Dalla
lontana Nairobi, apprendo con profondo orrore che anche
l’Italia ufficialmente entra in guerra. Con un voto scellerato
del Parlamento, il tanto decantato tricolore si renderà
complice e autore di morti di migliaia di civili, di assurde
stragi, di bombardamenti su città, villaggi, su popolazioni
inermi, ridotte alla fame da condizioni di vita disperate. Un
voto di una gravità inaudita quello del nostro Parlamento, che
colloca l’Italia in una pagina nera della storia del mondo,
una pagina listata a lutto e datata mercoledì 7 novembre 2001.
A lungo porteremo con noi le conseguenze tragiche di quel voto,
perché con quel sì alla guerra, non soltanto avalliamo
decisioni politiche partorite dall’Impero, ma perdiamo anche
una grande occasione: quella di dire no agli orrori, quella di
dare finalmente a questo Paese dignità e spessore in un momento
così fondamentale per le relazioni internazionali.
La mia costernazione non sarà mai abbastanza rispetto agli
effetti che quel voto “sporco” sarà capace di produrre. Dai
ghetti-discarica di Nairobi, dove milioni di persone vivono
ammassate una sull’altra, dove i liquami degli scarichi
fognari penetrano nelle baracche disegnando solchi di una puzza
insopportabile, dall’Italia mi sarei aspettato notizie più
confortanti che non uno squallido e stupido trionfalismo
guerrafondaio. Tanto più squallido e tanto più stupido in
quanto sostenuto da quegli esponenti del centrosinistra che
sembrano aver dimenticato i valori dell’uomo, del vivere
civile, del rispetto delle culture altre. E scelgono di
imbracciare il moschetto. Le parole di Rutelli e degli altri
guerrafondai della sinistra pesano come macigni sulla storia del
nostro Paese e io mi domando: ma che sinistra è mai quella che
spedisce i popoli all’inferno? Già prima del 13 maggio, avevo
avvertito il pericolo che poteva provenire da una maggioranza
parlamentare di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Oggi
quel pericolo è una realtà e i risultati sono sotto gli occhi
di tutti. Gli italiani dovrebbero riflettere sull’affidabilità
di un premier che scende in piazza a sostegno della guerra e su
una parte consistente del centro-sinistra che arriva ad
ossequiarlo.
Mercoledì 7 novembre, l’Italia che ha detto sì alle bombe,
nello stesso tempo ha calpestato la propria Costituzione, quella
che all’articolo 11 dice testualmente: «L’Italia ripudia la
guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli....». Possibile che la gravità di questa cosa lasci
indifferente il Presidente della Repubblica, che della
Costituzione deve farsi garante? Mi giungono notizie di appelli
alle famiglie italiane perché tengano un tricolore in casa: ma
a queste famiglie, viene detto che quel tricolore da oggi è
macchiato di sangue?
Ci vogliono far credere che quella votata mercoledì sia una
guerra necessaria, contro il terrorismo, uno strumento
indispensabile per ridare all’Italia quel ruolo che le
competerebbe a livello internazionale. Mai ascoltate tante
falsità in una sola volta. Guerra necessaria è un binomio
creato ad arte da chi pensa soltanto ai propri spudorati
interessi, da chi non conosce le vie del dialogo e della pace,
da chi non ha nessuna considerazione della vita umana. Ogni
guerra fa stragi di civili e così sarà anche in questo caso.
Lo sa il presidente Ciampi? Guerra al terrorismo è concetto
altrettanto falso, perché altrimenti dovremmo combattere tutti
i terrorismi, tutte le ingiustizie, tutte le stragi. Ma così
non è. Che cosa dovremmo pensare, allora, di chi uccide 30-40
milioni di persone ogni anno? E’ il numero dei morti
“dimenticati”, morti di fame, di malattie, morti in
conflitti regionali dei quali nessuno parla, bambini morti per
sfruttamento sul lavoro, per schavitù: il ricco occidente non
può dirsi estraneo a queste tragedie.
L’appuntamento che si è dato oggi a Roma il popolo della pace
è di quelli da non perdere, perché far sentire alta la propria
voce oggi contro questo vergognoso interventismo diventa più di
un dovere, diventa, questa sì, una scelta necessaria per
indicare le vie della non violenza, del dialogo, della
giustizia. Da questa lontana terra, anche io griderò «non sono
d’accordo». Tra qualche anno ci diranno che avevamo ragione.
Speriamo che non sia troppo tardi.
10
novembre 2001
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