<<<-salva o stampa il file, leggerai con più comodo

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

 

 Dibattito sul crocifisso nelle aule

 

 

Letizia Moratti: il crocifisso tornerà nelle aule

Amos Luzzatto: sono perplesso e preoccupato

Ferdinando Adornato: una decisione che condivido, ma non usiamolo contro le altre culture

Il calvario dei simboli  di Gaspare Barbiellini Amedei

Joseph Ratzinger: è un segno d'amore e tolleranza, deve essere il popolo a chiederlo

Il crocifisso non è di tutti  di Gian Enrico Rusconi

Il Crocifisso di don Milani  di Vannino Chiti

 

 

Letizia Moratti: il crocifisso tornerà nelle aule
Il ministro: ha un valore storico universale; i leghisti: esponiamolo in tutti i luoghi pubblici

 

Il crocifisso tornerà nelle aule da dove, un po’ alla volta, è sparito. L’annuncio, che segue di qualche giorno l’appello del Papa, è stato fatto dal ministro Moratti. «Il crocifisso - ha detto - rappresenta un simbolo della civiltà cristiana, della sua radice storica e del suo valore universale, che sono elementi essenziali del patrimonio storico e culturale del nostro Paese». La notizia ha sollevato critiche ed entusiasmi. La Lega Nord si è subito detta favorevole all’affissione della croce sulle pareti di tutti i luoghi pubblici. E ha rilanciato una sua proposta di legge ad hoc , sottoscritta da novanta deputati del centrodestra e anche da quattro esponenti della Margherita, suscitando la preoccupazione delle comunità ebraiche. Nessuna polemica, invece, ma una condivisione «piena e totale» da parte del ministro per l’intervento del capo dello Stato alla cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico. Viale Trastevere ha risposto con un secco comunicato a chi ha interpretato il discorso di Ciampi come una critica alle riforme del ministro. LA PROPOSTA - La Moratti si è impegnata a far rispettare la legge ricordando, con il sostegno di una sentenza del Consiglio di Stato, che l’affissione del crocifisso non viola assolutamente la Costituzione. «Sono personalmente e profondamente convinta - ha risposto ad un’interrogazione parlamentare di Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, nella quale si chiedevano spiegazioni sulle regole dell’esposizione del simbolo cristiano in luoghi pubblici - che le considerazioni del Consiglio di Stato siano del tutto condivisibili e mi pare doveroso assicurare che il crocifisso venga esposto nelle aule scolastiche a testimonianza della profonda radice cristiana del nostro Paese e di tutta l’Europa». Il Consiglio di Stato, con una sentenza del 1988, ha sancito che la norma sull’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici è tuttora in vigore e va applicata, essendo una legge dello Stato. Il ministro ha annunciato che la materia sarà presto disciplinata «in maniera chiara e certa».
IL CROCIFISSO - «I crocifissi in un numero elevato di scuole sono stati defissi spesso per cause contingenti e in molti casi non sono stati più riappesi - ha ricordato Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp) -. Si tratta di una situazione di fatto quasi mai derivata da una presa di posizione della scuola, ma che contrasta con la norma concordataria che prevede l’affissione. Lo stesso è accaduto per la foto del presidente della Repubblica». Il Regio Decreto del 1928 che imponeva agli enti locali di fornire agli istituti il simbolo della cristianità e una legge successiva che stabiliva l’obbligatorietà dell’affissione della foto del Presidente, stampata dal Poligrafico dello Stato, sono andati in desuetudine negli ultimi decenni. Il problema è esploso quando anche le scuole sono state coinvolte nelle proteste in nome della parità di tutti i cittadini, cattolici, atei o di altre confessioni, di fronte alla legge.
LE REAZIONI - L’annuncio del ministro ha ridato fiato alle polemiche. L’Unione musulmani d’Italia, che da poco aveva rinnovato la richiesta di allontanare il crocifisso dagli edifici pubblici, reagisce duramente. «Stiamo prendendo provvedimenti - ha dichiarato il capo dell’Unione, Abdel Smith - ricorreremo ai tribunali e non escludiamo di portare il caso alla corte per i diritti umani di Strasburgo». Gli ebrei italiani hanno espresso preoccupazione per la proposta della Lega Nord. «Avvertiamo il pericolo - dicono dalle comunità ebraiche - che questo provvedimento, se approvato, possa aprire la strada ad uno scontro di civiltà». «Sul crocifisso nelle aule, il ministro Moratti offende laici e cattolici insieme, umiliando le intelligenze», ha affermato Mauro Romanelli, responsabile scuola dei Verdi. L’iniziativa è invece piaciuta a Baget Bozzo. Il prete politologo ha affermato che il ministro difende il crocifisso non solo come simbolo di una confessione ma della civiltà dell’Occidente». «La Moratti - ha osserva Riccardo Pedrizzi, responsabile di An per le politiche della famiglia - ha fatto chiarezza, sgombrando il campo dagli equivoci una volta per tutte e assumendosi un impegno ben preciso».
IL MINISTRO - «Condivido pienamente e totalmente le parole del presidente Ciampi - ha detto il ministro Moratti - e sono felice che il presidente Ciampi abbia indicato che le risorse da destinare all’istruzione sono centrali nell’attività di governo». E’ la secca replica di Viale Trastevere agli esponenti del centrosinistra che hanno letto nel discorso del Capo dello Stato una critica all’operato del ministro.

Giulio Benedetti

Tratto da "Il Corriere della Sera" 19 settembre 2002

 


Amos Luzzatto: sono perplesso e preoccupato

 

«Cosa metterei nelle aule delle scuole italiane? La doppia elica del Dna, l’unico simbolo del genere umano punto e basta. A prescindere dal colore della pelle, dalla lingua, dalla religione, insomma da tutto quello che dovrebbe essere solo un particolare». Amos Luzzatto è il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Si dice «perplesso e preoccupato» per l’idea di tornare al crocifisso in classe.
Perché?
«Basta guardare le date. Il ministro Moratti fa appello ad un regio decreto del 1928. Bell’esempio di modernità: siamo nel 2002, peraltro quasi alla fine dell’anno. E la Repubblica tira fuori dal cassetto una cosa di settanta anni fa. Sarebbe meglio guardare avanti, non ad un passato di cui certo non possiamo andare fieri».
Che cosa è cambiato da allora?
«Tanto, per fortuna. C’è stato un movimento migratorio di grandi dimensioni. E la nostra società, anche se a qualcuno non piace, è diventata multiculturale».
La Lega, però, vuole mettere il crocifisso non soltanto nelle scuole ma in ogni luogo pubblico.
«Peggio ancora. Forse non sta a me dirlo ma la tradizione cristiana è fatta di accoglienza. Qui, invece, si fa l’esatto contrario: si vogliono creare divisioni, separare la gente che si considera a posto da quella che vive in Italia come ospite, che deve rigare diritto e, soprattutto, non creare problemi. Non è un bel modo di aprire le braccia al forestiero».
C’è chi dice che il crocifisso è il simbolo della nazione, come il ritratto di Ciampi il simbolo dello Stato.
«E’ solo uno dei simboli. E non è il simbolo di tutti. Comunque, usato così è un avvertimento contro i musulmani. E allora cosa si farà domani contro gli induisti? E il giorno dopo ancora contro gli ebrei? E’ un meccanismo a catena difficile da fermare».
Per questo propone la doppia elica del Dna?
«Oramai è un simbolo conosciuto da tutti. E nelle scuole sarebbe perfetto. Perché in classe bisogna insegnare ad aprire gli occhi verso gli altri. Non a sottolineare le differenze».

Lorenzo Salvia

Tratto da "Il Corriere della Sera" 19 settembre 2002

 

 

Ferdinando Adornato: una decisione che condivido, ma non usiamolo contro le altre culture

 

« Il crocifisso non rappresenta una confessione religiosa, identifica piuttosto una tradizione nazionale come la nostra, che è cristiana». Ferdinando Adornato, presidente della commissione Cultura alla Camera, un curriculum di sinistra prima del passaggio a Forza Italia, distilla il concetto con attenzione: «Il mio è un punto di vista laico. Il crocifisso va esposto nelle scuole e negli uffici pubblici, come simbolo della nazione, accanto al ritratto del presidente della Repubblica, simbolo dello Stato». È sicuro di esprimere un concetto laico?
«Mi dispiace che di queste cose si debba ancora discutere, ma spero che serva a rifondare la nostra identità nazionale, accogliendo l’appello del presidente Ciampi».
Ciampi invita all’integrazione culturale e religiosa nelle scuole, mentre il capogruppo della Lega alla Camera, Alessandro Cè, chiede l’esposizione del crocifisso alla stazione, «contro gli stranieri che vogliono farla da padroni e l’attacco degli islamici insolenti».
«La proposta della Lega di rendere il crocifisso obbligatorio in ogni luogo pubblico dev’essere inquadrata in un dibattito politico dove alcuni difendono da una parte il diritto delle donne afghane a indossare il chador e dall’altra chiedono che il crocifisso, nel rispetto delle altre identità religiose, venga rimosso dalle aule scolastiche».
Cosa risponde al presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, Amos Luzzatt o, che vede nella proposta della Lega una pericolosa intolleranza?
«Mi sembra eccessivo. Qui si tratta soltanto di avere nei luoghi di lavoro e di studio i simboli della nostra identità nazionale. Il crocifisso rappresenta l’universalità dell’Occidente. Non a caso si parla di tradizione giudaico-cristiana. Il messaggio di Cristo è aperto a tutti. La Chiesa ha sempre divulgato un messaggio di accoglienza, di unità e dialogo tra tutte le religioni».
E la Lega?
«Il crocifisso non può essere impugnato contro culture diverse dalla nostra. Ma un dialogo non si basa sull’annullamento della propria identità. Io non credo che nella storia recente del nostro Paese sia mai venuta meno la capacità di accogliere le culture diverse. Sono mancati, semmai, l’orgoglio e la passione nel difendere la nostra identità» .

Claudio Lazzaro

Tratto da "Il Corriere della Sera" 19 settembre 2002

 

 

Il calvario dei simboli

di Gaspare Barbiellini Amidei

 

Povera scuola. Fra infantilismi ideologici, remore corporative e strumentalizzazioni politiche antiriforma, risparmiamole l’imprevisto coinvolgimento in una guerra fra simboli. Crocifisso sì-Crocifisso no, non fatene l’ennesimo slogan. Con la grande assemblea di tutte le religioni del mondo in Assisi, poco dopo l’attacco a Manhattan, Karol Wojtyla offrì una lezione definitiva sui modi di vivere fede e identità cristiana accanto ad altre fedi e ad altre identità. Che sia opportuno avere il Crocifisso ospite dei luoghi pubblici dove la gente studia e lavora è nella logica di una società cristiana nelle radici e nelle abitudini di parte cospicua della popolazione. Che questo recupero di memoria debba essere sereno e rispettoso delle convinzioni e delle abitudini altrui è nella coerenza del nostro tempo, laico e multietnico. Fra qualche giorno entrerà a Milano il nuovo arcivescovo della Chiesa ambrosiana, Dionigi Tettamanzi, fino a ieri cardinale di Genova. Prendo questa città come esempio. Nelle sue scuole 16.857 genitori vengono da cento diverse nazionalità e da molte fedi. Tanti sono i loro simboli. La croce sul petto dei guerrieri che andavano in Terrasanta faceva paura agli «infedeli». Oggi la Chiesa cattolica non chiama nessuno «infedele». Il suo Crocifisso non può far paura, perché è un simbolo «per» e non «contro».
C’è un duplice fraintendimento culturale e politico nelle reazioni alla richiesta di Giovanni Paolo II di riportare in aula il Crocifisso e all’impegno preso dal ministro della Pubblica istruzione. Non si coglie il senso delle parole del Pontefice se ci si affida ai riflessi condizionati dell’ultimo anticlericalismo. Si distorce il discorso di Letizia Moratti se lo si colloca in un contesto «revanscista».
Dove il Crocifisso torna in classe, si ripara soltanto il gesto di ignoranza di chi lo tolse. Il Crocifisso non è segno di una supremazia etnica. Fra i fedeli il fondamentalismo non è oggi assillo cattolico, ma di altre religioni. Ora c’è però chi vorrebbe censire le aule dove il Crocifisso è stato tolto e sapere nome e cognome di chi ha ordinato di farlo. A qualcuno potrebbe anche venir voglia di compilare la lista dei ragazzi che non frequentano l’ora di religione. Lungo questa strada forse si possono avere muri gremiti di immagini cristiane, ma le chiese diverrebbero via via deserte. La scuola ha invece diritto di vedere ricollocata la questione del crociano «non possiamo non dirci cristiani» dentro la cornice culturale che le spetta. A scuola si imparano le ragioni di storia, di filosofia, di storia dell’arte e di storia della pietà cristiana che rendono degna l’ospitalità di questo simbolo. Trascinare il tema nella baruffa politica è cattiva pedagogia.
I bambini non capiscono. Cristiani, ebrei o musulmani che siano, non capiscono perché onorare il figlio di un Dio che morì in croce per amore degli uomini di ogni radice sia un’offesa per chi prega altri Dei. Non capiscono neppure perché l’ostilità per lo straniero dovrebbe nascondersi dietro questi simboli d’amore.
Non tutto poi si riduce a visibilità, anche negli anni dell’impero (tele)visivo. Giovane filosofa ebrea convertita al cristianesimo, Edith Stein morì in un campo di sterminio nazista amorevolmente avendo al collo una catenina con il Crocifisso e cucita sul petto la stella di David. Si può regalare alla scuola italiana una lezione su questa donna, magari anche un suo ritratto. Il ritratto del giovane ebreo morto per l’umanità sulla croce è patrimonio del mondo. Non è questione di imporlo agli ignoranti che non lo sanno. La scuola può aiutare a superare questa ignoranza.

Tratto da "Il Corriere della Sera" 21 settembre 2002

 

 

Joseph Ratzinger: è un segno d'amore e tolleranza, deve essere il popolo a chiederlo

 

Gli chiedono dei crocifissi nelle scuole e lui ha un lampo negli occhi chiari, «noi abbiamo avuto una discussione diversa, in Germania: negli anni Trenta i nazisti volevano togliere le croci dalle aule e fu una situazione di vera resistenza dei laici, c'erano madri che andavano in massa nelle scuole, così da non poter essere incarcerate, portando i crocifissi. È stata una piccola guerra civile, il punto in cui l'anima cristiana si oppone e dice: non toglieteci questo segno che ci garantisce la nostra dignità umana, la nostra cultura, il nostro umanesimo».
Il cardinale Joseph Ratzinger è il prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, perciò i riferimenti non sono casuali. I musulmani si sentono offesi? «Bisognerebbe far capire meglio ai nostri concittadini islamici cosa dice questo segno sul quale è costruita la nostra cultura: è il segno del Dio che ha compassione con noi, che accetta la debolezza umana, apre tutti uno all'altro e quindi crea la relazione della fraternità». Si parla di discriminazione? «Sono espressioni di una certa intolleranza». Ci sono forze, come la Lega, che al contrario vogliono usare il crocifisso come fosse un monito? «Cerchiamo il modo più giusto per dialogare con gli altri e far capire il significato autentico di questo segno». E infine, lo Stato può imporre la presenza del crocifisso? «Ma no, non può essere imposto dall'alto, dev'essere qualcosa che viene dalla tradizione, dal popolo che lo chiede».
Questione di libertà, non si tratta d’imporre la rimozione né la presenza del crocifisso, «un segno di tolleranza e amore per gli altri». La stessa tolleranza che il cardinale chiede per i fedeli: «Grazie a Dio, presso di noi nessuno si può permettere di deridere ciò che è sacro per un ebreo o per un musulmano. Ma si annovera fra i diritti quello di dileggiare e coprire di ridicolo ciò che è sacro per i cristiani». Il cardinale Ratzinger ne ha parlato ieri, a Trieste, invitato dalla Fondazione Liberal che gli ha assegnato il premio liberal/Trieste «per l'importanza delle sue riflessioni sui valori che dovrebbero ispirare la Costituzione europea». Non ha voluto intervenire direttamente nella questione innescata dall'intervento del ministro Letizia Moratti, «è di competenza della Cei, del resto non ho seguito la vicenda e le decisioni concrete saranno prese dalle autorità competenti».
Ratzinger ha ricordato il tentativo dei nazisti, ma anche una polemica più recente: «Qualche anno fa, in Germania, la discussione è riesplosa quando la Corte costituzionale decise che la tolleranza escluderebbe la presenza dei crocifissi negli uffici pubblici. Noi non siamo sincronizzati, in certe parti i cattolici non ci fecero caso, ma in altre la resistenza fu tale che la Corte ha dovuto accettare la volontà popolare: poter vedere un segno che non offende nessuno». Il cardinale sorride, «non vorrei interferire nelle cose italiane, ma penso che l'Italia sia un Paese molto più cattolico del nostro!». Certo, considera, «in circostanze simili il crocifisso va reinterpretato. Forse c'erano incomprensioni, persone informate male che conoscono solo la storia delle Crociate. Si tratta di mostrare cosa quel segno rappresenta realmente: la nostra fede in un Dio che ci accetta e ci ama tutti, il segno di una cultura che ha costituito e costituisce l’Europa e non si oppone alla fraternità ma anzi aiuta l'apertura reciproca perché difende la pace e l'umanesimo, non solo cristiano».

Gian Guido Vecchi

Tratto da "Il Corriere della Sera" 21 settembre 2002

 

 

Il crocifisso non è di tutti

di Gian Enrico Rusconi

 

LA questione del Crocifisso in aula è tuttaltro che nuova. Ma ora viene politicamente rilanciata sulla base di alcuni equivoci.

Il primo parte dall’abuso e dalla politicizzazione della tesi, continuamente ripetuta, delle «radici cristiane dell’Europa». Si tratta di un’evidenza storica che ha, tuttavia, confini cronologici remoti ed indeterminati.

Soprattutto pretende di fermare e fissare l’identità europea alle soglie della modernità. Tutto ciò che viene dopo - l’Europa laica dei diritti dell’uomo e del cittadino - è trattato come un fenomeno irrilevante, secondario.

Addirittura è presentato da alcuni come frutto indiretto di tali origini cristiane. Questa posizione è sbagliata: la laicità è costitutiva dell’identità storica europea.

L’Europa ha certamente radici cristiane, ma ha maturato e sviluppato la sua identità attraverso ragioni e comportamenti laici.

Questi non entrano in contraddizione con le radici storiche cristiane - anzi sono in sintonia - sintanto che il riferimento a quelle origini non viene usato in modo strumentale.

E’ quanto invece sta accadendo ora con l’imposizione dall’alto del Crocifisso, che crea un altro equivoco: il Crocifisso infatti non viene presentato come segno specifico e positivo di fede religiosa, che legittimamente si distingue dalle altre. Ma come un veicolo di universalismo.

La proposta di legge, presentata, dice che: «Il Crocifisso è emblema di valore universale della civiltà». In realtà questa affermazione può essere fatta soltanto in una interpretazione tutt’interna alla nostra cultura.

Ma non è evidente per le altre culture. Soprattutto se e quando viene usata per riaffermare polemicamente la nostra differenza di cultura contro altre culture.

E si lancia l’allarme di una incombente minaccia per la nostra stessa identità. Nasce così una forte contraddizione: un emblema che si vuole universalistico viene usato come riaffermazione della propria particolarità e differenza.

Trovo inopportuno che questo ruolo venga affidato proprio al Crocifisso sulla parete. Il riaprirsi di tutta la questione è sintomo dell’esistenza di un problema di fondo: il bisogno di una ridefinizione più netta, solida e precisa della nostra identità collettiva europea.

Temo ora che inizierà una equivoca e strumentale battaglia ideologica. L’attuale situazione giuridica delega di fatto alle singole autorità e comunità scolastiche la decisione se collocare o no il Crocifisso in aula.

E’ un modo ragionevole di affrontare il problema, perché consente una discussione partecipata e quindi una decisione condivisa negli stessi luoghi educativi. Questo è il nostro universalismo: scambiare ragioni e decidere insieme, anche con appartenenti ad altre culture.

Questa è la forza della nostra cultura, che ha radici cristiane ma oggi ragiona laicamente (come mostrano del resto molti cristiani).

E’ assurdo pretendere di risolvere la questione dall’alto, con intimidazione, come vuole l’attuale maggioranza di governo che fornisce un altro esempio di quanto poco sia «liberale».

Tratto da "La Stampa" 20 settembre 2002

 

 

Il Crocifisso di don Milani

di Vannino Chiti

 

«Arrivò persino a togliere il crocifisso dalle pareti perché non doveva esserci neppure un simbolo che potesse far pensare ad una scuola confessionale. La decisione scatenò un putiferio di polemiche perché il locale era lo stesso dove tenevano le riunioni l'Azione Cattolica e le altre associazioni parrocchiali». Il protagonista di questa scelta non è un extracomunitario di religione islamica né un ateo irridente ai valori della fede religiosa, né un oppositore delle meschinità agitate dagli esponenti della Lega Nord o dal ministro della pubblica istruzione del governo di destra. È don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che, a trentacinque anni dalla morte, continua a parlare, a richiamarci ad una coerenza forte fra i comportamenti concreti ed i propri convincimenti ideali, ad una attenzione ai poveri ed agli oppressi.
E al valore di una scuola che sia capace non di escludere, di bocciare ma di formare, istruire, interessare perché - come si legge in ettera ad una Professoressa - «nessun ragazzo è negato alla scuola, il segreto è saper muovere le corde giuste».
Mi è capitato in questi giorni di leggere un bel libro di Mario Lancisi, giornalista de “Il Tirreno”, sul priore di Barbiana: “Il segreto di don Milani". Mi ha interessato, del libro, la ricostruzione non solo della vita esteriore, delle posizioni di don Milani, o le testimonianze rese alla sua opera (dal cardinale Piovanelli, a Toscani, da don Luigi Ciotti a Castellitto, da Andrea Riccardi a Jovanotti) quanto la messa in evidenza della sofferenza di don Lorenzo, dei suoi stati d'animo di solitudine ed anche infelicità, per l'incomprensione di parte delle gerarchie ecclesiastiche, per il senso a volte quasi di un fallimento e comunque di estraneità, di non riconoscimento da parte della Chiesa, della sua esperienza pastorale. E la forza che ogni volta ritrovava nella sua spiritualità, nella sua fede, ma insieme nel rapporto con gli altri, il suo popolo in carne ed ossa, soprattutto i suoi ragazzi. Colpisce, a distanza di tanto tempo, la modernità del suo stare all'interno della istituzione, ma in modo libero, responsabile. Mi riferisco a quella che è stata definita la sua «ribellione obbedientissima», fedeltà alla Chiesa ma originalità nel dar vita ad una forma di dialogo pubblica. Leggendo le pagine di Lancisi mi sono venute in mente le parole spese su questi temi non solo da Bossi o dal ministro della controriforma della scuola ma da un neofita raffinato dell'ideologia della destra come Ferdinando Adornato.
Dice Adornato: «Il crocifisso non rappresenta una confessione religiosa, identifica piuttosto una tradizione nazionale come la nostra, che è cristiana».
Ecco il punto: qui si regredisce a secoli prima del concilio Vaticano II. Non è solo l'uso strumentale di una fede religiosa che dovrebbe provocare sdegno: è la riduzione del crocifisso a simbolo di una nazione e poi, su questa strada, come è già avvenuto nel corso della storia, di una nazione contro l'altra e forse oggi di una civiltà - l'Occidente - contro le altre. Invece il cristianesimo dei don Milani, dei Balducci, del Concilio Vaticano II è liberazione umana e salvezza, è apertura agli altri, accoglienza, non violenza.
La Croce del Cristo, per credenti e non redenti, ha segnato uno sparti acque nella vicenda storica e richiama a tutti il significato di un sacrificio di sé per gli altri oltre ogni limite, richiama noi tutti a non dimenticare la ricerca di un senso della vita, a non banalizzare le domande su chi siamo ed anche sulla nostra morte. Ciascuno può guardare a quella Croce come ad una speranza, che comunque è comune a tutti e non bestemmiarla come un segno di esclusione e di visione. Scriveva padre Balducci, che a lungo collaborò anche con “l'Unità”, a proposito della scuola: il momento educativo, che è laico, è pertanto «già evangelico se è un momento in cui si realizza il passaggio dalla subalternità all'autonomia».
Già, è così, ma è difficile farlo capire ad un governo di destra che vuole riportare la scuola a prima degli anni sessanta, imponendo a tredici anni una scelta di vita, quella tra istruzione ed avviamento al lavoro.
È possibile invece richiamare noi tutti - sinistra, area cattolica nelle sue differenti espressioni ed organizzazioni - al valore fondante della laicità, senza la quale vacillerebbe ancor più, nelle sfide aperte dalla società contemporanea e dal bisogno di una rifondazione delle forme della rappresentanza, la stessa democrazia.
L'approdo della laicità è una delle grandi scelte del concilio Vaticano II, e determina una caratterizzazione non confessionale del cattolicesimo, non pregiudizialmente ostile al mondo nel suo divenire concreto una sua non contrapposizione alla democrazia.
Di più, la laicità è per tutti il collante decisivo di una società nella quale sono chiamati a vivere ed a costruire il futuro donne ed uomini diversi per colore della pelle, religione, cultura ma uguali per un dato essenziale, l'essere persone, con diritti, doveri, dignità, ansia di giustizia e di promozione.

Tratto da "L'Unità" 21 settembre 2002

 


_________________________________________________________________