non conoscono i diritti
civili; e quello nuovo che tiene conto
delle enormi e a volte striscianti
trasformazioni che hanno reso
irriconoscibile la separazione e
l'esclusione.
La tanto sbandierata libertà sessuale,
per esempio, che negli anni Sessanta
e Settanta, era considerata la base di
ogni politica di rinnovamento, è
diventata una pratica comune
nell'Occidente ma si è presto trasformata in
qualcos'altro: la libertà di mercato.
Vendersi con più facilità, senza
restrizioni, non vuol dire essere
libere. Ma l'apparenza della libertà viene
continuamente sbandierata da chi conduce
questo gioco. Siamo libere di
spogliarci, di esibirci, di suscitare
pubblicamente il desiderio maschile,
non è davvero una conquista? Ma in
questa luccicante libertà esiste una
trappola che spesso le donne non
distinguono: il corpo femminile non è più
un oggetto, nel senso tradizionale del
termine, si è trasformato in puro
linguaggio di mercato. Il venditore
parla al compratore attraverso un codice
che è fatto di immagini di corpi
femminili più o meno svestiti, più o meno
esibiti, più o meno reificati. È il
linguaggio della seduzione interessata:
quella che ti fa sognare paradisi
dell'eros per venderti un dentifricio, una
automobile, una birra.
Si tratta di un linguaggio stereotipato
che tutti capiscono per averlo
sentito adoperare in continuazione sia
dalla moda che dalla pubblicità. I
nostri schermi ne sono colmi e
stracolmi. Per vendere un computer, un
viaggio esotico, si propone il corpo di
una bella ragazza che allude in
silenzio a piaceri proibiti, ad
avventure sorprendenti, a voluttà
misteriose. Non importa che quelle
voluttà e quei piaceri siano poi del
tutto virtuali. Il corpo femminile in
questo codice non parla più, ma è
parlato da altri. Ed è oggetto di un
linguaggio subdolo e mistificatorio che
promette godimenti paradisiaci al sesso
maschile e autonomia di seduzione al
sesso femminile.
La pubblicità allude, promette, strizza
l'occhio. Ma a chi? Al possibile
compratore. E qui viene spontanea la
domanda: ma come mai la pubblicità si
rivolge quasi esclusivamente agli
uomini? Soprattutto quella costosa. Mentre
la proposta di un olio da tavola mostra
una famigliola raccolta attorno ad
una insalata, una automobile dispendiosa
di solito rivela un corpo di donna
in posa ambigua, una bellissima ragazza
che allude a chissà quali complicità
erotiche, a quali abissi di piacere.
La risposta sta nei fatti: ancora il
grosso del denaro sta in mani maschili
e quindi i venditori di automobili e di
computer si rivolgono a quelle
teste, magari brizzolate, a quei
pensieri repressi, e quei portafogli
nascosti, per sollecitare il loro
desiderio sessuale. Il fine però non è l'
innamoramento e nemmeno la bramosia per
quel corpo femminile. Appena
suscitato, il desiderio maschile viene
deviato verso un altro corpo, fatto
di metallo e di vetro, abitato da un
motore potente che promette qualcosa di
più nascosto e feroce: con quella
automobile tu sarai superiore, sarai
virile e potrai conquistare tutte le
donne che vorrai, ma soprattutto
dominarle.
Ma le donne, non comprano automobili? A
meno di non considerarle tutte
omosessuali attratte morbosamente da
altri corpi dello stesso sesso, la
pubblicità ci rivela che il desiderio
femminile non è contemplato nel grande
mondo della compravendita. Che pure
calcola e analizza, non agisce mai a
casaccio. Quindi sa che per piazzare i
suoi prodotti, l'eros femminile non
serve. Mentre l'immaginazione erotica
maschile, con tutta la sua
paccottiglia di calze nere, tacchi alti
appuntiti, reggicalze, pizzi e
contropizzi, ottiene ancora il suo
effetto.
Così scopriamo che la discriminazione
sessuale, cacciata via dal sistema
legislativo, dalla pratica scolastica,
dalla deontologia familiare, ritorna
in forma di fantasia erotica della
compravendita. Lì dove i ruoli sono duri
a morire, lì dove il razzismo trionfa
nutrendosi dei fantasmi di una
femminilità arbitraria e
mistificatoria, irreale e disprezzata.
Sullo schermo di casa ormai, perfino le
informazioni metereologiche, vengono
date da ragazze seminude. Questo
significa ribadire che il femminile è la
sostanza di cui è fatto il linguaggio
della divulgazione televisiva, sulla
scia di quella pubblicitaria, suggerendo
inoltre ai giovani spettatori più
sprovveduti che la parola delle donne è
sussidiaria. Al suo posto c'è il
corpo che propone una comunicazione
molto più semplice, più diretta e più
riconoscibile. Tale è diventata la
coazione all'allusione sessuale che anche
le cosiddette esperte, invitate sullo
schermo a dire il proprio parere su un
argomento di attualità politica, si
sentono in dovere di adeguarsi: gonne
cortissime, gambe velate di nero esposte
fino alle mutande, seni esibiti in
modo disinvolto e spesso francamente
ridicolo. Il fatto è che l'invitata sa
di potere essere esclusa dal discorso
comune se non adopera il codice
linguistico stabilito, e teme, non
adeguandosi, di essere messa ai margini.
Senza rendersi conto che il suo
pensiero, anche quando è profondo e
preparato, finisce per essere vanificato
dall'altro linguaggio, quello del
corpo, tanto più plastico e colorito da
azzerare ogni parola.
Ecco, a me pare che l'emancipazione oggi
si sia confusa con l'appiattimento
sulle ragioni del mercato. Quel mercato
che promette libertà e dà
libertinaggio, promette autonomia e dà
nuove forme di dipendenza.
Forse l'Otto marzo riprenderà la sua
forza e la sua freschezza quando saprà
riscoprire, non solo i motivi dei
girotondi (che sono importanti ma non
specificano la differenza), bensì anche
le nuove discriminazioni sessuali
che, attraverso il grande baraccone
della comunicazione mediatica, sono
entrate di prepotenza nella sensibilità
comune.
da "L'Unità" 8 marzo 2002
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