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CULTURA
- Tiziano Terzani, giornalista bambino permanente: “I fatti sono un
velo dietro il quale la verità si nasconde”
Agenzia
Redattore Sociale
8/03/2002 11.03.00
ROMA – “Dopo
l’11 settembre niente è più come prima. Continuiamo a vivere nella
normalità, ma il mondo è cambiato”. È la convinzione che ha
spinto Tiziano Terzani, 63 anni, a lasciare la sua baita a 2800 metri
di altezza sull’Himalaya – senza elettricità, acqua corrente e
telefono - e a scrivere “Lettere contro la guerra”. Lettere da
Peshawar, Kabul, Quetta, Delhi, da quell’Oriente in cui vive da
oltre trent’anni, continuando a sentirsi profondamente
“fiorentino”.
Ha interrotto il suo silenzio e sta girando tutta l’Italia per
parlare di pace. “Una sorta di nuova missione”, la definisce. La
sua lunga lettera inviata al Corriere della Sera e pubblicata il 16
settembre, “sasso” che ha suscitato numerose reazioni e ha
scatenato una discussione sulle pagine del quotidiano. Il titolo che
aveva dato era “Una buona occasione”: “L’11 settembre abbiamo
visto la misura dell’orrore di cui l’uomo è stato capace, ma in
questo fatto tremendamente negativo si può cogliere qualcosa di
positivo”: un’occasione per prendere coscienza della situazione di
crisi a livello mondiale. “L’orrore dell’11 settembre, visto
decine di volte in tutto il mondo, conteneva un invito a ragionare, a
cambiare direzione e a capire che la via da seguire è quella della
non violenza”.
Il 6 marzo il noto giornalista, inviato di guerra fra i primi
corrispondenti in Vietnam e Cambogia, era a Roma, prima in una
libreria del Centro, e in serata all’associazione culturale Rialto
Sant’Ambrogio, per l’incontro “Un mondo senza guerra è
possibile?”, promosso da Attac. Nella sala stracolma di giovani e
meno giovani arriva vestito di bianco, sandali ai piedi, barba e
capelli lunghi e canuti, uno scialle colorato e una borsa di tela.
“Non sono né induista né buddista”, ci tiene subito a precisare,
ma un fiorentino che ha sempre fatto quello che gli piaceva:
scrivere”. E sulla montagna scrive con un computer alimentato da un
pannello solare: “Adoro la modernità, ma voglio controllarla”.
Perché ha deciso di interrompere il suo silenzio, di uscire dalla sua
solitudine? “Non voglio diventare assessore, né fondare una setta o
aprire un negozio omeopatico”, scherza. Il suo intervento non vuole
dare risposte o semplici ricette di pacifismo, ma suscitare “domande
sul nostro futuro”. “Tutte le religioni hanno detto: ‘Non
uccidere’”, ricorda Terzani, dichiarandosi apertamente contro la
politica “suicida” dell’attuale governo americano, legato
all’economia del petrolio e degli armamenti”. Quello dei talebani
è stato “un attentato orribile, ma le due torri non sono il massimo
dell’‘orribilità’: in Giappone due bombe atomiche hanno ucciso
300mila persone, tutti civili”.
“I fatti sono un velo dietro il quale la verità si nasconde”,
prosegue Terzani. “Questa è una guerra di grandi bugie, dal primo
all’ultimo momento. Gli americani hanno proibito a chiunque di
avvicinarsi al conflitto e c’è stata una campagna di menzogne
dell’Occidente guidata dagli Stati Uniti”. Sui bombardamenti
(“quei filmati verdi sembravano un videogame”), sul numero delle
vittime civili (“almeno altrettante di quelle delle Due Torri”),
sulla liberazione delle donne afgane dal burqa: “A Kabul non ne ho
vista una senza: le hanno pagate per toglierlo e filmarle”. Il
giornalista riferisce anche di “pressioni” sull’Ambasciata
americana di Roma “perché la mia voce tacesse sul Corriere della
Sera”.
Il nodo della questione è cruciale: “Non elimineremo il terrorismo
se non capiremo le ragioni per cui un uomo, nato per vivere
felicemente, compie un atto disumano come quello di uccidersi e
uccidere”. E il terrorismo è “la risposta alla asimmetria del
nostro strapotere. Le bombe hanno creato solo altri terroristi:
dobbiamo interrompere questa spirale di violenza”. Senza demonizzare
il nemico, si possono “stabilire dei contatti anche a livello
europeo”: continente che ha alle spalle un lungo “cammino di unità
nella diversità. L’Europa ha un grande ruolo da giocare, che non è
quello di scodinzolare dietro gli Usa, ma di riscoprire la sua anima e
storia, il suo rapporto di inseminazione culturale e filosofica con
l'Islam”. È possibile un’altra via, dunque, opposta alla
violenza: “Aprire un dialogo di civiltà. Non possiamo eliminare il
diverso, e il bello della vita è proprio la sua varietà. Nel mondo
di oggi ci sono molti islamici che non vogliono mangiare e vivere come
noi, che non hanno le nostre passioni e desideri”.
Bisogna quindi riscoprire “l’armonia degli opposti: 30 anni di
Asia me l’hanno insegnata. Noi occidentali abbiano l’ossessione
che bisogna eliminare una delle due parti, la propria ombra: Bush
vuole eliminare il male... ma poi il bene si sentirebbe tanto
solo!”, ironizza. Significa anche che ciascuno di noi “nasce metà”,
sottolinea, ricordando che il suo matrimonio dura da 42 anni. “La
confusione e il senso di alienazione che affliggono tanti abitanti
dell’Occidente nascono dalla lontananza dalla natura”. Terzani ne
è convinto: è proprio questa “distanza dalla natura e dagli
altri” all’origine di “tanta frustrazione e infelicità”,
dell’impossibilità di comunicare anche se i telefonini squillano in
continuazione. Ci si considera “solo corpo” e si continua a voler
controllare gli elementi della natura, destabilizzandola per
“obbedire” alle leggi del mercato. “Bisogna imparare a
digiunare, a combattere contro il consumismo che ci sta consumando,
non comprare quello che non ci serve: diventiamo tutti più ricchi e
più infelici. Per questo mi chiamano ‘sabotatore’ del
consumo!”.
Ha sempre rifiutato i premi giornalistici. Pochi giorni fa, a Pisa, è
stato avvicinato da una signora 85enne, alla guida di
un’associazione di ragazzi, che gli ha chiesto se avrebbe accettato
il ‘Premio di bambino permanente’. “Non ho potuto rifiutarlo”,
dice con entusiasmo e con un’allegria fresca, autentica, che ha il
sapore dell’infanzia. (Laura Badaracchi)
CULTURA -
Intervista a Terzani: “Il mestiere del giornalista va fatto con
amore, non per guadagnare soldi”
8/03/2002 11.04.00
ROMA – Nel suo giro
per l’Italia Tiziano Terzani è approdato per un giorno a Roma.
L’abbiamo incontrato all’associazione culturale Rialto
Sant’Ambrogio: l’incontro “Un mondo senza guerra è
possibile?”, promosso da Attac, ha suscitato nei presenti molte
domande e dato vita a un dibattito vivace.
Come vede oggi il ruolo del giornalista?
“Ora che la verità ha costantemente il bavaglio, gli occhi
servono più di prima per vedere e raccontare. Il mestiere del
giornalista non è finito, anzi, è ai suoi albori. Però bisogna
farlo con amore, non per guadagnare soldi. È una missione, un’arte.
A Peshawar quasi tutti i giornalisti erano in un grande albergo, dove
circolava la disinformazione americana. Nessuno aveva altre fonti.
Bisogna parlare con i rifugiati, cercare canali per andare in casa di
qualcuno. Purtroppo il giornale è un prodotto, non è più un
servizio sociale. Ma ci si può informare in tanti altri modi:
ascoltare la radio, leggere alcuni giornali stranieri... C’è
speranza. La propaganda non è tutto. Ci si può opporre alla legge
del mercato spegnendo la televisione. Internet? È un mare in cui non
c’è filtro e dove le fonti sono tutte uguali: la mancanza di
selezione è un problema. Ma c’è un modo di reinventare il
giornalismo, ad esempio lavorare in gruppo e darsi da fare”.
Quali errori evitare per informare in modo corretto?
La cattiva informazione nasce dal voler fare spettacolo,
realizzando un prodotto da vendere. Se i giornalisti raccontano bugie,
la denuncia è giusta e fa parte della deontologia professionale:
bisogna verificare quello che scrivono, aver rispetto per chi rispetta
le regole e denunciare chi non lo fa. Il ‘New York Times’ ha in
seconda pagina una colonna di “errata corrige’: una forma di
controllo o autocensura. Si potrebbe proporre uno spazio del genere
anche sui quotidiani italiani”.
Come affrontare le diversità tra le culture?
“Essere orgogliosi di noi stessi, di ciò che siamo, ma non con
la pretesa di avere il monopolio di cultura, civiltà e progresso. Il
diverso è parte di quello che siamo, gli si deve rispetto anche se
non siamo rispettati. Invece stiamo diventando intolleranti. Occorre
gettare un ponte di comprensione”.
Qual è la condizione della donna in Afghanistan?
“Ci sono donne che non vogliono togliersi il burqa: un sacco
orribile per noi, per loro una protezione. Una bambina italiana a 5-6
anni mette le scarpe della mamma, la sua coetanea afgana prende il
burqa della madre e lo indossa: è il simbolo della sua difesa dal
mondo maschile. In quella società la donna vuole controllare la casa,
di cui è regina e ha la cassa. Vogliamo portare i nostri valori in
quel mondo? Secondo me è un grande errore. La libertà per altri ha
un valore diverso. Forse faremmo meglio ad occuparci di centinaia di
donne che sono costrette a prostituirsi sulle nostre strade e non
riescono a fuggire da questa trappola”.
Cosa pensa del movimento no global?
“Non sono d’accordo con tutto: è un grande contenitore, in
cui ci sono coloro che non vogliono diventare omologati e i violenti.
Ho seguito da lontano i fatti di Genova; ci sono vari modi di reagire
alla violenza: scappare (per debolezza fisica e non morale), scegliere
una via di comportamento. Mai sfasciare le vetrine: basta non comprare
i prodotti. Siamo di fronte a una scelta decisiva: o la barbarie, con
cui rischiamo di scomparire ed eliminare la specie umana, o la non
violenza”.(lab)
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