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Dossier
su Magdalene
Il film "Magdalene" di Peter Mullan ha
vinto il Festival del Cinema di Venezia. Il contenuto dell'opera, che
descrive una realtà storica, ha suscitato reazioni accese e
contrastanti e sembra aver diviso il mondo laico e il mondo cattolico.
In questo piccolo dossier riportiamo schede e commenti sul film.
Vi invitiamo a mandarci le vostre opinioni.
Magdalene,
un atto d'accusa contro la Chiesa cattolica
Suore
cattive in un film Il regista Mullan: cattolici come talebani
La mia
vita da schiava in un convento-lager
Queste le
vere storie di Phillys, Martha e delle altre «Magdalene»
Le reazioni del mondo
cattolico
Magdalene, io, cattolico
indignato
Magdalene, un
atto d'accusa contro la Chiesa cattolica
Una ex suora al Lido: "Io ci sono
stata, erano lager"
VENEZIA - Un'istituzione totalitaria poco conosciuta,
rimossa, passata sotto silenzio. Un incubo presente solo nei ricordi di chi è
sopravvissuto, nella memoria delle torture fisiche e psicologiche subìte. Già:
perché i conventi irlandesi delle Maddalene, diffusissimi nei decenni del
dopoguerra, erano dei veri e propri lager al femminile. Luoghi di prigionia per
le paria della rigida morale cattolica in vigore nel Paese: giovani madri
nubili, ragazze stuprate, o troppo vivaci, o con problemi mentali.
Un esercito di migliaia di donne trattate come oggetti da annientare (proprio
come nei più feroci regimi islamici di adesso), perfino nei
"rivoluzionari" anni '60-'70. Anomalia resa possibile dalla crudeltà
delle suore che li gestivano, dalla connivenza delle gerarchie ecclesiastiche e
dall'indifferenza del mondo esterno. Ma ora, a squarciare il velo, arriva Magdalene,
film dello scozzese Peter Mullan in concorso alla Mostra di Venezia. Accolto da
un lungo applauso alla proiezione per addetti ai lavori, così come un'ovazione
ha salutato l'arrivo del regista, oggi, all'incontro con i cronisti: "Sono
cresciuto in una famiglia cattolica", racconta lui, "mio padre era
alcolista. A Londra nel '78 ho fatto volontariato, e ho conosciuto una suora
irlandese. La donna più cattiva che si possa immaginare, maltrattava la gente
in maniera incredibile. Per me lei incarnava il lato crudele della Chiesa,
quello che considera la compassione una debolezza".
E in effetti, per la quattro ragazze protagoniste del film, di compassione, da
parte delle religiose, ce ne è ben poca. Siamo nel 1964: Bernadette (Nora-Jane
Noone) viene rinchiusa in un convento perché attraente e civettuola; Rose (Dorothy
Duffy) viene spedita lì dal padre, dopo aver dato in adozione la figlia nata
fuori dal matrimonio; Margaret (Anne-Marie Duff) ha invece il torto, per i
genitori, di essere stata stuprata dal cugino. Le tre ragazze arrivano nella
struttura gestita dalla sadica e spietata sorella Bridget (Geraldine McEwan),
che approfitta del lavoro delle "ospiti" per far soldi con un servizio
di lavanderia. Mentre vengono tollerati i soprusi delle altre suore e del prete,
che costringe a rapporti sessuali una povera ragazza non troppo intelligente
(Mary Murray). Per lei, purtroppo, non ci sarà salvezza. Per le altre tre, dopo
quattro anni da incubo, una via di fuga arriverà.
Una storia non troppo diversa da un'autentica ex "Maddalena", Phyllis
McMahon, presente al Lido oggi insieme a Mullan e a parte del cast. Nel film ha
una piccola parte, quella di suor Augusta, ma è stata preziosa per il regista,
vista la sua esperienza personale: "Ho lavorato in un convento per un
anno", racconta la donna, "poi la mia famiglia mi ha aiutato a
scappare. Lì ho visto delle tremende crudeltà. Ma la colpa è della società,
che ha permesso che tutto questo accadesse, che segregava queste ragazze. E
intanto la gente si girava dall'altra parte".
Mullan invece, da buon amico e allievo di Ken Loach (è stato anche il
protagonista di My name is Joe), vede le cose in maniera più radicale,
sottolineando le responsabilità della Chiesa cattolica: istituzione che, a suo
avviso, "dovrebbe riconoscere il male che ha fatto nel Ventesimo
secolo". E, per rincarare la dose, rivela l'ostracismo incontrato in
Irlanda: "Appena partiti con questo progetto decidemmo di mettere un
annuncio sul giornale Irish independent, dicendo che cercavamo
sopravvissute ai conventi delle Maddalene. Ma il giornale rifiutò di
pubblicarlo. Perciò scegliemmo di girare in Scozia, dove non avremmo corso
pericoli o subìto atti di sabotaggio".
C'è poi un altro aspetto su cui Mullan si dichiara debitore di Loach: il modo
di dirigere il cast, formato soprattutto da esordienti irlandesi scelte dopo una
lunga selezione. "Io la penso come Ken", dichiara, "e cioè che
sul set il 98% della resa degli attori è dovuto alla fiducia in se stessi, e
solo il 2% alla recitazione vera e propria. E sempre seguendo il metodo di Ken
ho girato la storia in sequenza, per facilitare il difficile viaggio emotivo
delle protagoniste". E, vista l'intensità delle loro interpretazioni, il
"teorema" Loach è davvero efficace.
Claudia Morgoglione
Tratto da "La Repubblica", 30 agosto 2002
Suore cattive
in un film Il regista Mullan: cattolici come talebani
«Io, credente, denuncio gli errori della Chiesa»
VENEZIA - Essere chiamate Magdalene's girl fino a pochi anni fa, tra Irlanda e
Inghilterra, non era certo un complimento. Il termine indicava le «cattive
ragazze», quelle che avevano dirottato dalla retta via. Peccati quasi sempre
legati al sesso: figli nati fuori dal matrimonio, stupri spesso dentro le mura
domestiche, ma anche un’eccessiva avvenenza fisica, indizio sicuro di «pericoli
morali» in vista. Abbastanza per bollarle a vita, farle cacciar di casa, e
farle chiudere in un «Magdalene», rifugi per donne che, trasferendo la
metafora nella realtà, avevano scelto il lavare panni altrui quale mezzo di
redenzione. Da qui il titolo del film dello scozzese Peter Mullan, in concorso a
Venezia (ieri quasi dieci minuti di applausi al termine della proiezione) e ora
nelle nostre sale.
«A fine anni Sessanta in Gran Bretagna ne esistevano ancora una cinquantina,
circa la metà nel sud Irlanda - racconta Mullan -. Dentro quelle mura sono
passate circa 30 mila donne, molte vi sono rimaste fino alla morte. Trattate
come prigioniere, senza poter mai uscire, seviziate e umiliate nel corpo e
nell'anima. Mai pagate un cent per un lavoro massacrante, fonte invece di buoni
incassi per le religiose. L'ultima "lavanderia Magdalene" è stata
chiusa nel 1996. A determinarne la fine, più che un'illuminazione dall'alto è
stata l'invenzione e la diffusione della lavatrice, che ha vanificato quel
lavoro artigianale».
Un anno dopo, nel '97, per le sopravvissute alla reclusione la cantautrice Joni
Mitchell compose «The Magdalene Laundries». Ma fu un documentario, di Channel
4, a far scattare in Mullan la voglia di denunciare quella sofferenza nascosta.
«In realtà tutti sapevano quello che accadeva lì dentro - denuncia Phyllis
McMahon, attrice che nel film interpreta una delle suore, ma, anni fa, suora lei
stessa proprio in uno di quei conventi -. Per me, ritrovarmi lì dentro è stato
uno choc terribile. Avevo solo 21 anni quando mi affidarono la gestione di un
"Magdalene". Dentro trovai l'inferno. La divisione tra suore e donne
era netta in tutto, dal cibo alle regole di vita: le prime avevano potere di
vita e di morte sulle seconde. Non ci misi molto a rendermene conto: un anno
dopo, pur tra molte minacce, lasciai il velo. Rimetterlo oggi, anche se solo per
finzione, mi ha scatenato un fiotto di dolore di inattesa violenza. Questo ruolo
mi è costato molto, ma dovevo farlo».
Commenta Mullan: «Ho voluto fare questo film soprattutto perché, da cattolico
quale sono, sentivo il bisogno di pormi domande sulla natura dell'oppressione di
una Chiesa che non differisce troppo dai talebani, che istiga alla crudeltà
anziché alla compassione, trascinando la società in una spirale di follia
collettiva. Bersaglio primo di queste dittature teocratiche, cattoliche,
islamiche o altro ancora, sono sempre le giovani donne. La società patriarcale
vede in loro una minaccia alla sua esistenza. Così l'unico modo per
controllarle è colpire la loro sessualità, farne vergini o prostitute. Mai
donne».
Il film certo non mancherà di scatenare, con la forza delle sue immagini e la
violenza di quel che sottendono, polemiche e dibattiti. «Me li aspetto -
conclude il regista -. In Irlanda perché la ferita è ancora troppo aperta, in
Italia perché c'è il Papa. Ma la Chiesa, se vuol sopravvivere, deve
riconoscere le sue colpe. E alle donne di Magdalene finora nessuno ha chiesto
perdono».
Giuseppina Manin
Tratto da "Il
Corriere della Sera", 31 agosto 2002
La
mia vita da schiava in un convento-lager
Oggi ha 70 anni: "Tante volte ho denunciato, mai
creduta
Ho perso dignità e identità: credo in Dio, non nella Chiesa"
"Mi guardi: sono una vera Maria Maddalena, non un
fantasma. Sono una di quelle di cui parla il film di Peter Mullan che ha
vinto a Venezia. Una di quelle schiave messe a marcire nei conventi,
gestiti dalle Suore della Misericordia, per conto della chiesa
cattolica. Messe a lavorare per lavare via le colpe: 9 ore al giorno,
tutti i giorni dell'anno, tranne la domenica. Non una puttana, non una
pazza e nemmeno un'orfana".
"Solo una che si era permessa di disubbidire. Il mio peccato?
Essere andata al cinema senza permesso. Esistiamo davvero, noi Maddalene,
ci hanno cambiato nome, ma io sono Mary. Ho 70 anni e sono stata la
prima a parlare nell'85, chiamavo i giornali, le radio, nessuno mi
credeva. Dire male delle suore? Non si poteva, non nella cattolica
Irlanda, dove si erano occupate di 30 mila Maddalene. In molti
preferivano ignorare, anche nel 1996 quando ha chiuso l'ultimo convento,
anche dopo molti documentari, anche dopo molte canzoni. Un po' come in
Germania ai tempi del nazismo quando la gente perbene diceva di non
sapere e faceva di tutto per non sapere. Ce ne sono altre come me, ma
stanno zitte, si vergognano, non vogliono ricordare. Povere Maddalene,
non parlano nemmeno se le ammazzi. E ormai le hanno ammazzate quasi
tutte: il resto lo ha fatto il dolore, la sofferenza, la pazzia. Molte
sono rincretinite, ridotte a vecchie bambine che vegetano nei ricoveri.
Ma già: i cattivi ora sono i musulmani, il male è l'Islam. Yes father,
sì Padre, diceva sempre mia madre. Non si poteva dire di no al
parroco".
Mary Norris vive in campagna. E' nata nel 1932 a Sneem nella contea di
Kerry, da Daniel e Brigid Cronin che avevano una piccola fattoria e otto
figli. Mary era la figlia più grande. Suo padre morì di cancro che lei
aveva undici anni, l'ultima sorellina appena sei mesi. "Dopo la
morte di papà, mia madre cominciò a frequentare un uomo della zona,
che spesso si fermava a dormire da noi. Durante queste visite non
vedevamo nulla di sconcio, lui ci regalava qualche dolce e la mamma
sembrava un po' più felice. Una mattina mi stavo preparando ad andare a
scuola quando vidi la macchina. Una guardia mi chiese se mia madre era a
casa. Penso che stessero controllando la casa, perché volevano trovarci
l'amico della mamma. Così presero noi bambini e ci fecero marciare fino
al tribunale, sotto gli occhi di tutti. Su volere del parroco che
considerava la mamma una cattiva donna. Finimmo in un orfanatrofio a
Killarney, separati dai nostri fratelli, ma noi la mamma l'avevamo.
Erano preoccupati per la salvezza delle nostre anime. Me lo spiegò una
suora, cattivissima, che ora è morta, ma che voglio nominare, suor
Laurence, che mi disse: 'Tua madre poteva tenerti, ma è una poco di
buona, è un diavolo, spero che tu non diventerai come lei". Per
questo mi picchiava e perché bagnavo il letto. Per punizione dovevo
passare con il materasso sulla testa tra un'ala di bambini che mi
derideva. Avevo solo 11 anni e non mi era mai successo prima di non
riuscire a tenere la pipì. Lei mi picchiava con la cinghia, quando ero
nuda, sempre in posti dove i segni non si sarebbero visti. Godeva nel
farmi male, questo l'ho capito dopo. Mi spiegava: "Lo sai che stai
parlando alla sposa di Cristo?".
Impedivano a mia madre di venirci a trovare. Il giorno di Natale ci
davano una salsiccia, la domenica di Pasqua un uovo bollito. Per il
resto il cibo era atroce: pane e margarina, e una specie di porridge che
davano a maiali. Dalla cucina delle suore invece uscivano meravigliosi
profumi di bistecca". Mary, quante volte? "Quante volte ho
pensato di essere io sbagliata? Molte. Sono andata trovare un'amica a
Londra, un'altra Maddalena, suo figlio piangeva e lei si è messa con
calma a picchiarlo. "Ma cosa fai?" le ho chiesto. "Non
facevano così anche con noi, per farci smettere?" mi ha risposto.
Non ce l'ho con le suore per le botte o per il lavoro. Quello che ti
segna per sempre sono le ferite alla mente.
Continuavano a ripetermi: finirai male come tua madre. E io pensavo:
oddio, forse vedono in me qualcosa che io non riesco a vedere. Così a
16 anni decisi di diventare una suora. Cercavano religiose da mandare in
Australia a convertire gli aborigeni. Io non sapevo nemmeno chi fossero
gli aborigeni, ma alzai la mano. Cominciarono ad educarmi diversamente,
ma a me non piaceva. Arrivò un prete che mi spiegò: "Ragazza mia,
più sei vicina a Dio, più il diavolo ti tenta".
Gli risposi che il diavolo non c'entrava, non volevo più essere una
suora. Così mi trovarono un lavoro in una famiglia a Tralee. Per 12
cent mungevo le mucche, cucinavo, lavavo e pulivo. Una volta a settimana
andavo al cinema, era la mia unica passione. Chiesi il permesso per
andarci un'altra volta, ma la padrona disse no. Ci andai lo stesso, e il
giorno dopo arrivò lo stesso uomo che mi aveva prelevato da casa da mia
madre e mi riportò a Killarney dove venni chiusa a chiave. L'indomani
venni portata dal dottore per un esame interno e ricordo che lui si
spazientì: "Cosa c'è che non va? Questa ragazza è intatta".
Io non sapevo cosa voleva dire intatta. I miei fratelli vennero mandati
a lavorare da un tipo in campagna che abusò sessualmente di loro e di
mia sorella. Mia madre continuava a non sapere dove fossimo".
Mary nel 1950 smise di esistere. "Venni trasferita al Good Shepard
a Cork, senza nemmeno avere la possibilità di salutare le mie sorelle.
E divenni schiava in una lavanderia delle Maddalene. Mi imposero di
cambiare il mio nome e mi ordinarono di non dire a nessuno il motivo per
il quale ero lì. Ma se non lo so nemmeno io, risposi. Lì dentro persi
tutto: dignità, identità, nome. Non potevi parlare, dovevi solo
pregare ad alta voce, lavorare e baciare i piedi della statua di Santa
Maria Goretti. Eravamo un centinaio, nessuno aveva mai fatto qualcosa di
male, alle mamme toglievano i bambini che finivano adottati in America.
Riconobbi Helen, una compagna di anni prima, mi disse che ora si
chiamava Regina.
Il lavoro era duro: era una vera lavanderia. I panni venivano dagli
ospedali, sporchi di sangue e noi non avevamo guanti. Le suore facevano
una fortuna, noi neanche una lira. Sono stata lì per due anni, senza
paga. Mi sono salvata grazie ad una zia che avevo in America e che
continuava a chiedere mie notizie. Ma i miei fratelli sono diventati
alcolizzati e sono morti: uno bruciato nel suo letto dalla sigaretta,
l'altro ucciso in una rissa tra ubriachi. Non dico che sia solo colpa
della Chiesa, ma certo quello che hanno attraversato non li ha aiutati a
diventare persone".
Si può smettere di essere Maddalena? "E' difficile. Io sono andata
in Inghilterra, mi sono sposata, ma dopo un po' tutto è andato male,
sono caduta in depressione e sono finita dallo psichiatra. Non riuscivo
a sbarazzarmi del passato, l'avevo messo lì in attesa, ma c'era e
premeva. Ho incontrato il mio attuale marito nel '67, ho avuto una
figlia, e questo ha fatto la differenza. Credevo che non sarei mai
riuscita a liberarmi dall'odio che avevo per le suore, invece ce l'ho
fatta, altrimenti avrebbero vinto loro, perché come ripeto c'erano e ci
sono anche buone religiose.
Alla gente dico: non abbiate vergogna di arrabbiarvi, è un vostro
diritto, non lasciate che l'amarezza vi rovini. Molte di noi provano
ancora vergogna per dove sono cresciute. Ma io dico che la vergogna sta
sulla porta della chiesa cattolica perché loro hanno istruito le
persone e loro hanno permesso tutta questa miseria. Se abbiamo fatto del
male, ci scusiamo, dice ora la Chiesa. Come sarebbe a dire se? Noi, le
Maddalene, non ci siamo inventate niente. Veramente il Vaticano crede
che il film sia esagerato? Preferisco la posizione del vescovo Willy
Welsh che parla di necessario ripensamento.
Ho dovuto combattere perfino perché le Maddalene morte in convento
avessero una tomba e un nome, le avevano seppellite in una fossa comune
e anonima. Invece le suore avevano rose e lapidi bellissime". Mary,
non pianga, racconti. "Cosa? Che non vado più a messa e nemmeno le
mie sorelle. Continuo a credere in Dio, ma non nella chiesa. Non voglio
una cerimonia religiosa quando muoio, non l'ho voluta nemmeno quando mi
sono sposata. Mi definisco cristiana, non cattolica. Devo credere. Perché
chi ci ha rubato la vita non deve trovare il paradiso".
Emanuela Audisio
Tratto da "La Repubblica" 13 settembre 2002
Queste
le vere storie di Phillys, Martha e delle altre «Magdalene»
LONDRA - Phyllis Valentine fu mandata tra le Maddalene,
le peccatrici, perché «era troppo carina». Martha Cooney invece fu
rinchiusa perché era stata violentata dal cugino, e quindi era
considerata «macchiata». Che cosa accadeva poi all’interno di quelle
lavanderie, che popolarono l’Irlanda per decenni, è affidato alla
memoria di dozzine di donne che, solo qualche anno fa, raccontarono la
propria odissea in uno sfogo che fece arrossire di vergogna la società
irlandese, proprio quando la Tigre Celtica si vantava dell’improvviso
benessere.
Il film di Peter Mullan può fare sensazione in Italia, se il Vaticano
lo condanna duramente, ma sfonda porte aperte nel Regno Unito e in
Irlanda, dove la storia delle «lavanderie Magdalene» è stata
rievocata più volte, con immutato orrore. E l’ultimo programma della
Bbc, trasmesso solo qualche mese fa, ha cercato di trasferire parte
dello scandalo dalle orribili suore, che abusavano fisicamente delle
recluse, sulle famiglie che, complici, «murarono vive» le loro
congiunte tra le Maddalene, fino agli anni ’90.
Phillys e Christine sono solo due delle donne che, ormai tornate nel
decoroso salottino di casa (il divano a fiori e il centrino sul tavolo),
accolte a fatica da una società che s’era sbarazzata di pregiudizi
bigotti, raccontarono a Steve Humphries, regista di Sex In A Cold
Climate , le violenze, anche sessuali, che accadevano nei conventi
delle Magdalene Sisters. Phillys era «bella come una fotografia», e
quindi fu rinchiusa perché le suore temevano che potesse «perdersi»,
restare incinta e quindi dare loro un’altra bocca da sfamare: rapata,
imbruttita, per otto anni lavorò come una schiava, senza orario e senza
paga, in una sorta di punizione precauzionale. Christine fu separata dal
figlio, frutto di una relazione in tempo di guerra, quando il bambino
aveva solo dieci mesi e andava ancora allattato: la donna quasi impazzì
dalla disperazione: «Non ci fu nemmeno il tempo di dirgli addio». E
dovette aspettare 54 anni - oltre mezzo secolo - per rivederlo.
Quel documentario, trasmesso dalla Tv irlandese nel 1998, fu un trauma
che scosse l’intera società. L’indomani più di 400 persone
telefonarono all’emittente: molte erano donne ansiose di raccontare la
propria storia, ma c’erano anche uomini, ch’erano stati oggetto di
attenzioni sessuali non nelle «lavanderie Maddalena», bensì nelle
chiese (lo scandalo dei preti pedofili, che avrebbe rovinato la
reputazione della chiesa cattolica irlandese, era al suo culmine). Ma le
voci più angosciate erano quelle di coloro che cercavano notizie sulle
loro madri o zie, che erano stata mandate tra le Maddalene ed erano
sparite. Molti erano orfani, che temevano di essere stati dati in
adozione da madri sepolte vive in un convento-lavanderia, ma ai quali le
suore avevano negato il certificato di nascita. Centinaia di donne erano
infatti scomparse dalla società, nel complice silenzio di tutti.
Perché la loro sorte, benché nota, andava taciuta, e le «Magdalene»
erano considerate intoccabili. Brighid Young, una bambina che viveva a
Limerick vicino a un convento-lavanderia, fu picchiata selvaggiamente da
una suora per aver parlato a una reclusa, e poi costretta a guardare in
uno specchio la propria faccia gonfia di lividi: «Adesso, vedi, non sei
più carina».
Ma il documentario di Humphries, benché avesse il merito di offrire
testimonianza reale della crudeltà istituzionalizzata nelle «lavanderie
Maddalena», non fu la sola voce. Già nei primi anni ’90 un dramma di
Patricia Burke Brogan, Eclipse , aveva squarciato il velo
dell’omertà. E solo qualche mese fa, in marzo, la Bbc dell’Irlanda
del Nord ha trasmesso uno sceneggiato, dal titolo provocatorio di Sinners
(peccatrici, riferito alle donne internate, anziché alle suore), in
cui l’intera vicenda è ricapitolata. L’autore, Robert Cooper, ha
messo in guardia gli spettatori britannici da affrettati giudizi di
condanna: «Tutte le società nascondono queste verità sgradevoli,
anche quella inglese: basta cercare a fondo». Ma s’è detto
sbalordito per il fatto che l’ultima lavanderia Magdalene sia stata
chiusa solo nel 1996: c’erano ancora rinchiuse una quarantina di
donne, comprese tra i 40 e i 70 anni d’età. Molte non sapevano dire
se avevano ancora parenti, e a una era stata nascosta la morte della
madre, per il timore che volesse andare al funerale. La vergogna è
durata fino a ieri.
Alessio Altichieri
Tratto da "Il Corriere della Sera" 10
settembre 2002
Le reazioni del
mondo cattolico
- Prime reazioni dal mondo cattolico sul film Magdalene dello
scozzese Mullan.
- Il più duro è il cardinal Ersilio Tonini che esprime «una
grandissima amarezza». Per il porporato premiare un film che «non
dice la verità sulla Chiesa e ha un regista che si esprime in modo
calunnioso contro i cattolici non rende onore alla Mostra di Venezia
e rischia di squalificarla». Conclude Tonini: «Mi chiedo se tutto
quello che il film mostra sia vero. E dovrebbero chiederselo anche i
critici e gli spettatori».
Promette battaglia nel consiglio di amministrazione della Biennale Valerio
Riva : «Voglio spiegazioni su come si è arrivati a questo
risultato. Il mio dissenso è netto, e non parlo da cattolico. Il
film di Mullan fa della propaganda scorretta».
- L’ Osservatore Romano , quotidiano vaticano, aveva
stroncato il film: «Caricatura mal riuscita», «provocazione
rabbiosa e rancorosa». E anche la Commissione nazionale valutazione
film della Cei, la congregazione dei vescovi, ha inserito Magdalene
nella categoria «Inaccettabile/fuorviante».
- Immediata la reazione di Enrico Piersanti , presidente
dell’Ente cinematografico vicino al Vaticano: «Mullan dice che la
Chiesa teme i giovani e li vuole reprimere. Evidentemente non legge
i giornali e non sa niente del Papa che ha chiamato i ragazzi
speranza del mondo. È un film demagogico, anticlericale». Alle
affermazioni di Mullan che le suore del suo film «non sono lontane
dai Talebani per rigidità etica», replica Gianni Baget Bozzo :
«Un falso, una calunnia. I Talebani hanno distrutto i monumenti
buddisti mentre noi cattolici abbiamo conservato l’età pagana».
Certo, riconosce Baget Bozzo, «forse dei casi eccessivi da parte
delle suore ci possono essere stati, ma i cattolici, affamati dai
protestanti, erano costretti a spingere quelle ragazze negli
istituti per salvarle dalla povertà».
In sala a Venezia c’era una suora salesiana, Anna Brunetta ,
che ha replicato così: «Sono sconvolta da quello che ho visto,
sono stata male tutto il tempo. E quegli applausi finali mi hanno
dato i brividi. Non penso sia giusto mostrare, soprattutto
considerando i tanti giovani in platea, cose del genere». Poi,
precisa: «Non ho mai saputo niente sulle "case Magdalene"
né voglio sapere nulla di più. Certo, queste cose e altre forse
peggiori possono essere accadute. Ma mostrarle così duramente è un
errore. Si confondono ancora di più idee già confuse».
Un commento anche da suor Paola , la combattiva tifosa di «Quelli
che il calcio». Per lei «il regista non sa assolutamente nulla di
cosa accadeva in quegli anni. Erano luoghi di recupero, non di
espiazione. Esistevano infatti non dei luoghi di espiazione ma di
recupero. Accostarli a ciò che sta facendo Bin Laden con i Talebani,
una vera e propria istigazione alla morte, fa capire che Mullan ha
voluto esasperare i fatti per attirare l’attenzione sul suo film».
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- Tratto da "Il Corriere della Sera" 31 agosto 2002
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Magdalene, io,
cattolico indignato
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di Vittorio
Messori
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- Alla fine della proiezione di Magdalene , Leone
d’oro a Venezia, nel cinema milanese gli spettatori hanno
applaudito. Mentre li guardavo sfollare, immerso tutto solo nella
poltrona, pensavo che - se mi avessero riconosciuto - qualcuno mi
avrebbe ingiunto, indignato, di vergognarmi di dirmi ancora
cattolico. In effetti, si sono ridotte a poche le minoranze contro
le quali la dittatura del «politicamente corretto» permette -
anzi, incoraggia - il disprezzo: fumatori, obesi, pedofili, nazisti,
cattolici. Anzi, le due ultime categorie sembrano ormai unite, come
conferma la locandina di quell’altro film, dove la croce di Cristo
si trasforma nella croce uncinata di Hitler. Forse (pensavo uscendo
dal cinema) sarebbe tempo che anche i cattolici mettessero in piedi
ciò che gli ebrei, e giustamente, hanno creato da tempo: un’ Anti-defamation
League , che rivendichi i diritti della verità e la dignità
delle persone. A cominciare da quelle suore - di sadismo e
depravazione da pasoliniana Salò -, esse pure femmine, ma che non
rientrano nei proclami del regista scozzese: «Ho voluto denunciare
la violenza imposta alle donne, a tutte le donne». Tranne a quelle,
s’intende, che hanno una croce sul petto, diffamate da Peter
Mullan che, per coltivare meglio lo scandalo, si dice «cattolico»
solo perché battezzato in quella Chiesa.
A promemoria degli spettatori, tanto indignati per quanto visto
sullo schermo quanto ignari della realtà, andranno dunque precisate
alcune cose: 1) I Magdalen’s Institutes , prima ancora che
case religiose, erano «Riformatorî giudiziari», «Case di
correzione minorile», in diretto collegamento con il ministero
della Giustizia e la magistratura della Repubblica d’Irlanda.
La gestione, affidata a congregazioni religiose (avviene tuttora
anche in Italia, dove le suore sono ancora presenti nelle carceri
femminili e in molti altri, civilissimi Paesi del mondo), era
sottoposta al controllo degli ispettori dello Stato, che esigeva
dalle suore rigorosa sorveglianza e disciplina sulle ospiti e teneva
le monache responsabili in caso di fuga o rivolta. 2) La grande
maggioranza delle ricoverate era composta da giovanissime inviate
negli Istituti con sentenza dei tribunali minorili a causa di reati
penali. A queste vere e proprie detenute, degne ovviamente di
compassione ma spesso turbolente se non pericolose, Mullan non
accenna affatto, concentrandosi su tre casi della minoranza composta
da ragazze ricoverate nelle Houses su richiesta esplicita
dei genitori. 3) Queste ospiti erano immediatamente dimesse se i
genitori o i tutori lo richiedevano, come ammette il film stesso,
dove basta l'arrivo di un fratello con la lettera del parroco del
villaggio per permettere a una delle ragazze di far subito le
valigie.
4) Il lavoro manuale era imposto dalla convenzione con lo Stato, sia
per fini «rieducativi» che per intenti economici: almeno parte
della spesa per la gestione dei Riformatorî doveva rientrare grazie
all'attività delle lavanderie, i cui clienti erano soprattutto
Ferrovie dello Stato, accademie militari e altri enti governativi.
Dei soldi che, ossessivamente, è fatta contare dal regista, la
Superiora doveva rendere ragione al ministero della Giustizia oltre
che alla sua Congregazione religiosa. 5) Come ha ammesso Mullan
stesso, in Gran Bretagna le Case di correzione minorili (gestite,
qui, dalla Chiesa anglicana) non differivano da quelle irlandesi,
quanto a regolamento sostanzialmente carcerario. Nei mitici,
esclusivi, costosi colleges , essi pure anglicani - da
Oxford, a Cambridge, a Eton - dove si allevavano i rampolli delle
migliori famiglie dell'Impero, i ragazzi non erano trattati molto
meglio: anche qui erano in vigore, tra l'altro, le punizioni
corporali, con fruste, bastoni, digiuni imposti, inginocchiamenti in
pubblico. 6) Non a caso Mullan ha scelto per il suo atto d'accusa il
1964. Uno degli ultimi anni, cioè, dell' Ancien Régime :
sia per la Chiesa, alla vigilia della svolta del Postconcilio, sia
per la società civile, prossima a quel Sessantotto che avrebbe
determinato un cambio totale di sensibilità e di prospettive. Come
al solito, anche qui si cade in quello che per gli storici è il
peccato mortale: giudicare con le categorie attuali, con la vulgata
corrente, una cultura passata, anche se solo da quarant'anni ma
che valgono secoli.
7) Ogni comunità umana ha le sue oscurità. Ma si offendono gli
spettatori, se si vuole far credere loro che delle suore potessero
dilettarsi a far mettere nude, prima di cena, le loro ospiti,
giocando a stabilire chi avesse i seni più grandi, le natiche più
provocanti, il pube più villoso. Vizi e deviazioni esistevano e
esistono anche nelle famiglie religiose, ma clandestini ( si non
caste, tamen caute ): il semplice sospetto di trastulli sessuali
così esibiti, avrebbe provocato un'immediata inchiesta canonica,
portando alla dispersione della comunità. Altrettanto assurdo, per
chi conosca le regole religiose, il tocco sadico delle suore che
ogni giorno banchettano fastosamente davanti alle ragazze che
trangugiano la loro sbobba. 8) Tutto il film è costruito per dare
allo spettatore un senso di oppressione, il mancamento di aria e di
libertà di una società gravata dal peso dispotico, oscuro della
Chiesa. Ma la storia dell'Irlanda racconta qualcosa di diverso: per
difendere quei suoi preti, quelle sue suore, quei suoi vescovi,
questo popolo ha sopportato secoli di martirio inflitto dai
protestanti inglesi e ancor oggi lotta nelle contee del Nord. Questo
popolo, di cui il non irlandese Mullan vorrebbe ricordarci le
sofferenze inflitte dalla casta clericale, in realtà ha disseminato
la sua fede, con ostinazione eroica, in un Commonwealth ostile,
fondando la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, in Australia, nella
Nuova Zelanda. Non a caso la cattedrale di New York è dedicata a
San Patrizio, patrono d'Irlanda. Un popolo, questo, che, spinto da
miseria e persecuzioni, è partito dalla sua isola a villaggi
interi, a stendardi dei santi spiegati, con alla testa proprio il
parroco e le suore. Magdalen's Sisters comprese.
Tratto da "Il Corriere della Sera" 14 settembre 2002
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