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Io
ho paura, ma so perché
Vivo a Gerusalemme, a 500 metri da un caffè
saltato in aria. Nessuno mi spieghi come si vive con il terrore. Ma
partire dal terrore per analizzare la politica israeliana vuol dire
fare demagogia con la morte
Zvi
Schuldiner
Mi ha impressionato molto l'articolo di Gad Lerner.
Per molti punti che ci separano, per altri che forse abbiamo in
comune. In molti punti per ciò che si riferisce al nostro conflitto,
oggi, qui in Medio oriente, in altri, per la forma in cui l'ideologia
sul «terrorismo» entra anche nelle menti lucide. In altri punti
perché mi preoccupa oggi come sempre che il conflitto di oggi, qui,
si insinua lì, oggi, in venature antisemite che colpiscono anche la
pseudosinistra. E questo paradossalmente serve come scusa per spiegare
o giustificare l'azione criminale di un governo israeliano che è la
minaccia vera per il futuro di questo popolo, oggi, qui, in Israele.
Sono qui a Gerusalemme. Vivo a cinquecento metri dal famoso caffè
Moment, esploso qualche settimana fa. Non solo lì ho preso mille caffè,
ho avuto incontri con pacifisti italiani (ad alcuni dei quali si nega
l'entrata in Israele). Una settimana fa una bomba è esplosa sotto
l'ufficio di un mio caro nipote - un militante di Ta'ayush - e due
giorni dopo, un'altra bomba è esplosa all'entrata del supermercato
vicino a casa sua.
Il dolore, la paura per i miei cari, per famiglie intere distrutte,
non mi è estraneo. Lo vivo quotidianamente e nessuno mi deve spiegare
da Roma quanto è orribile questa situazione. La paura per le strade
è una realtà. Il trauma di questa società, in questi giorni, è
innegabile. Pensare che questo possa essere il punto di partenza per
analizzare la politica del governo israeliano non è altro che un uso
demagogico della morte, un passo in più nella disumanizzazione del
nemico. Il nemico, anche agli occhi di Lerner, continua ad essere
invisibile, quasi non esiste.
Come molti altri, ho il diritto di temere per la mia vita in qualsiasi
atto della mia vita quotidiana. Ma non sono tanto ingenuo da
immaginare che questo minacci l'esistenza dello stato di Israele, nè
tanto confuso da perdere il senso dell'orientamento rispetto a quello
che succede sotto le mie finestre in questi giorni.
Il terrorismo è un fenomeno complicato che chiede una analisi più
seria che risposte emotive e viscerali. Non per giustificarlo. Mi
ripugna e lo condanno moralmente e politicamente. So - come non pochi
palestinesi intelligenti - che il terrorismo ha provocato non solo
danni enormi alla società israeliana, ma che ha danneggiato anche
l'immagine politica della lotta palestinese. Ci sono già molti
palestinesi che si sono espressi chiaramente rispetto al terrorismo,
che sanno e riconoscono come immorale, che sanno che li danneggia
politicamente, che sanno che li minaccia nel loro futuro come società
indipendente.
Il terrorismo non è un fenomeno nuovo ed è sempre stato di difficile
digestione intellettuale. Lerner, nato qui, conoscerà bene il
terrorismo ebraico che ha preceduto la creazione dello stato di
Israele. E sicuramente conoscerà il terrorismo, in occasioni
orribili, che ha preceduto la liberazione dell'Algeria, e tanti altri
casi.
Il terrorismo suicida è forse la massima espressione della
disumanizzazione. La vittima e il committente perdono ogni importanza
umana a favore della causa. Per ragioni morali, per ragioni politiche,
per deformazione professionale - sono sociologo - non posso evitare
l'analisi. Non basta gridare che il terrorismo è orribile, e lo è.
Inumano, e lo è. Il suicida, volontariamente o spinto da altri, perde
ogni possibilità di vedere qualcosa di più degno nella vita della
morte propria e degli altri.
Per arrivare a questo grado di disumanizzazione occorrono mari di
disumanizzazione, oceani di odio, una assoluta mancanza di speranza.
Dopo Oslo, che aveva fornito a israeliani e palestinesi un momentaneo
raggio di speranza, sono arrivati gli anni dell'oppressione e della
repressione. Si è oscurato nuovamente tutto l'orizzonte di pace con
l'ondata violenta della occupazione. Ieri una persona molto semplice,
un idraulico estraneo alle scienze sociali, mi diceva che giustificava
la guerra perché è necessario mostrare che siamo forti. Ma,
aggiungeva immediatamente, occorre ritirarsi da tutti i territori
occupati nel 1967. Mi racconta che era un giovane soldato durante
quella guerra e già allora aveva capito che la dignità di un popolo
sconfitto richiede la generosità del vincitore. Mi spiega con parole
molto semplici che non ha capito tutte queste stupide trattative sul 2
o il 10 per cento, mi dice che è sicuro che per la pace bisogna
andarsene da tutti i territori che ha aiutato a occupare nel `67. Non
solo il professor Leibovitz, anche gente semplice aveva capito che
l'inizio dell'occupazione ci avrebbe portato a una tragica realtà, la
realtà di un occupante che trova una resistenza che lo sottomette
alla logica della lotta coloniale. Leibovitz annunciava che ci saremmo
trasformati in un popolo di agenti segreti e soldati.
Non serviranno le paure né le emozioni né l'antisemitismo in Italia.
Il popolo palestinese si trova al centro di una offensiva brutale.
Contrariamente a quanto sostiene Lerner, l'opposizione alla politica
demenziale del governo israeliano cresce. Questa settimana 21
obiettori israeliani sono entrati nelle carceri militari perché sanno
quello che non preoccupa gli inquieti come Lerner: i crimini
quotidiani della presente guerra non serviranno in nessun modo nella
lotta contro il terrorismo, lo alimenteranno soltanto, lo acuiranno,
lo aumenteranno, lo trasformeranno in inevitabile. I 123 morti
israeliani dell'ultimo mese non saranno vendicati con centinaia di
morti palestinesi di questi ultimi mesi, con i 70 palestinesi che
secondo l'esercito israeliano sono morti negli ultimi giorni, né con
il saccheggio, la distruzione e la voglia di vendetta che domina le
azioni dell'esercito israeliano.
Non occorre essere obiettore per capire quello che sta succedendo nei
territori. Da Bush alla Farnesina credono che il terrorismo si possa
combattere alla Bruce Willis, come se si trattasse di un film eroico
con buoni e cattivi. Non c'è contesto, non c'è occupazione, non c'è
repressione. Perché Lerner non va in un campo profughi dove è appena
passato l'esercito per cercare di capire che cosa provocheranno
distruzioni e saccheggi in coloro che poche ore prima sono stati
vittima del passaggio sicuro dell'esercito più forte della regione,
in alcune azioni vittoriose contro famiglie disarmate? Che cosa penserà
la famiglia di due vittime che si è vista costretta a vivere con i
bambini e con i due cadaveri per oltre 30 ore?
E al di fuori delle considerazioni morali, o politiche, una domanda
puramente pratica di qualcuno direttamente interessato alla sparizione
del terrorismo: per caso tutta questa disumanizzazione del nemico,
tutto l'accanimento di questi giorni, tutta la crudeltà scatenata,
l'umiliazione dell'altro come regola, il terrorismo di stato al quale
sono sottomessi tre milioni di palestinesi in maggioranza disarmati,
forse tutto questo servirà a convincerli che è meglio trovare una
via alternativa al terrorismo, l'eterna arma dei deboli? Forse a
Lerner converrebbe verificare. Persino alcuni ufficiali dell'esercito
israeliano, non ancora del tutto ubriacati dalla retorica dominante,
sono anch'essi dubbiosi sull'uso della violenza come rimedio alla
presente situazione.
Lerner, nostalgico del suo passato, dimentica per strada alcuni
principi, ritocca alcuni fatti e li mescola alla situazione italiana.
Il premier Sharon e i suoi alleati e simili, che trovano tanto aiuto
nell'estremismo fondamentalista islamico e i suoi sostenitori,
vorrebbero convincere tutti che Israele e gli ebrei nel mondo sono la
stessa cosa, sono sullo stesso fronte. Fondamentalisti di vari credo,
antisemiti e confusi, aiutano Sharon nei suoi propositi.
E' certo che in una sinistra confusa sono apparsi strani personaggi
che amano rivestire di una retorica di «sinistra» il fondamentalismo
islamico. Alcuni mi risultano solo espressioni velate di un
antisemitismo molto elaborato. Sicuramente questo è molto
preoccupante e richiede una forte presa di posizione della sinistra,
che non può cadere in questa trappola ideologica e fare il gioco del
fascismo rosso o nero. Molti sapevano analizzare in termini esatti
conflitti come quello di Algeria, Vietnam e simili, senza usare «nazismo»
o «genocidio», o un linguaggio simile che mi fa sospettare molto
delle analisi di oggi, dei suoi motivi, del suo velato razzismo. Tutto
questo è importante, è terribile. Ma deve essere il punto di
partenza per analizzare quello che succede oggi nei territori occupati
e in Israele? La strumentalizzazione della memoria, il problema della
confusione e l'antisemitismo in Italia, non possono essere il punto di
partenza per una situazione così asimmetrica. L'esercito più forte
della regione sottomette a una spietata offensiva un popolo indifeso.
Qui non ci sono due attori in una situazione di parità. Questo deve
essere il punto di partenza dell'analisi, non si tratta di
giustificare, si tratta prima di tutto di capire.
Nella degenerazione ideologica e politica di ogni giorno si notano
sempre di più gli eccessi provocati dalla strumentalizzazione della
paura. Ieri il governo israeliano è stato ampliato dalla presenza di
Afi Eitam, una curiosa mescolanza di fascismo e messianesimo. Per
Eitam la Terra santa ha una solo proprietà e tutti gli altri - non
ebrei - dovrebbero andarsene. L'ex ministro e deputato, Beny Alon,
lancia un appello - attraverso la radio ufficiale - ad approfittare di
questa guerra per espellere i palestinesi dai campi profughi nei
territori occupati. In seno al governo alcuni chiedono di usare i
metodi che farebbero vergognare i peggiori nemici del popolo ebreo. Un
ministro laburista (i moderati!), Efraim Sne, chiede la deportazione
delle famiglie dei suicidi e delinea piani per passare sotto la
giurisdizione palestinese parte della popolazione araba di Israele. Il
ministro degli interni progetta di cancellare la cittadinanza per
alcuni, espelle e nega l'entrata a cittadini italiani «colpevoli di
pacifismo». Un vero pericolo per l'esistenza del popolo ebraico.
Israele, con le proprie mani, sta generando i più terribili germi che
potranno mai minacciare il suo futuro. Non si tratta solo
dell'occupazione come il miglior brodo di coltura del terrorismo. Si
tratta anche di tutto il processo che minaccia la società israeliana
dall'interno. Con crimini, fatti e politiche che non saranno accettati
da molti, che risulteranno distruttivi per il futuro.
Se Lerner è preoccupato, converrebbe che rivedesse urgentemente gli
elementi della sua analisi per aiutare a lottare contro la politica
del governo israeliano, che provocherà sempre maggiori spargimenti di
sangue qui, nella regione, che stimolerà maggiore confusione e
alimenterà un antisemitismo latente. Il quale può solo congratularsi
del modo in cui alcuni dei suoi principi sono applicati qui, contro i
palestinesi.
Tratto da "Il Manifesto" 9 aprile 2002
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