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Intervista a Naomi Klein, autrice di "No logo"

di Maria de falco Marotta & Diana Barrow’s 

E’ stata accolta in Italia, come un fenomeno, l’enfant prodige del movimento antiglobalizzazione o dell’anti branding che è lo stesso(se lo dice lei…).

Dove è arrivata( grandi librerie, proprio le multinazionali che lei contesta, grandi istituzioni, al Comune di Venezia l’hanno ospitata nella Sala più bella quasi fosse un capo di stato e alla Facoltà di Architettura c’è stato un vivace incontro con gli studenti;  grandi partecipazioni televisive- a Canale 5, la TV di Berlusconi che ritiene uno che sfrutta i lavoratori, è stata la reginetta di un Maurizio Costanzo Show) le hanno steso i tappeti rossi e le hanno sparso un sacco d’incenso attorno, quasi come ad una santa.

In realtà, Naomi Klein, è una giovane figlia del suo tempo: spolpa tutto ciò che le capita per fare, a sua volta, tanti soldi.

A poco più di trent’anni, con una faccia pulita da brava bambina, una notevole sagacia di intuire dove soffia il vento, ha scritto un “capace” libro(454 pagine, L.32000), No Logo, contro le Grandi Marche per la loro perfida persuasione( ma già trent’anni fa si parlava dei I persuasori occulti) nei confronti dei giovani, omologati in qualunque parte del mondo, nel vestirsi, divertirsi, suonare e ballare(poco, pochissimo a fare l’amore: almeno nel ’68 si consigliava questo, invece di fare la guerra).

Dietro le spalle, ha un nonno  che ha organizzato il primo sciopero alla Walt Disney, il padre e la madre,  radicali di sinistra, si rifugiarono in Canada, dove lei è nata e dove è stata benissimo, tanto che da ragazzina li contestava con il consumismo. A 15 anni , infatti, si vestiva esattamente come i suoi coetanei e faceva orecchi da mercanti alle accorate invocazioni dei genitori che la invitavano a non aumentare il capitale  dei brand: Dai e dai, c’è stata la conversione ed ora, con No Logo, è diventata l’eroina, la più fiera pugnatrice contro le  brand( però i ragazzi/e di tutto il mondo continuano a vestirsi come prima).

Ha un fare delicato e dolce che colpisce al cuore, come le sue risposte che vi proponiamo.

DOMANDA:  lei nel mondo, guida la ribellione alla dittatura dei marchi, col suo No Logo.

Quale è stato il motivo per cui l’ha scritto?

RISPOSTA :Innanzitutto perché riguarda la privatizzazione della vita pubblica, e la questione dei marchi ha a che fare con questo. Tanto è vero che le persone che protestano contro l'invadenza dei marchi sono le stesse che protestano contro il G8 o altre situazioni più prettamente politiche. Ho deciso di scrivere il libro quando ho visto come vi fosse un nuovo campo di ribellione dei giovani, che deviava dagli  obiettivi governativi. Le istituzioni politiche sembravano dire: noi non abbiamo più un potere reale, ce l'hanno le grandi multinazionali. E i giovani hanno concluso di prendersela con le corporations, con i grandi marchi.
DOMANDA: lei vuol dire che si sta acquisendo una certa consapevolezza dello sfruttamento delle multinazionali e che, quindi, la ribellione contro i brand è una ribellione contro la politica inetta che ha lasciato loro troppo spazio?

RISPOSTA: oggi nel mondo, magari non tanto in Italia, la lotta contro le corporations, è una rivolta contro la mancanza di democrazia. Considero, infatti, la globalizzazione come una crisi della democrazia rappresentativa. Raccogliendo materiale in giro per il mondo per quattro anni, ho cercato di capire da dove viene  la rabbia, soprattutto nei giovanissimi occidentali. Sentono di non avere più uno spazio  che sia libero dai bombardamenti  dai marchi e dalla pubblicità, e di non avere più scelta, quando per anni ci avevano proclamato che avremmo avuto sempre più possibilità di opzione.

.Ho voluto documentare, tra i tanti fatti, i casi più lampanti di sfruttamento e di dominio di note imprese (come Nike, Adidas, McDonald's, Coca Cola) che impiantano i loro stabilimenti laddove il costo della manodopera è più basso (come nelle regioni del Sudest asiatico o dell'America latina).Con questo voglio dire che la rabbia sta crescendo sempre di più sia al Nord che al Sud, perché ormai tutti si informano su tutto.

DOMANDA: però lei si riferisce, in modo particolare, ai ragazzi  dei paesi più ricchi…

RISPOSTA: non penso di poter  dare una risposta univoca, perchè il movimento ha facce diverse nei vari paesi. Infatti, la  battaglia contro i marchi, nei paesi del mondo occidentale, da un certo punto di vista è un optional, mentre in altri, come quelli  poveri dell'Africa,  la ribellione può mostrarsi nella battaglia per avere medicinali che un certo tipo di politiche economiche gli impediscono di avere.

DOMANDA: lei afferma la validità del lavoro sindacale, ma scrive anche che nei paesi ricchi i sindacati hanno accettato le regole dell'economia vincente.

RISPOSTA: bé, non si può sostenere che il sindacato sia la soluzione ideale, ma è la migliore che abbiamo. Si è  constatato che far monitorare da fuori, da organismi esterni, le varie situazioni, non è la stessa cosa che avere un'organizzazione sindacale che assista direttamente i lavoratori e difenda i loro diritti.

DOMANDA: cosa pensa delle proteste che si stanno organizzando a Genova contro il G8?

RISPOSTA: i manifestanti saranno tantissimi, ma avranno poche opportunità di discutere alcuni temi in particolare, o di lanciare un singolo messaggio. Il messaggio principale verrà da una grande manifestazione di massa, e ci saranno forti istanze  per la mancata applicazione del protocollo di Kyoto. Il tema di fondo che unisce tutti gli argomenti della protesta è che non c'è in realtà una globalizzazione, nel senso di un equilibrio in cui tutti hanno gli stessi diritti. C'è un continuo rafforzamento di regole che conservano enormi disuguaglianze, da un lato grandi debiti e dall'altro grandi interessi.
 Il mondo così non può andare avanti.

 DOMANDA: No Logo, è un libro ponderoso ed oggi si legge pochissimo: Vuole sintetizzarci i concetti principali, per cui è diventato già  citatissimo?

RISPOSTA: con questo libro non ho voluto scrivere un nuovo Il Capitale, una nuova chiave di analisi del capitalismo globale che ci circonda, quanto affrontare le nuove tendenze dello sviluppo capitalistico in Europa, negli Usa, nel mondo intero. Volevo esplorare la strada che ci autorizza ad immetterci nel labirinto dell'economia mondiale. E, se possibile, ipotizzare una via d'uscita. Viviamo in un mondo dove le imprese multinazionali non seguono più, come in passato, gli stili di vita delle persone, dei clienti a cui offrono nuovi prodotti. Esse si ingegnano per imporre nuovi modelli, nuovi prodotti, nuove tendenze che diventano a loro volta stili di vita. Il punto di partenza di NoLogo è,infatti, la politica del branding, cioè la valorizzazione economica dei marchi nella produzione capitalistica. Nel mio libro cerco di descrivere le trasformazioni che hanno investito il capitalismo negli ultimi dieci anni e il branding gioca un ruolo fondamentale. In pratica è il simbolo di una multinazionale (ad esempio la Nike o l'Adidas) che sostiene di produrre stili di vita più che scarpe da tennis. I prodotti materiali, come le scarpette o le magliette, sono puri accessori che sono presentati come espressione di un immaginario collettivo. Agendo in questo modo, la multinazionale genera desideri di una vita nuova, slegata dalla povertà, come nel caso degli abitanti dei ghetti o degli emarginati. Negli Usa sono infatti frequenti le richieste di cacciatori di tendenza  per scovare nelle metropoli  stili di vita emergente. Questi sono segugi che contribuiscono con il loro lavoro a privatizzare la vita e gli spazi pubblici della città. Il loro ruolo è di tradurre la cultura di strada in  uno spot pubblicitario. Per i giovani di mezzo mondo, da New York a Parigi il simbolo Nike o Adidas diventa  l’emblema di un desiderio di cambiamento, per emergere, per differenziarsi, per far colpo. Con le campagne pubblicitarie, le multinazionali concorrono a far nascere stili di vita evidenti  Le colossali imprese considerano la valorizzazione del marchio come una attività produttiva che richiede ingenti investimenti, principalmente pubblicitari. La produzione delle merci è così spostata in aree del mondo economicamente più depresse dove il costo della manodopera è più basso. Viene fatto dell'outsourcing(fonti esterne) a livello planetario, spostando il lavoro nel Sud del mondo dove, per molti operai ciò equivale a lavorare in condizioni quasi schiavistiche. Il risultato è che il lavoro viene cancellato dall'agenda delle priorità della impresa. E si crea uno sfaldamento degli equilibri del mondo del lavoro sia nei paesi del Sud del mondo sia in quelli sviluppati.

DOMANDA: in sostanza, come si combattono le multinazionali?

RISPOSTA: Genova sarà un difficile terreno di confronto per le persone che si oppongono alla politiche del nuovo capitalismo e contro le scelte delle multinazionali di tutto il mondo. In occasione del G8 il contro- vertice (quello organizzato da associazioni, da enti no- profit, da ong, da privati cittadini) sarà un evento di contestazione, forse il più ampio da Seattle in poi. Inoltre, i media devono informare i cittadini sulle anomalie del nostro sistema economico, e non devono limitarsi solo a riportare le notizie eclatanti degli scontri durante i giorni delle contestazioni. Devono parlare di questi argomenti più spesso, far conoscere alla gente le sottili manovre speculative delle multinazionali che si ingrandiscono sempre più a scapito dei poveri.