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«Vendita di armi, così non va»


di Luca Liverani



L'appello del volontariato: export facilitato, riforma da rivedere
Invito alla mobilitazione: inviate messaggi di protesta ai deputati delle
Commissioni competenti


Roma.Bei tempi, gli anni 80, per l'industria bellica italiana. Si viaggiava
sui 4.000 miliardi di lire l'anno di esportazioni. Poi, a guastare la festa,
è arrivata nel '90 la legge 185, che introduce il divieto di vendere
armamenti a Paesi in guerra, che violano i diritti umani, che hanno bisogno
di aiuti per lo sviluppo ma spendono e spandono per i propri eserciti. Una
jattura per i mercanti di armi. E i bilanci crollarono a 1.000 miliardi
l'anno. Ma le leggi, si sa, sono soggette a interpretazione: e a furia di
forzature e pressioni, nella seconda metà degli anni 90 l'export armaiolo è
riuscito a risalire a 2.000 miliardi l'anno. Ancora troppo poco per chi
produce, se ora, cogliendo l'occasione della ratifica di un accordo quadro
europeo, si vogliono svellere definitivamente i paletti della 185. Così al
grido di «Fermiamo i mercanti di morte» un vasto schieramento di
associazioni si è costituito in cartello per lanciare una campagna in difesa
della legge che controlla l'export italiano di armi, insidiata dal disegno
di legge 1927, approvato a gennaio in commissione alla Camera «con un blitz
di poche sedute - denunciano i pacifisti - quando l'associazionismo era
tutto a Porto Alegre».
Ad appellarsi «alla coscienza di ciascun parlamentare affinché voti contro»
una riforma che permetterebbe «all'industria bellica di lucrare alti
profitti, pagati a prezzo della vita delle vittime delle guerre» sono in
tanti. Moltissime le associazioni (tra cui Acli, Pax Christi, Focsiv,
Emmaus, Agesci, Focolarini, Mir, Gruppo Abele, Chiama l'Africa, Istituti
missionari , Missione Oggi, Nigrizia, Mani Tese, Aon, Loc, Cnesc, Forum
Terzo settore, Amnesty International, Rete di Lilliput, Emergency, Medici
senza frontiere, Legambiente, Arci, Ics, Uds) e poi personalità fra cui i
vescovi di Porto-Santa Rufina Diego Bona e di Caserta Raffaele Nogaro.
L'accordo quadro è quello - firmato a Fanborough il 27 luglio 2000 da
Francia, Germania, Spagna, Svezia, Gran Bretagna, Irlanda del Nord e
Italia - per «facilitare la ristrutturazione e le attività dell'industria
europea per la difesa». Un accordo che già lascia insoddisfatti i promotori
della campagna. «Ma il nostro no si fa ancora più deciso verso la proposta,
contenuta nell'accordo di ratifica, di modificare la legge 185». Il ddl
1927 - relatori Selva (An) e Previti (Fi) - infatti va ben oltre le
necessità di ratifica introducendo un nuovo tipo di autorizzazione alle
esportazioni di armamenti, la cosiddetta autorizzazione globale di progetto:
scomparirebbero i riferimenti al numero di pezzi venduti, al valore, al
destinatario finale, alle intermediazioni finanziarie. Scomparirebbe quindi
il controllo politico sulle esportazioni e la relativa relazione annuale
che, a norma di legge 185, il governo è tenuto a presentare in Parlamento.
In pratica il rischio è la liberalizzazione del commercio di armi, anche
attraverso triangolazioni, oggi vietate, per coprire i reali Paesi
destinatari.
«Già col governo D'Alema sventammo un tentativo analogo - racconta Nicoletta
Dentico di Medici senza frontiere - ora si predica la lotta al terrorismo,
ma si vogliono allargare le maglie del commercio di armi». «Vogliono mettere
nero su bianco - rincara Francesco Terreri dell'Oscar, l'Osservatorio sul
commercio delle armi - le forzature che hanno già permesso una parziale
ripresa dell'export verso i Paesi poveri». Un esempio? «Nel 2000 - spiega
Terreri, presidente di Microfinanza - abbiamo già venduto per 200 milioni di
euro sistemi di controllo per il tiro dei carri armati alla Siria. Il tutto
in uno scacchiere bollente come quello mediorientale. Ma questa, che
denunciamo come una forzatura della 185, sarà la norma se passa la riforma».
La campagna invita singoli e associazioni a «sommergere di lettere, fax ed
e-mail, anche attraverso il sito www.camera.it, i parlamentari delle
commissioni Difesa ed Esteri». La mobilitazione ha già convinto il
centrosinistra a chiedere il rinvio del dibattito in aula. Ora toccherà alla
maggioranza. «Il presidente della Camera Casini - dice don Tonio Dell'Olio
di Pax Christi - è disponibile a un ritorno del testo in commissione, il
presidente della commissione Difesa Ramponi di An, no». Il prossimo
appuntamento è il 14 aprile a Brescia, per protestare contro Exa, fiera
dell'export bellico italiano.


da "Avvenire", 7 marzo 2002

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