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Riceviamo da Domenico Manaresi e volentieri pubblichiamo,
in occasione del 9° anniversario della morte di don Tonino
Bello (20 aprile 1993)
 

NOI,COSTRUTTORI Dl FAME

DON TONINO BELLO 

 

TRA LE INVOCAZIONI delle litanie dei santi che si cantano ancora oggi in chiesa, ce n'è una che dice così: "A peste, fame et bello, libera nos Domine". Liberaci, o Signore, dalla peste, dalla fame e dalla guerra.

Vien da pensare che, più da un uomo di Dio, sia stata compilata da una commissione di sociologi. Perché è rapida come un telegramma, riassume interminabili trattati sulla fenomenologia delle interconnessioni tra armi, miseria, droga e tutti gli altri accidenti che ci tolgono la pace. Forse dovremmo sorridere meno delle giaculatorie. Di queste frecce veloci, cioè che vanno verso il cielo. Se non ce la sentiamo di usarle come preghiera potrebbero servirci almeno come modello di analisi.

La peste, la fame e la guerra, appunto. Le loro idre stanno funestando, tutte tre assieme, gli ultimi scampoli di ferragosto. E, una volta dribblate le vicende di W.Allen, i problemi di Funari e lo spettro reviviscente di Maradona, atterriscono i lettori da tutte le righe del giornale.

Anzitutto la peste. Non quella bubbonica. Ma quella che lascia i segni di ben altri lividi: la droga. In questi giorni, sequestri a quintali in ogni angolo di porto. Turbe di giovani travolti dalla bufera. Genitori distrutti, senza approdi di speranza al loro tormento. Corteggio di violenze, che germogliano su questa libidine dell'assurdo. Esplosione di criminalitࠬegata agli osceni mercati di morte. Rituali tenebrosi, che la diaspora livida delle siringhe evoca all'alba…

E poi la guerra. Questa guerra disumana dei Balcani che, alle consuete scenografie delle madri che si disperano e dei roghi che crepitano sulle macerie di antiche civiltà aggiunge i fotogrammi dei lager dove la gente viene sterminata con allucinante premeditazione. Questa guerra contro cui le nostre ambiguità riduttive, le approssimazioni di comodo le reticenze dettate dalla paura di apparire troppo ingenui ... non ci hanno fatto gridare con più coraggio, con maggiore tempestività senza sconti di copertina.

E infine la fame. Quando fino a ieri dicevamo che ci sono cinquanta milioni di persone che muoiono ogni anno per mancanza di cibo si poteva anche rimanere indifferenti di fronte a questa aritmetica della miseria. Ma oggi che perfino i rotocalchi rosa riproducono lo smarrimento delle madri della Somalia che stringono figli smagriti a seni senza latte, non possiamo più continuare a vivere come prima. I fantasmi di questi infelici dovrebbero perseguitarci come l'ombra di Banquo perseguitava Macbeth. E le fugaci zoomate dei teleschermi su queste larve di umanità dovrebbero bloccarci la digestione.

SOMALIA: terra disperata, dove la bomba "M" (miseria) sta mietendo pi ù vittime della bomba "H". Somalia: pista obbligatoria per l'atterraggio della nostra attenzione sul pianeta della fame. Somalia: provocazione per tutti coloro che si sono comodamente sistemati al banchetto della vita.

Perché non sono i coperti che mancano sulla mensa. Sono i posti in più non si vogliono aggiungere a tavola!

E' ora di muoversi. E' già scattata la catena della solidarietà e va dato atto a tanti organismi umanitari, alla Caritas in primo luogo, del coraggio con cui stanno sfidando le nostre pigrizie balneari.

Ma non vorremmo che le nostre fossero risposte date solo agli assalti emotivi, pagando il pedaggio al sentimento con l'"una tantum" di una buona offerta per i diseredati africani.

La tragedia della Somalia ci obbliga a prendere sul serio uno slogan di qualche anno fa che diceva: contro la fame, cambia la vita! Convertiiti, cioè Metti da parte l'egoismo. Rifiuta l'idolatria del danaro. Guardati dal demone perverso dell'accaparramento. Battiti perché cambino certe leggi che regolano il mercato. Favorisci col tuo impegno l'avvento di un nuovo ordine economico internazionale.

Ma questa tragedia ci impegna anche a reagire con coraggio nei confronti di tutte quelle forme di cooperazione internazionale in cui non si faccia leva sulla crescita autonoma dei popoli. Se l'epilogo di una lunga storia d'impegno finanziario dell'Italia col governo della Somalia questo, allora c'è da rivedere criticamente una formula tanto enfatizzata, ma che alla fine non si è discostata gran che dai moduli del più ripetitivo e interessato colonialismo.

A questi due cambi di mentalità dobbiamo volgere l'attenzione nel prossimo futuro. Con atteggiamento pensieroso e gravido di progetti, oltre che commosso.

Senza questo atteggiamento tutti gli altri discorsi sulla solidarieta risulteranno ambigui. Se pure non si porteranno dentro i germi dell'egoismo, destinati tristemente a produrre "fiori del male" in un deserto di violenza.

DON TONINO BELLO*

*Vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi

 

 

(da "il Manifesto" del 20 Agosto 1992)


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