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"E gli altri 9 dove sono?"
La Fede e il miracolo


Mauro Borghesi


Il miracolo tira alla grande, oggi non meno di ieri. Crederci non costa nulla e permette di sperare in un intervento che dal cielo scende per cambiare radicalmente una vita fatta di stenti, che da solo non so cambiare. Il miracolo è un potente ansiolitico. Basta averne sentito voce, basta che anche uno solo tra tanti ne abbia potuto godere, come per il super enalotto, ed ecco che la sua forza persuasiva ne esce ogni volta rinnovata.
Ah, se solo ci fossero più miracoli! Il mondo sarebbe migliore, le persone avrebbero più fede, le chiese più affollate. Perchè Dio è così avaro di miracoli? Che gli costa? Gesù ha detto che con un pò di fede si possono spostare le montagne eppure in mezzo a migliaia di oceanici pellegrinaggi, giubilei, canonizzazioni, le montagne sembrano restare saldamente al loro posto.
C'è una parabola che a mio avviso mostra come il punto di vista di Gesù sia esattamente opposto a quello della mentalità comune che induce a supplicare il nuovo miracolo. E' quella dei 10 lebbrosi, riportata da Luca 17, 11-19.

Nel recarsi a Gerusalemme, Gesù passava sui confini della Samaria e della Galilea. Come entrava in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali si fermarono lontano da lui, e alzarono la voce, dicendo: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!» Vedutili, egli disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E, mentre andavano, furono purificati. Uno di loro vedendo che era purificato, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce; e si gettò ai piedi di Gesù con la faccia a terra, ringraziandolo; ed era un samaritano. Gesù, rispondendo, disse: «I dieci non sono stati tutti purificati? Dove sono gli altri nove? Non si è trovato nessuno che sia tornato per dar gloria a Dio tranne questo straniero?» E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato».

Questa parabola è illuminante per i nostri tempi insoddisfatti e creduloni, perchè cambia radicalmente la prospettiva. Gesù con i 10 lebbrosi in fondo ci dice che il miracolo viene fatto a tutti, senza tante prove di fede in anticipo, basta rivolgersi ai sacerdoti. Il vero problema non è il miracolo, ma il ringraziamento. Solo uno dei miracolati torna a ringraziare Gesù, e solo quello si "salva". Ecco cosa conta agli occhi di Gesù, non il miracolo, ma il ringraziamento. E' quel ringraziamento il vero miracolo, ed è un miracolo che dipende dagli uomini, non dal Creatore: solo noi possiamo farlo.

Certo, il discorso non si esaurisce qui. Occorre capire cos'è il miracolo, visto che secondo Gesù tutti sono miracolati, e occorre intendersi sul concetto di salvezza, visto che uno solo dei miracolati è salvato. Ma al di là di questi elementi che riprenderò più avanti, il centro della questione è che mentre l'umanità aspetta più miracoli da Dio, ecco che contemporaneamente, Dio attende un miracolo dagli uomini, la loro risposta. Se le cose stanno davvero così e se la lettura della parabola non è eccessivamente forzata, allora occorre cambiare politica. La chiesa deve proclamare la guarigione avvenuta, più che spingere alla richiesta di nuovi miracoli, ed educare al ringraziamento piuttosto che allo sforzo morale che "merita" la concessione di una presunta nuova grazia. Non si tratta di un compito facile. Per "proclamare" la guarigione avvenuta è necessario prima rintracciare i segni della domanda di guarigione. Comprendere il disagio mascherato, comprendere l'uomo nel suo tempo, nella sua cultura per cogliere la sua più profonda domanda d'aiuto. A questa comprensione fatta di studio, di ascolto, di umile discesa nelle strade in cui si svolge la vita, seguirà l'annuncio. Noi cristiani crediamo che Dio abbia rivelato con Gesù le sue intenzioni sulla storia. Crediamo che Egli si sia fatto uomo ed abbia spento in sè stesso la radice dell'odio senza rispondere con nuovo odio. Crediamo che il suo non sia stato un semplice "buon esempio" perchè dopo tre giorni è risorto dai morti. E' risorto davvero, non metaforicamente, non spiritualmente, non "nei nostri cuori". Il suo corpo non è più là dove era stato deposto. Questo messaggio va "tradotto" nelle varie lingue, usando le stesse categorie mentali e culturali che erano state usate dagli uomini per esprimere la loro angoscia, la loro domanda. Questa è la guarigione che in modi diversi tutti chiedono, e questo è il grande miracolo che Gesù a tutti concede.

Dove sono, dunque, i miracoli? I miracoli sono già avvenuti, sono in mezzo a noi, sono nella quotidianità. Non nel senso poetico del termine, cioè in riferimento al "miracolo" dell'alba, del tramonto, del sorriso dei bambini, ecc... quanto piuttosto nel senso che dopo il miracolo fondamentale della resurrezione di Gesù, tutta la vita del cristiano è "miracolata" e non necessita di altri interventi diretti di Dio. Egli ovviamente può farne quanti ne vuole e quando vuole, non conosciamo i suoi progetti ed i suoi criteri. Certo è che Gesù resta perplesso di fronte all'ingratitudine dei nove lebbrosi spariti nel nulla, e ciò mi fa pensare che Dio stesso presumibilmente rimane perplesso di fronte a tante richieste di miracoli rivolte ai santi e così poca fede verso la sua opera principale, l'eucaristia. Questo discorso che a me pare logico può irritare un malato. Al di là delle interpretazioni possibili, il male fatto di malattie tangibili e dolorose resta una domanda che spontaneamente rivolgiamo verso l'alto, una domanda alla quale non si vuol mancare di rispetto con risposte banali. D'altra parte credo che il messaggio del vangelo non sia l'annuncio di una salvezza fisica. Il corpo è destinato a perire e la malattia fa parte della natura delle cose. Gesù non viene ad eliminare la morte con il suo carico di dolore umano, tanto è vero che soffre e muore come tutti, senza farsi sconti. Egli viene a vincere la sua valenza di ultima parola, il suo potenziale di angoscia, la sua minacciosa ombra, Egli muore e risorge e promette a chi lo seguirà lo stesso destino di vittoria. E' difficile dire questo ad un malato, a chi porta il dolore nella carne, ma è proprio lì che si vede la qualità dell'annunciatore, è proprio lì che si comprende come nell'annuncio cristiano non bastino le parole ed accanto ad esse occorra necessariamente la relazione, la "sim-patia", la propria testimonianza, la capacità di "comunicare" ("dire" è troppo restrittivo) alla persona giusta, nel momento giusto, nel modo giusto. Se anzichè far questo si distorce il messaggio cristiano promettendo guarigioni miracolose, allora si evita il problema di entrare in relazione, di capire la lingua di chi parla, di mettere in gioco sè stessi. Si evita di affrontare e guardare in faccia il male, si illude il prossimo, ma tutto questo non ha nulla a che fare con il vero cristianesimo, è un'altra cosa, contro la quale occorre lottare per il bene dell'uomo, per amore del Vangelo, anche se in questa lotta si va a sbattere, talvolta, contro preti e vescovi.

Dove sono i lebbrosi? Se il miracolo è la resurrezione, la lebbra a rigor di logica deve essere necessariamente il suo contrario, cioè la morte. L'angoscia che provoca la vicinanza della morte, l'insoddisfazione che deriva dal pensare in molti casi che "questa non è vita", che vivere così non serve a nulla. Lebbroso è l'uomo che va letteralmente in pezzi, l'uomo frazionato, incompleto. La morte ha già cominciato ad agire sul suo corpo, "sta morendo" e se ne rende conto, e questa al di là della specifica malattia, è una realtà psicologica in cui ci ritroviamo tutti, tanto più se assaliti da illusioni di perfezione. Tutti siamo almeno un pò lebbrosi, tant'è vero che tutti andiamo incontro alla morte anche se questo cammino in alcuni si vede più ed in altri meno. Tutti siamo miracolati attraverso la vita sacramentale, ma questo miracolo, che non costa nulla ed è alla portata di tutti, - è infatti "grazia" e non "premio" di una vita meritevole - ha in sè un aspetto misterioso. Pur essendo la cosa di cui abbiamo più bisogno, è recepito solo nella fede, non è evidente. Questo miracolo salva solo colui che crede.

Cosa significa essere salvi? La salvezza è un'esperienza spirituale interiore che, stando alle parole di Gesù, può provare solo colui che ha fede. E' la certezza che pur con tutti i limiti umani che ci si porta dietro, Dio ti accetta così come sei. Se tu ti accetti e Dio ti accetta, sei salvo. Se però questo è facile a dirsi è molto più difficile da vivere, anche perchè il fatto che Dio mi accetta non può mai essere usato per giustificare le mie malefatte ed i miei peccati, è piuttosto uno stimolo positivo, non opprimente, a fare sempre meglio.

Come si fa ad avere fede? Questo forse è l'interrogativo più importante e sul quale a me pare ci sia nelle chiese molta confusione e poca educazione. Dirò anzi che tutta questa riflessione sul successo del miracolo è iniziata il giorno in cui, il CT della Nazionale di calcio Giovanni Trapattoni ha commentato con orgoglio il fatto di avere sempre con sè l'acqua benedetta durante le sue partite, perchè lui è un uomo di "fede". "Io ho molta fede", ha detto, e "sono molto credente", ed io allora credo in un Dio diverso dal tuo, ho pensato io. Ho usato questo esempio non perchè il buon allenatore sia un personaggio importante nel mondo religioso, quanto perchè le sue parole, su milioni di teleschermi, sono passate tranquille come sacrosante e nessun prete è insorto per dire che toccare un portafortuna non è fede, ma scaramanzia, allo stesso modo del toccare ferro, o toccare i coglioni in circostanze leggermente diverse. E' una mentalità molto diffusa. Quando giravo per le benedizioni pasquali a Riccione tanta gente mi chiedeva di benedire l'auto, le uova, il letto, i quadri, perfino le mutande... e magari non sapevano dire il Padre Nostro, "... però abbiamo sempre avuto tanta fede!" Chi ha diffuso questa fede? Basta fare un giretto al santuario più vicino per avere la risposta. 
Il brano di vangelo da cui sono partito va in un'altra direzione. "La tua fede ti ha salvato" dice Gesù all'unico lebbroso che torna a ringraziarlo. Egli misura la fede degli uomini dalla loro capacità di ringraziarlo. Poco prima, in Lc 17, 5-6, sembra condividere la stessa preoccupazione su quanto venga frainteso il termine "fede". I discepoli, ammaliati dai suoi poteri, gli dicono "aumenta la nostra fede!", come se ritenessero di averne già parecchia, ma non abbastanza da poter competere con lui, e lui risponde dicendo che non ne hanno per niente: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe!" Un granellino di senapa è ben piccolo. E' forse l'esempio più piccolo che gli sia venuto in mente in quel momento. Questo non significa che si devono sforzare di più, o che la fede sia una questione di capacità paranormali, ma che hanno proprio frainteso il concetto di fede. Se la fede diventa misurabile con il potere di fare cose straordinarie, siamo finiti. E' sufficiente che un pazzo scatenato abbia molta fede per decretare la distruzione dell'umanità o l'avvento di un nuovo potere totalitario. Paolo ci avverte di questo pericolo quando parla del primato della carità in 1 Corinti 13: "Se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla". E anche Pietro, uno di quelli che diceva "aumenta la nostra fede", dopo aver ricevuto lo Spirito Santo deve a sua volta combattere con chi fraintende la fede come un potere umano:

Simone (...) restava meravigliato, vedendo i miracoli e le opere potenti che venivano fatti. (...) Simone, vedendo che per l'imposizione delle mani degli apostoli veniva dato lo Spirito Santo, offrì loro del denaro, dicendo: «Date anche a me questo potere, affinché colui al quale imporrò le mani riceva lo Spirito Santo». Ma Pietro gli disse: «Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai creduto di poter acquistare con denaro il dono di Dio. Tu, in questo, non hai parte né sorte alcuna; perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Ravvediti dunque di questa tua malvagità; e prega il Signore affinché, se è possibile, ti perdoni il pensiero del tuo cuore. Vedo infatti che tu sei pieno d'amarezza e prigioniero d'iniquità».

Atti degli Apostoli 8

Un'altro elemento è messo in risalto nel brano dei 10 lebbrosi. L'uomo salvato è uno straniero, e Gesù sottolinea questo particolare, dicendo proprio: "Non si è trovato nessuno che sia tornato per dar gloria a Dio tranne questo straniero?" Visto che uno dei primi tabù che la chiesa nascente dovette superare fu proprio quello di comprendere che la salvezza era per tutti e non solo per i Giudei, cogliamo un nuovo importante elemento a conferma del fatto che la fede è offerta veramente a tutti, e che i cosiddetti "lontani" possono a volte essere più vicini di chi respira un clima religioso dalla nascita.

La fede in conclusione è un dono, come tale va accolta e non come conquista ascetica, frutto di chissà quale sforzo mentale. E' disinteressata, altrimenti non è fede. E' subordinata alla carità, altrimenti non è fede. E' appoggiata su segni tangibili, i sacramenti, perchè la nostra umanità ha bisogno di toccare qualcosa che parli dell'al di là, ma va oltre quei segni, non li rende imprescindibili e, al limite, può farne anche a meno.

 


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