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L'olocausto del Mediterraneo


di Lanfranco Caminiti



Presidente Ciampi, La prego, inviti al Quirinale i marinai dell'Elide,
la piccola imbarcazione che ha sfidato il mare nero per salvare un pugno
di uomini e donne nella notte terribile attorno Lampedusa, mentre una
bagnarola zeppa di immigrati affondava veloce. Inviti al Quirinale il
comandante Vito Diodato, "capitan Vito", e u' zu Ciccio, "una specie di
nostromo", e Enzo Othomane - madre di Mazara e padre tunisino - che in
quella notte nera ha passato la linea d'ombra dei suoi diciott'anni, e
tutti gli altri, quei nove uomini d'oro. Era il ragazzo, il mozzo, a
sporgersi dalle paratie della piccola imbarcazione mentre i più vecchi
lo tenevano per i piedi e lui cercava di afferrare le mani disperate:
nessun altro si sarebbe battuto come lui contro la furia del mare, era
un fatto di sangue, un fatto personale: i vecchi lo capivano. Il mare
rispetta chi ha un fatto personale.
Li inviti al Quirinale e stringa loro le mani come segno di rispetto di
tutti noi verso di loro: non c'è bisogno di medaglie e commende, è gente
semplice la gente di mare, piange ancora per tutti quei morti come
fossero gente loro, parenti. Basterà stringere loro le mani. Hanno le
mani grosse gli uomini di mare, il lavoro è duro e si fa ancora a forza
di braccia: hanno riflessi d'argento le mani dei pescatori, per le
piccole scaglie dei pesci che si conficcano dentro e non vanno mai via.
Stringa quelle mani come se tutti noi le stringessimo. E mostriamoli al
mondo questi nove uomini, mostriamo al mondo "capitan Vito", e u' zu
Ciccio, e Enzo Othomane - madre di Mazara e padre tunisino -, e tutti
gli altri. Convochi una grande conferenza stampa con tutti i giornali e
le televisioni straniere: loro saranno un po' imbarazzati - è gente
semplice la gente di mare, piange ancora per tutti quei morti come
fossero gente loro, parenti. Servirà all'Italia per mostrare una faccia
migliore, una faccia degna.
Che cuore hanno questi politici che vogliono mandare la Marina a
pattugliare o sparare sugli immigrati che arrivano dal mare? Che testa
hanno questi politici? Che comandi danno? Gli uomini della Cassiopea, la
nave della Marina che poteva fare qualcosa e è rimasta lì, incapace,
paralizzata, incosciente, non saranno fieri di sé. Ma la vergogna
maggiore non dovrebbe essere la loro. Non si possono trattare gli uomini
della Marina come fossero sbirri e kapò che devono controllare delle
gabbie e dei reticolati: il mare è il mondo, presidente. Non si possono
indurre comportamenti vigliacchi - perché è codardia, presidente, non
aiutare in mare chi chiede aiuto. Quelle linee di confine, l'Adriatico,
il mar Jonio, il mar di Sicilia - il Mediterraneo tutto -, stanno
diventano la linea d'ombra del nostro Paese, il segno della sua
maturità, della sua generosità, della sua responsabilità, della sua
civiltà. Sa, presidente, è sottile il confine: di qua il rispetto delle
genti, di là l'infamia.
Questo mare nostro si sta riempiendo di corpi annegati e carcasse di
navi: un giorno - quando non ne potrà più di questo tormento [un mare
non è fatto per diventare tomba senza riposo di popoli interi] - li
sputerà con la risacca e verranno su tutti insieme, a Otranto e Santa
Maria di Leuca, a Crotone e Bovalino, a Licata e Eraclea, gonfi e
senz'occhi, smangiucchiati dai pesci, blu, tutti blu, con le alghe nei
capelli e le gambe piene di molluschi, di crostacei, di piccoli coralli,
a trovare finalmente la terra, un po' di pace: non si può restare in
eterno in fondo al mare. Verranno a chiedere conto. Nessuna sacra
scrittura prevede che gli uomini dal mare vadano al cielo: dalla terra,
pure dallo sprofondo, ma non dal mare. Io non ho paura di quel giorno,
quando verranno con la risacca, quando verranno a chiedere conto, ma non
riesco più a bagnarmi nel mio mare, mi fa impressione sapere che là
sotto si agitano uomini e donne e bambini senza riposo: si può morire
lottando con le tempeste sul mare o in battaglia o cercando qualcosa nel
suo ventre, si può morire per strappargli il pane, questo sì, lo
capisco, ma non si può essere sistematicamente sterminati per cercare
"fortuna". Tra qualche anno non ci saranno più curdi, liberiani,
tunisini, senegalesi, tutti affogati lì, nel nostro mare nero.
Tra le povere cose che aggallano nel mar di Sicilia, povere cose di
immigrati che venivano a cercare lavoro e fortuna, ci saranno piccoli
viatici dati loro da madri, mogli, fratelli, mariti, amici, una foto, un
ramo, un sacchetto di terra, perché aiutino a trovare il "miracolo", la
terra promessa, un luogo dove mettere casa, chiamare gli altri rimasti
laggiù e languire tutti assieme qui di nostalgia, cantando canzoni che
non comprendiamo e raccontando storie che non capiamo. Si dovrebbero
raccogliere tutte queste piccole cose preziose, catalogarle, trattarle
con cura, esporle in un Museo e portarci i bambini delle scuole. E'
l'Olocausto del Mediterraneo questa ondata migratoria che arriva da
posti impensabili, difficili persino a pronunciare. Ha una storia nobile
il Mediterraneo e sta soffrendo come mai ha dovuto: il suo nome viene
evocato in tutto il mondo. Sa, presidente, è sottile il confine, la
linea d'ombra: di qua il rispetto delle genti, di là l'infamia.
Presidente Ciampi, La prego, inviti al Quirinale i marinai dell'Elide.
Servirà all'Italia per mostrare al mondo una faccia migliore, una faccia
degna.

"Fermate le macchine!" ordinò Lannec attraverso il portavoce.
Era impossibile occuparsi di tutte quelle forme nere che le onde
avvicinavano e allontanavano alternativamente. Sul cargo non c'erano
abbastanza salvagente né uomini a sufficienza.
"Dritta, sempre a dritta, tutta a dritta, fulmini del cielo!".
"La nave non risponde più.".
Non c'era spazio di manovra e per averne bisognava avanzare,
allontanandosi dai naufraghi.
"E uno!" esultò un marinaio che aveva tirato a bordo un corpo.
I Pitard, Georges Simenon

Roma, 9 marzo 2002

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