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Ieri
per il Vietnam, oggi per la Palestina
Joseph Halevi
Al popolo palestinese si deve estendere la stessa capillare
solidarietà che in Italia venne espressa nei confronti del Vietnam e verso la
lotta anticoloniale in Mozambico ed in Angola. Questa è la mia risposta alla
lettera di Gad Lerner al manifesto. Contrariamente agli sbandieramenti di
Lerner, in trentacinque anni di interventi sulla questione mediorientale non ho
mai sentito il bisogno di affiggere la mia origine israelo-ashkenazita dal lato
paterno e italo-sefardita dal lato materno. Conta il ragionamento basato
sull'analisi storica, sia politica che umana. Scrivo mentre a Jenin è in corso
un'operazione che ricorda le uccisioni ed espulsioni di massa che l'esercito
israeliano attuò nel 1948. Le forze israeliane investivano una località
palestinese causando perdite nella popolazione civile. Questa anche fuggendo
veniva ulteriormente terrorizzata con dei tiri che provocavano nuove vittime. Se
invece gli abitanti opponevano resistenza pativano sanguinosissime rappresaglie
collettive.
Fu così che le popolazioni di Ramle e di Lydda subìrono molte uccisioni
seguite dal calvario dell'espulsione in massa - per ordine esplicito di Ben
Gurion - verso la Cisgiordania. Il loro cammino, senz'acqua nella torrida estate
mediorientale, fu cosparso da oltre trecento morti tra i quali numerosi erano i
bambini.
Un'altra tragedia si riprodusse nel 1967, a pochi chilometri di distanza da
quella di Lydda del `48. I villaggi di Yalu, Beit Nuba e Amwas vennero fatti
saltare mentre gli abitanti venivano sospinti da un villaggio all'altro per
scoprire che ognuno di essi era in via di distruzione. Il giornalista israeliano
Amos Kenan, testimone dei fatti, scrisse: «I campi vennero trasformati (dai
bulldozer, ndr) in una landa desolata di fronte ai nostri occhi ed i bambini,
che si trascinarono quel giorno lungo la strada piangendo amaramente, saranno
fra 19 anni i nuovi fedayin» (Amos Kenan, «A wasted victory», in Uri
Davis and Norton Mezvinsky, Documents from Israel, 1967-73, London:
Ithaca Press, 1975, pp. 150-1).
Kenan aveva visto giusto, solo che non poteva immaginare il livello di
disperazione cui gli occupanti, che oggi vogliono che il popolo oppresso e
occupato li protegga, avrebbero spinto la popolazione palestinese. Da tre
decenni il popolo palestinese è sottoposto ad una repressione tale da penetrare
l'esistenza quotidiana fin nei minimi particolari. Come ha lucidamente scritto
Uri Avnery sul nostro giornale il 30 marzo : «Una persona il cui fratello è
stato ucciso, la cui casa è stata distrutta in un'orgia di vandalismo, che è
stata mortalmente umiliata davanti agli occhi dei suoi figli, va al mercato,
compra un fucile per 40.000 sheqel (per farlo alcuni vendono la macchina) e va a
cercare vendetta».
Tralasciamo Avnery e andiamo al cuore dell'establishment israeliano. Ami Ayalon,
capo dei servizi di sicurezza interni israeliani Shin Beth dal 1996 al
2000, in un'intervista a le Monde il 23 dicembre scorso affermò quanto
segue: «Qui si dice che i palestinesi si comportano come dei `pazzi'. Non è
follia ma una disperazione senza fondo» e aggiunse: «Contrariamente a quanto
ci viene martellato in testa Yasser Arafat non ha nè preparato né scatenato l'Intifada.
L'esplosione è stata spontanea contro Israele per mancanza di speranza riguardo
la fine dell'occupazione...».
Il rifiuto di capire questo dato elementare porta all'accettazione dell'attuale
strage nei confronti dei palestinesi ed offusca la realtà dei fatti: Israele
non vuole attuare le risoluzioni dell'Onu che impongono il ritiro completo da
tutti i territori occupati nel 1967. Invece ogni governo ha continuato a
requisire terre e distruggere abitazioni palestinesi. Dal 2001 si registrano 34
nuovi insediamenti.
Bisogna riconoscere l'insieme del problema per cui rifiutare il diritto al
ritorno come fa Amos Oz comporta l'eternizzazione della causa principe della
tragedia palestinese. Solidarietà con il popolo palestinese dunque come
richiesto dall'appello lanciato il 29 marzo da una serie di personalità
palestinesi (Heydar Abdel Shafi, Hanan Ashrawi, Mustafa Barghouti, Azmi Bishara
ecc.) e controfirmato da 17 personalità israeliane (Aharon Eviatar, Baruch
Kimmerling, Daniel Amit, Uri Avnery ecc): «Levate la vostra voce per rompere la
cospirazione del silenzio tra i vari governi che permettono ad Israele, il quale
usufruisce dell'appoggio illimitato ed incondizionato degli Usa, di commettere
impunemente crimini di guerra ed altre violazioni della legge umanitaria
internazionale. Manifestate apertamente, vigorosamente e pubblicamente di fronte
ai governi ed alle organizzazioni internazionali chiedendo l'immediata ed
effettiva protezione dei civili palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati,
attraverso proteste, marce, campagne dei media e con altri mezzi pacifici».
Tratto da "Il
Manifesto" 9 aprile 2002
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