Fino a pochissimo tempo fa per
gli occidentali la guerra, cioè il conflitto armato fra due
popoli per risolvere un conflitto che non è stato possibile
comporre altrimenti, era il tabù dei tabù, era considerata
blasfema, oscena, pornografica, era stata proibita e
scomunicata. Al punto turbava il nostro cuoricino di «anime
belle» che, con le budella contorte per lo spasmo della
coscienza, andavamo a fare la guerra, chiamandola «operazione
di pace» (peace keeping), per impedire quelle altrui, che
in nulla ci riguardavano, come avevamo fatto a Bassora
impedendo all'Iran, che era il Paese aggredito, di cogliere
il frutto di una vittoria che aveva conquistato sul campo di
battaglia e che gli era costata un milione di morti.
Come eravamo puri. Come abbiamo fatto in Bosnia, dove
tre popolazioni avevano legittime ragioni di contendere
difficilmente risolvibili altrimenti, anche qui alterando,
anzi ribaltando, il verdetto del campo, e in qualche modo
mandando nel nulla il sangue versato dalle tre parti, come
abbiamo fatto in Kosovo, dove pure musulmani e jugoslavi
avevano entrambi buone ragioni, decidendo che i serbi
avevano tutti i torti, come abbiamo fatto persino in Somalia
dove siamo andati a ridurre alla ragione con un ridicolo e
spettacolare spiegamento di forze (chi può dimenticare lo
sbarco notturno dei marines americani armati, oltre che di
ogni sofisticatissima arma, di occhiali agli infrarossi per
vederci al buio dei megawatt delle televisioni occidentali
convocate per l'occasione?) alcuni capi-tribù locali, da
noi definiti «i signori della guerra», che si battevano a
colpi di vecchi fucili.
Come eravamo puri, come eravamo casti, come eravamo pii,
com'era delicata la nostra coscienza e pieno di buone
intenzioni il nostro cuore, ci eravamo addirittura inventati
i «diritti umanitari», sovvertendo tutte le regole del
diritto internazionale, per poter intervenire di qua e di là
bombardando, in nome della pace s'intende, questo o quello.
Ma è bastato che per una volta fossimo noi a essere
colpiti, come è accaduto l' settembre a New York, che la
guerra ha cessato immediatamente di essere blasfema, oscena,
pornografica per ridiventare un diritto, una legittima
difesa dei popoli e delle Nazioni, e perché i nostri
giornali e le nostre piazze trasudino di quella retorica
patriottica e di quel nazionalismo la cui liceità avevamo
negato agli altri, per esempio ai serbi di Jugoslavia.Ergo:
la guerra è necessaria, indispensabile, legittima solo
quando la facciamo noi, per i nostri interessi, per la
nostra difesa o per i nostri ideali, se la fanno gli altri,
per i loro interessi, per la loro difesa, per i loro ideali,
è «assurda», proibita e bisogna andare subito a metterci
le mani. Se nelle nostre guerre, pardon: «operazioni di
polizia internazionale» uccidiamo civili, a centinaia di
migliaia, come è avvenuto in Iraq (56 mila, complimenti
generale Schwartzkopf), o a migliaia come in Kosovo, ed ora
in Afghanistan, sono «effetti collaterali», se lo fanno
gli altri sono «crimini contro l'umanità» i cui
responsabili devono essere trascinati, magari col più
odioso dei ricatti economici, davanti a Tribunali senz'ombra
di imparzialità costituiti per l'occasione, dove sediamo
sempre noi, consci della nostra purezza e della nostra
superiorità morale, affidando l'accusa al rappresentante di
un Paese, molto civile e molto lindo, che viva sul
riciclaggio di denaro fatto con la droga, col traffico
d'armi, con le truffe, con gli assassinii, col mercato degli
organi strappati ai bambini del Terzo Mondo per darli ai
figli malati di quello ricco.
Razza superiore. Abbiamo espropriato i popoli dell'«altro
mondo» quasi di ogni diritto, a cominciare da quello,
elementare, di farsi la guerra in santa pace, senza le
nostre pelose supervisioni e sanguinose intrusioni,
riservandolo solo a noi stessi, i civili, i puri, la razza
superiore. Possiamo davvero stupirci se poi, un giorno,
nasce un Bin Laden e viene sentito, non solo nel mondo
musulmano, come un giustiziere e un vendicatore di torti?
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