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Diario di guerra e di Pace di
Arnaldo Casali Partiamo
da Narni Scalo (provincia di Terni, NdW) venerdì
notte, alle
due e tre quarti. In silenzio. C'è una certa tensione nell'aria. Eravamo
coscienti che ci sarebbero stati episodi di violenza, ma poche ore fa abbiamo
saputo che è morto un ragazzo, e certo nessuno avrebbe pensato che si
sarebbe arrivati fino a questo punto. Le foto sono arrivate subito grazie ad
internet, e poi le abbiamo riviste già decine di volte in televisione, le
foto del corpo di
Carlo Giuliani a terra, con il volto coperto da un cappuccio
nero e un lago di sangue intorno alla testa, e poi l'altra foto, quella in cui
assalta la jeep dei Carabinieri con una bombola in mano; in un primo tempo si
era detto che era stato colpito da un sasso, poi un testimone ha detto di aver
visto un carabiniere che sparava. E la foto non lascia dubbi. Si vede la
pistola del militare puntata contro il volto dell'assalitore. E poi un'altra
ragazza ferita, grave. Pax Christi ha detto ai suoi di non partecipare al
corteo del giorno successivo, anche i D.S. si sono ritirati, per non
assecondare quello che sarà inevitabilmente un assalto violentissimo alla
cosiddetta "zona rossa", per non confondersi ancora con i
"black block", gli anarchici, i fascisti, i teppisti. Anche
noi siamo in dubbio fino all'ultimo momento, ma alla fine decidiamo di
esserci, sabato, proprio per non arrenderci a chi vuole trasformare una
manifestazione pacifista in un corteo violento. Arriviamo
a Genova - senza aver chiuso occhio - alle nove di mattina; la città sembra
deserta. I negozi sono tutti rigorosamente chiusi per paura di nuovi assalti,
gira poca gente, troviamo una sola edicola aperta a cui è rimasto solo Il
Secolo XIX. Ci incamminiamo verso Piazza Mainin, dove c'è il raduno di
diverse associazioni. Ci arriviamo che sono passate da poco le dieci. Ci
sediamo, mangiamo, ci rinfreschiamo ad una fontana. Trovare una toilette è
un'impresa disperata, visto che non ci sono bar aperti, di conseguenza un
giardino privato viene eletto unanimemente bagno pubblico e di questo ci
serviamo tutti, scavalcando il cancello. Almeno qui, il rapporto con la
natura, lo abbiamo recuperato, alla faccia della globalizzazione. Sopra
di noi cominciano a volare gli elicotteri della Polizia, e cominciano le
grida: "Assassini! Assassini!". Alle
undici, con due ore di anticipo, parte il corteo. Ci dirigiamo verso il
lungomare. Per strada ci vengono incontro ragazzi con ogni sorta di giornale
comunista, di ogni taglio, dimensione, nazionalità. Da parte mia lascio in
giro copie del numero di "Adesso" dedicato al Giubileo degli
Oppressi e al Convegno della Rete Lilliput. Passiamo
davanti ad una chiesa piena di striscioni attaccati alla facciata, che ospita
il quartier generale di alcune associazioni cattoliche; passiamo anche davanti
al pulmino rosso di "Drop the debt", l'associazione che ha raccolto
l'eredità di
"Jubilee 2000" nell'impegno per l'abolizione del debito dei
paesi del Terzo Mondo. Poco più avanti parte il corteo vero e proprio: siamo
in Corso Italia, qui confluiscono tutti i gruppi di contestatori per sfilare
fino a Piazzale Kennedy: ci sono i contadini di Bové con mucche vere e mucche
finte, striscioni contro gli OGM con scritto "Grazie Celentano",
i comunisti greci, gli avvocati volontari del Genoa Social Forum, che
indossano una casacca gialla per essere facilmente riconoscibili: in caso
fossimo arrestati, infatti, dobbiamo immediatamente rivolgerci ad uno di loro.
Ci uniamo al gruppo della Rete Lilliput e tiriamo fuori i nostri striscioni.
C'è scritto "Voi G8, noi 6.000.000.000". Corso
Italia è tutta una sfilata di colori, di cartelli, di falci,
martelli e di mani dipinte di bianco alzate al cielo. Sopra di noi
continuano a passare gli elicotteri e si ripete la cantilena: "Assassini!
Assassini! Assassini!" gridata dalla maggior parte dei manifestanti, ma
non da noi. Con la mia compagna di viaggio commentiamo
con disappunto la stupidità e l'inutilità di questi insulti. E' morto
un ragazzo, è vero, ma anche il padre ha ammesso che il carabiniere ventenne
che l'ha ucciso è una vittima quanto lui, e poi trasformare Giuliani in una
sorta di martire serve solo ad accentuare lo scontro con le forze dell'ordine
(e non è per questo che siamo qui) e a fare il gioco di chi vuole farci
passare per tutti per dei violenti; perché Giuliani non era un pacifista:
forse non era un black block, ma questo peggiora la nostra situazione, perché
significa che non sono solo gli anarchici i violenti, e riconoscerlo come 'uno
dei nostri' significa, in qualche modo, anche ammettere l'esistenza di frange
di violenti tra i nostri. Passiamo
davanti la caserma dei carabinieri e la situazione si fa sempre più tesa.
Loro sono arroccati sopra di noi, che ci osservano dall'alto: sembra
l'assedio di una cittadella medievale. Prima di ripartire qualcuno lascia uno
striscione nero
enorme attaccato sulla parete della caserma con scritto
"ASSASSINI". Intanto
davanti a noi, all'orizzonte, cominciamo a scorgere il fumo dei lacrimogeni:
qualcosa sta succedendo a Piazzale Kennedy. Nel frattempo sempre più spesso
vediamo passare in mezzo al nostro corteo gruppetti di tre-quattro persone
armati di casco e spranga che corrono verso la testa del corteo. Per
impedirgli di mescolarsi a noi formiamo delle catene umane. Da questo momento
chi non fa parte della Rete Lilliput non può camminare a fianco a noi e
ogni volta che qualcuno - armato o no - cerca di attraversare le nostre
catene si rischia la rissa. La tensione aumenta sempre di più. Un gruppo di
black block sfila accanto a noi sfregiando le pareti degli edifici che
costeggiamo. Il capo del nostro gruppo si raccomanda di non reagire alle
provocazioni. "Non vi muovete. Ignorateli". Ma inevitabilmente
scoppia la rissa. Uno dei nostri si accapiglia con un anarchico, subito
giungono rinforzi da ambo le parti e la rissa si propaga nel corteo come un
incendio sull'erba secca. Allora alziamo tutti le mani e gridiamo:
"Nonviolenza! Nonviolenza!": La rissa viene isolata, gli anarchici
si allontanano e il corteo riparte, con la tensione che aumenta sempre di più. Si
comincia a passare parola su come comportarsi in caso vengano lanciati i
lacrimogeni. "Copritevi il volto con un fazzoletto imbevuto d'acqua e
respirate attraverso quello. E state calmi. Non fatevi prendere dal panico,
non gridate e muovetevi lentamente e ordinati". Ci
passiamo anche una scorza di limone da strofinare sui fazzoletti. Proprio
davanti a me, sopra il tetto di un palazzo, vedo un poliziotto con una specie
di mitra puntato proprio verso di noi; si tratta di uno spara lacrimogeni,
immagino. Indossiamo
tutti il fazzoletto, ci fermiamo, alziamo le mani e gridiamo:
"Nonviolenza! Nonviolenza!". Restiamo
così per circa cinque minuti. Con la guerriglia a poche decine di metri,
tutto il corteo alle nostre spalle, e la polizia di fronte che ci tiene sotto
tiro. Continuiamo
a tenere le mani alzate finché il poliziotto non abbassa l'arma e si volta. Arrivati
a Piazzale Kennedy ci troviamo davanti ad un paesaggio apocalittico: la prima
cosa che noto sono le fiamme, ci sono almeno due incendi nella piazza, causati
da bombe molotov, sassi che volano, fumo dei lacrimogeni ovunque. Non ci
addentriamo nella piazza, ma svoltiamo subito a destra, su Corso Torino.
Qui incrociamo in continuazione gruppetti di black block: alcuni vanno
verso Piazzale Kennedy, altri ci superano e vanno avanti.. Mano
mano che ci allontaniamo dalla zona rossa la situazione si fa più tranquilla,
continuiamo il corteo senza incrociare più gli anarchici, affiancati
dell'automobile-discoteca dell'Unione Studentesca che accompagna con la sua
musica la nostra marcia. Dalle
finestre dei palazzi cominciano ad affacciarsi i genovesi: osservano, ma
qualcuno sventola una bandierina, allora noi applaudiamo. Ad una signora
chiediamo di tirare fuori un paio di mutande, in risposta alla richiesta di
Berlusconi di togliere - per il G8 - tutta la biancheria stesa ad asciugare
dai palazzi. Con la gente di Genova aumenta sempre di più il feeling, un
ragazzo ci lancia una bottiglia d'acqua per rinfrescarci, presto diventa quasi
una gara a chi ci innaffia di più: gente che ci rovescia addosso bottiglie,
signore anziane che riempiono intere bacinelle, c'è chi arriva addirittura
con l'innaffiatore; noi ringraziamo e sgomitiamo per ricevere un po' di
ristoro mentre continuiamo a ballare e a cantare canzoni come "Il mio
nome è mai più" , "Clandestino", "El pueblo unido". Il
corteo è diventato una grande festa, attraversiamo il tunnel che passa sotto
la stazione di Brignole ignari di quello che sta accadendo alle nostre spalle,
dove la coda del corteo è stata caricata dalla polizia, inconsapevoli anche
del fatto, che quello stesso tunnel, pochi minuti dopo, sarebbe stato
incendiato dagli anarchici; così arriviamo a Piazza Ferraris dove Agnoletto
chiude, con il suo discorso, la manifestazione. Un discorso arrabbiato e
soddisfatto. Abbiamo vinto, dice, il G8 ha fallito, e ci consiglia di
ripartire subito. E' quello che facciamo, prima che la guerriglia arrivi anche
qui. Il
nostro pullman, come tutti gli altri, ci aspetta davanti allo stadio, altro
luogo che qualche ora dopo sarebbe diventato una carneficina. Ma per ora è
tutto tranquillo. Mi
siedo su un marciapiede, felice della violenza che siamo riusciti ad evitare e
dell'affetto della gente di Genova. Arriva
un black block e si mette ad imbrattare il muro. "Genova è morta"
scrive, e aggiunge un teschio che fa l'occhietto. Poi se ne va subito. Lo
guardo e il mio sguardo si incrocia con quello di un altro ragazzo che mi
passa davanti, legge e con una voce un po' stridula mi fa: "Chissà perché
morta, poi?". _________________________________________________________________ |