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"Fix it or nix it". Un'intervista a Raimon Panikkar sul tema della globalizzazione

di Maria De Falco Marotta e Diana Barrow

Da Seattle a Napoli, e poi ancora a Genova e chissà dove una sola arrabbiata richiesta: "Fix it or nix it", aggiustala o eliminala.

Naturalmente, si parla di globalizzazione, con cui, di solito, s’indica l'inglobamento del mondo intero in un unico sistema economico.

 Quando si pronuncia questa parola gli animi, oggi, iniziano a scaldarsi. E' sempre più acceso il dibattito fra i sostenitori dell'idea che il benessere economico mondiale richieda liberi scambi senza troppe regole da una parte e dall'altra i contestatori dei mercati globalizzati. L'apice di questo scontro lo si è visto per la prima volta a Seattle, la città americana che ha ospitato il primo vertice, e poi ancora Davos, Praga, Melbourne, Nizza , Napoli e poi Genova…., dove i delegati internazionali hanno discusso e discutono la possibilità di implementare sistemi informativi elettronici, i cosiddetti “beni immateriali”(ma una volta non erano solamente i valori degli uomini?) per lo sviluppo della democrazia e dove, ovviamente, si sono tenuti i vari controvertice, cioè la mobilitazione di migliaia di giovani che, grazie al tam- tam di Internet, costituiscono, a conti fatti e malgrado tutta la retorica negativa, che trova ampiamente spazio sui media gestiti, perlopiù, da grossi capitalisti,  il movimento antiglobalizzazione.

I giovani, specie quelli occidentali, non afflitti da troppi problemi, sono frastornati da tutto questo chiasso, non sanno più a chi credere(ma le sette vacche grasse, sono seguite da quelle magre).

Il divario tecnologico, la più nuova tra le forme di apartheid, ha dato inizio all’era della colonizzazione interiore e della sorveglianza algoritmica, il capitale è diventato il Grande Venditore(Cfr. Vita, 24 marzo 2001).

Stando ai numeri, dal 1997 ad oggi, il digital divide, cioè, la possibilità di avere a disposizione l’uso delle telecomunicazioni, per mezzo dei PC nei vari paesi del mondo(compresi i più poveri), invece di diminuire, si è aggravato. Tanto per fare un esempio, in Africa la percentuale sugli utenti  nel mondo, nel ’97 era dello 0,024

nel 1999 è scesa allo 0, 018 (Cfr. Pippa Norris, Università di Harvard, USA, www.pippanorris.com).

Insomma, in giro si raccontano balle spaziali, tanto perché ci sono i burattinai( i venditori) e i burattini( le marionette, coloro che non hanno potere) e sul pianeta l’istruzione sta procedendo a due velocità, con una di serie A( i paesi ricchi) e l’altra di serie B( i paesi poveri o non sufficientemente informatizzati).

Non si capisce perché l’obiettivo per tutti è l’istruzione telematica, quando a un miliardo degli abitanti del pianeta mancano gli strumenti linguistici e culturali di base(analfabetismo).

Dietro l’apparente equalizzazione sociale, si nascondono i grandi interessi economici dei colossi delle tecnologie dell’informazione, mentre si annida in modo soft, la nuova colonizzazione tecnologica per portare Internet dove ancora non c’è l’acqua.

Non è più tempo di indiani e cowboys, di globalizzatori e globalizzati , ma di chi Have e Have not.

Uno di quelli che sta con gli Have not, è sicuramente Raimon Panikkar uno strenuo difensore dell’umanità nella sua armonia con il cosmo che noi  abbiamo avuto la fortuna di incontrare ed intervistare per voi.

RAIMON PANIKKAR: “scendiamo dalla tigre” 

Raimon Panikkar, è un simpatico, affettuoso, arguto giovane vecchio( ha 81 anni) che ti mette K.O., qualunque sia la tua domanda insidiosa.

E’ uno dei maggiori studiosi di filosofia e teologia, è notissimo nel mondo, anche se non abbastanza  in Italia. Uomo di frontiera,  nato a Barcellona da madre spagnola, cattolica, e da padre indiano, induista, dopo aver studiato chimica, filosofia, teologia

( con orgoglio dichiara di essere un prete cattolico), ha approfondito i rapporti fra le varie religioni, soprattutto fra induismo e cristianesimo. Per decenni ha abitato i confini fra l'oriente e l'occidente, pubblicando una trentina di opere, aperte ad  oltrepassare i limiti di una sola fede e di una sola cultura.

Attualmente, vive  ritirato nelle montagne della Catalogna, dove ha fondato il centro studi "Vivarium"  vicino Tavernet(Barcellona)che riunisce personalità di varie parti del mondo, per far sì che i problemi più urgenti della nostra epoca non siano affrontati con gli strumenti di una sola cultura. Crede fermissimamente nell’interculturalità, nel dialogo intrareligioso, come condizione per la salvezza dell’umanità, nei giovani e…nelle donne.

DOMANDA: Prof. Lei  chiama lo sviluppo “tigre”, perché?

RISPOSTA: l’attuale modello di sviluppo che si basa su un sistema economico che fa prevedere la miseria di gran parte del pianeta come condizione per il benessere di pochi privilegiati, denuncia da sé la sua inadeguatezza. Inoltre, lo sviluppo pare che stia sempre più diventando autonomo dall’uomo: non è più uno strumento di cui l’uomo si serve per migliorare la propria vita, è un essere a sé stante che ha come primario obiettivo la propria conservazione.

Storicamente, l’economia e il commercio sono stati importanti motori dei contatti tra le culture; spesso gli scambi economici si sono trasformati in scambi anche culturali, basti pensare al processo di ellenizzazione del mondo romano o agli elementi orientaleggianti di cui si è arricchita l’architettura delle antiche repubbliche marinare..

Oggi tutto è diventato più veloce ed automatizzato, tanto che gli scambi commerciali non favoriscono più gli incontri tra gli uomini. Inoltre, la civiltà occidentale, forte di una fiorente economia, minaccia di assorbire le più deboli culture dell’America latina, dell’Africa, dell’India, dell’Asia.

Per me la globalizzazione non corrisponde a nulla di positivo: non si può pensare ad un governo mondiale, ad una moneta mondiale, ad un solo sistema mondiale.

Questo  è un vero e proprio terrorismo dello sviluppo.

E’ una tigre sulla cui groppa è seduto l’uomo, assolutamente impotente di fronte alle decisioni della belva. La grande sfida alla contemporaneità, è quella di riuscire a scendere dalla sua schiena senza farsi mangiare.

DOMANDA: e come si fa a non farsi mangiare?

RISPOSTA: nell’uomo esiste una dimensione che sfugge alla logica. Mentre l’uomo occidentale ormai l’ha dimenticata, è ancora molto presente in altre culture. Potrebbe esserci una mutua fecondazione, in un dialogo che dia spazio e dignità ad entrambi gli interlocutori. I cristiani, poi, dovrebbero tornare al Vangelo. Una signora chiese: ma come si fa questo? E la risposta fu:- Nulla è impossibile.

L’unica cosa che vale la pena, è di cercare di fare l’impossibile. Non ho ricette :le prediche sono ricette e a me non piace fare prediche.

Questa è la sfida: creare  una nuova situazione dinanzi all’impossibile

Il giovane di fronte a questo resta perplesso: io gli dico: cammina da solo, scopri il senso della tua vita e di quanto ti sta attorno .Io non cammino per voi. La speranza è del presente, non del futuro. Poniti di fronte agli altri non per eliminare le differenze, ma per incontrarli consapevolmente, nella loro peculiarità.

DOMANDA: una nuova situazione, di fronte all’invadenza della globalizzazione, potrebbe essere un dialogo più stretto e più sincero tra le culture?

RISPOSTA: Che cosa accadrebbe se noi semplicemente smettessimo di affannarci a costruire questa tremenda torre unitaria? Che cosa, se invece dovessimo rimanere nelle nostre belle piccole capanne e case e focolari domestici e cupole e incominciassimo a costruire sentieri di comunicazione (invece che solo di trasporto), che potrebbero col tempo convertirsi in vie di comunione, fra differenti tribù, stili di vita, religioni, filosofie, colori, razze e tutto il resto? E anche se non riuscissimo ad abbandonare il sogno del sistema monolitico della Torre di Babele che è diventato il nostro incubo ricorrente, questo sogno di un’umanità unitaria non potrebbe essere soddisfatto costruendo semplicemente strade di comunicazione piuttosto che un gigantesco impero, vie di comunicazione invece che di coercizione, sentieri che possono condurci al superamento del nostro provincialismo, senza spingerci tutti nello stesso sacco, nello stesso culto, nella monotonia della stessa cultura?

DOMANDA: lei vuol dire che negli occidentali, specie nei giovani, vi dovrebbe essere più umiltà nel disporsi alle differenze culturali, più apertura ad accogliere l’altro così com’è?

RISPOSTA: Il dialogo sincero è quello che mi toglie l’ingenuità di pensare che quello che è valido per me è valido per tutti. Scoprire che anch’io, io il cristiano, io il buddhista, io il moderno, io lo scienziato, io qualsiasi altro tipo, ha presupposti non analizzati che io non posso vedere e che ho bisogno dell’altro perché me li scopra.

Solo partendo da questo è possibile parlare di pluralismo. Nel momento in cui si accetta la contingenza della propria cultura e ci si rende consapevoli del fatto che non esiste una verità unica,  ci si può aprire  all’Altro. Il pluralismo è molto più della tolleranza; nasce dalla consapevolezza dell’inconciliabilità tra le culture e dell’irriducibilità dei sistemi.

Bisogna anche ricordarsi che  le culture non sono folklore. L’America ed il Quebec si definiscono multiculturali per il fatto che ospitano ristoranti e negozi tipici d’altre culture, ma non c’è nulla di più falso: non è pensabile ridurre le culture a queste loro manifestazioni. Ogni cultura ha valori diversi, e questi si traducono in comportamenti diversi nei rapporti tra le persone, in differenti concezioni dell’umano e del divino, in diverse percezioni del tempo e dello spazio e, non da ultimo, in differenti sistemi economici. Pluralismo, multiculturalità, significa tenere in considerazione queste differenze e lasciare loro lo spazio di esprimersi.

Lo stato attuale delle cose è ben lontano dalla prospettiva del dialogo rispettoso. L’occidente ha imprigionato il resto del mondo nella logica dello sviluppo, pretendendo da esso un’evoluzione uguale alla propria, e stigmatizzando gli altri paesi con espressioni come "paesi sottosviluppati" o, nella migliore delle ipotesi, "paesi in via di sviluppo". Non c’è scampo: la strada è quella segnata dal mondo occidentale, e tutti ci arriveranno, chi prima chi dopo.

DOMANDA: Non è troppo entusiasta della cultura moderna…o no?

RISPOSTA: La tecnocrazia è senz'altro l'aspetto che più caratterizza la cultura moderna occidentale, oltre al fatto di essere paneconomica ed una american way of life.

Essa ha reso tutto monetizzabile e dipendente dall'economia: il tempo, l'educazione, il matrimonio, il nutrimento, la mia salute, le mie credenze, la mia felicità. Tutto ha un coefficiente economico, ossia, in altre parole, quantificabile.
L'american way of life è la mentalità che si dichiara soddisfatta di questo tipo di cultura. Certo, dal punto di vista pratico ci sono delle cose da correggere, da migliorare, ma dal punto di vista teorico questa civiltà basta a dare all'uomo la felicità. L'uomo - secondo l'antropologia che sta alla base di queste convinzioni- non è che un insieme di bisogni. Se gli si offrono i mezzi per soddisfarli, l'uomo è felice .
Questo tipo di mentalità e di cultura non è universale né universalizzabile. E non lo è né da un punto di vista qualitativo, per i motivi sopra esposti, né da un punto di vista quantitativo: il 6% della popolazione mondiale consuma il 40% delle risorse disponibili e ne controlla il 60%. Le possibilità e le risorse del pianeta sono limitate. Nella prima metà del secolo il sistema economico mondiale era relativamente aperto. Ora il sistema è chiuso e in un sistema chiuso ogni aumento in una regione comporta una diminuzione in un'altra. Viviamo un aumento costante d’entropia. Il nostro stile di vita non può essere mantenuto su scala mondiale.
Nel complesso tecnocratico ogni progresso implica un regresso in un altro ambito. La cultura moderna contiene in se stessa il germe della propria autodistruzione. È proprio quel desiderio d’assoluto, d’infinito, che la sorregge, ciò che provocherà la sua inevitabile fine. Quando il desiderio d’assoluto non si esprime nella sfera, appunto, dell'assoluto, ma in quella del relativo, del materiale, non può che diventare una specie di cancro autodistruttore, perché ciò che è limitato non può sostenere uno slancio infinito.

DOMANDA: già, che n’è del sacro, oggi?

RISPOSTA: il divino, l'umano e il terrestre - o in ogni caso li si voglia chiamare- sono le tre dimensioni irriducibili che costituiscono il reale, in altre parole qualsiasi realtà in quanto tale. Tutto ciò che esiste presenta questa struttura, triplice e unica, espressa in queste tre dimensioni che si generano reciprocamente ma non sono riducibili l'una all'altra. Vi è un'unica relazione, benché intrinsecamente triplice, che esprime la costituzione ultima della realtà. La realtà mostra questa triplice dimensione: un aspetto metafisico (trascendente), un fattore pensante e un elemento fisico o materiale. A livello umano, poi, questo principio si esplica nei tre fondamentali modi di percepire la realtà: l'esperienza sensibile, l'esperienza intellettuale e l'esperienza sopra- conoscitiva e totale che trascende il pensiero.

Il sacro, il divino non si può imprigionare nei teismi: monoteismo, deismo, politeismo, panteismo, ateismo, cioè qualsiasi concezione che voglia localizzarlo in un luogo speciale. Sia che questo luogo non esista (ateismo), sia che questo luogo stia al di sopra, al di dentro o dappertutto.
La realtà è di natura cosmoteandrica.

DOMANDA: lei segue con interesse le manifestazioni dei giovani, quale input  darebbe loro, in particolare?

RISPOSTA: non faccio prediche, dico loro di vivere con sincerità e basta. Per i cristiani il sermone della montagna è quanto mai lapidario e preciso: è quanto basta per vivere la vita nella sua pienezza.

La vita è unica per ciascuno di noi e quindi, incomparabile. Di essa si è perso il senso mistico e siamo diventati soltanto animali razionali o computer molto sofisticati. Nel Vangelo la vita è eterna e noi qui siamo stati invitati solo per un certo tempo.

DOMANDA: lei spesso focalizza l’attenzione su due donne : Chiara d’Assisi e Maria di Magdala che nella loro vita hanno vissuto la mistica e la bellezza.

Pensa che le donne di oggi siano ancora capaci di queste scelte?

RISPOSTA: lei non mi farà una domanda che riguarda circa due miliardi di persone!

Le donne devono superare questo patriarcalismo che esiste dappertutto: nella politica, nello sport, nella società, nella chiesa e, soprattutto, in mezzo ai preti che è una razza in estinzione. Le caste finiranno, però non c’è solo la morte, ma pure la risurrezione e la trasformazione totale del cosmo, delle persone, delle società e…dei preti.

DOMANDA: ha più speranza nella società di oggi, oppure in quella in cui è vissuto trent’anni fa?

RISPOSTA: ci sono cose migliori ed altre peggiori.

Migliori: una certa tolleranza e conoscenza degli altri che non si possono eliminare, né bruciare.

Peggiori : l’ipocrisia, il potere, le guerre e la tecnocrazia.

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