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Primo Piano di
Avvenire OnLine -
Sabato 28 Luglio 2001
di Stefania Milan
Caro Direttore, le racconto la «mia» Genova. Ma prima, come in ogni missiva che si rispetti, mi presento. Sono una studentessa universitaria di comunicazione e ho 22 anni. Sono cresciuta in una famiglia che prima di tutto mi ha insegnato a credere nella giustizia. Che mi ha educato alla legalità. Che mi ha insegnato l'amore per la società, che mi ha educato al valore del volontariato, al rispetto del diverso. Con questi valori sono cresciuta e ho cominciato a studiare il mondo che mi circonda; ho orientato la mia vita a cercare di capire le ingiustizie del mondo, le cause, le possibili soluzioni. Il tutto credendo nella politica quale servizio alla società per il bene comune. Credendo nella democrazia quale forma suprema di tutela del valore più alto di tutti, la libertà dei singoli nel rispetto gli uni degli altri. Ebbene: il mondo in cui vivo non mi va. Non mi piace sapere che troppa gente muore ogni giorno di fame. In poche parole, tra le altre cose, ritengo che otto grandi non valgano sei miliardi di persone. Che il G8, rappresentanza di un mondo dove il più ricco conta di più, sia il simbolo di un sistema economico che schiaccia i più deboli. Credo che l'uomo sia prima di tutto persona e non consumatore. Non sono contro la globalizzazione. Sono per una globalizzazione diversa, che metta l'uomo, ricco o povero, al primo posto, e non l'economia. Con questi sogni e con questi valori sono andata a Genova, solo per la manifestazione di sabato 21 luglio. Ci sono andata in jeans e maglietta, con lo zainetto della scuola. Sono arrivata di mattina, una splendida mattina di sole. Azzurro il mare, azzurro il cielo, ma azzurre anche le divise della Polizia. che però non fanno paura. Scendiamo dall'autobus in un clima irreale di città vuota. È ancora presto, ma ci incamminiamo verso Piazza Sturla. Piano piano cominciano ad arrivare gli altri manifestanti. Il corteo si compone, comincia a sfilare pacifico, scendendo verso via Cavallotti. È una bellissima festa di popolo, che si permette ancora di sognare. Bandiere arcobaleno che chiedono pace, bandiere rosse, dei sindacati, della campagna contro il debito. I cori salgono al cielo chiedendo pace. L'unico suono minaccioso è il ronzio delle pale degli elicotteri. Ma si sa, vigilano com'è loro compito, affinché vada tutto bene. Il nostro corteo è composto di anziani, portatori di handicap in carrozzina, famigliole, mamme e tanti, tanti giovani. A me viene in mente Gandhi. Diceva: «Che cosa ci importa se ci prendono per sognatori?». Scendiamo in Corso Italia, costeggiamo il mare. Il corteo è stranamente lento. Ci arrivano le notizie di alcuni scontri, in testa e in coda al corteo. Le vie laterali sono tutte sbarrate. Siamo stretti tra mare e cielo, ma non potranno caricarci, non ne hanno il motivo. I vari spezzoni di corteo sono chiusi ai lati da parte dei dimostranti che col loro corpo costruiscono delle transenne umane per evitare l'eventuale infiltrazione di questi fantomatici "neri". Ad un certo punto, verso la fine del Corso, i megafoni degli organizzatori danno l'alt. Non si capisce cosa avviene avanti a noi, si vedono salire dei fumi. Ci sediamo per terra. Gli slogan si susseguono: non-violenza, non-violenza, non-violenza. Poi i megafoni dicono di alzarsi e indietreggiare lentamente, a mani alzate. Se le prime file indietreggiano di corsa, c'è il rischio dell'effetto tappo, ci schiacciano. Meglio far loro posto. Poi, e sono forse le 16.15, il delirio. Dalle prime file corrono indietro. Ci schiacciano contro il muro. Si soffoca. Le folla terrorizzata scappa. Ci si copre la bocca coi fazzoletti, arrivano i primi lacrimogeni. Non si respira. Non si vede niente. Urla. Perdo l'amica che tenevo per mano, rimane indietro. Io sono contro il muro degli edifici, penso che non ne uscirò viva. Le forze dell'ordine spingono indietro prima chi si trova sulla carreggiata. Alcuni di noi rimangono accovacciati sul marciapiede o contro il muro. Urla. Non si vede assolutamente nulla. Quando il fumo si dirada vedo gli agenti avanti, farsi largo a manganellate tra gente che invoca di smetterla, gente a braccia alzate, a volto scoperto, totalmente disarmata. Dietro di loro, a terra, conto sei persone nei pochi metri vicino a me, non riesco a vedere oltre causa il fumo. Un ragazzo, in particolare, è disteso in posizione fetale sulla carreggiata, il sangue gli cola dal viso gocciolando sull'asfalto, piange, si lamenta con versi indistinti. Una tuta grigia lo calpesta e prosegue a manganello spiegato. Le autoblindo avanzano, la folla indietreggia, ma finiranno per schiacciarsi gli uni gli altri, non c'è spazio. Siamo stretti tra mare e cielo. Io paralizzata sto contro il muro, il braccio sinistro in aria, la mano destra premuta sulla bocca. Piango. Ho perso tutti, non vedo venire avanti la mia amica, non so cosa le sia successo. Mi si avvicina un agente. Alto. Immenso. Grigio. Casco e maschera antigas, manganello. E la scritta gialla «guardia di finanza». Mi si avvicina, mi insulta, mi dice di andarmene, che cosa crediamo di fare lì, il mondo è loro, noi siamo degli illusi. Accarezza l'aria con il manganello. Per fortuna scappo. Ma ci sono i mitra e le autoblindo. La gente a terra. I sogni e la bandiera arcobaleno calpestata. Una signora anziana gambe all'aria. Una carrozzina vuota. Il fumo. Il sangue. Sperimento la solidarietà di chi come me s'è perso, che non sa se i suoi amici stanno bene. Che cerca nell'abbraccio con sconosciuti altrettanto disperati la speranza che sia tutto un brutto sogno. Ritroverò la mia amica mezz'ora più tardi. Li hanno messi in fila contro il muro. Senza distinzione di sesso e età, indipendentemente da cosa stessero facendo, una manganellata sì, una no. Piano piano ci ritroviamo e percorriamo a ritroso la via. Le ambulanze vanno e vengono. Le sirene. Non siamo mai arrivati alla fine del corteo, non abbiamo visto nessuna rete della zona rossa, non abbiamo toccato nessun bastone. Abbiamo subito una carica del tutto ingiustificata. Non raccontatemi che non si distinguevano i violenti dai pacifisti! Ci avviamo verso l'autobus. La città è invasa di gente che cerca altra gente. Pianti. Ferite, labbra spaccate, braccia contuse. Gente seduta a terra con dipinto sul volto il terrore e l'angoscia per un attacco del tutto ingiustificato. È stato attaccato un corteo del tutto pacifico solo per spezzarlo e impedire il suo arrivo a destinazione. Con che faccia si potrà giustificare la carica contro una moltitudine a braccia alzate, semplicemente stupita di tanta violenza? Contro vecchiette e studenti, mamme e bambini. Come posso io ora credere nel mio Stato, se il mio Stato mi picchia per le mie idee. Come posso tornare a credere nella legalità, quando la legalità per me è morta coi manganelli. Quando ho provato la paura più forte e irrazionale della mia vita, quando ho visto chi mi avrebbe dovuto proteggere accanirsi ingiustificatamente contro di me, contro mamme e anziani, contro chi non aveva gambe per scappare. Non sono una pericolosa sovversiva, nemmeno però una «pacifista ingenua»; non ho la tessera di alcun partito, ho solo avuto paura. Mi sono sentita impotente, io, sola, con le mani alzate. Mi sono sentita violata nella mia persona e nei miei ideali. Dopo quel sabato, per me la legalità è morta. Hanno chiamato la loro violenza giustizia. Ma io ho visto solo violenza ingiustificata. L'ho sperimentata sulla mia pelle. Sono stata fortunata, non ho nemmeno un graffio. Ma non riconosco più l'appartenenza ad uno Stato che non rispetta il mio diritto a pensare, il mio diritto a manifestare, il mio diritto alla salute. Eppure non c'era alcuna tuta nera. Non ne ho vista nessuna nel corteo, solo in tv. Ho studiato la Costituzione. "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione" (art. 21) "I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente" (art.18). "I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi" (art. 17) . Lo dice la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del cittadino del 26 agosto 1789: "la libera manifestazione del pensiero e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo". Lo dice la L. 4 agosto 1955, n.848, quando è stato ratificata la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: titolo I, art. 10: "ogni persona ha diritto alla libertà di espressione". E l'art. 11: "ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione". E, soprattutto, l'art. 32: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività". E ci picchiano. Chiedo solo una spiegazione per quello che io in prima persona ho subito. Non passerò mai alla violenza. Ma la prossima volta, in piazza, scenderò. E scenderò difesa. Mi porterò il casco e quanto altro per difendermi da chi, invece, dovrebbe tutelarmi. _________________________________________________________________ |