INVECE
DELLA GUERRA
di
ENRICO PEYRETTI
Questa guerra Nato-Serbia ci ha
lacerato, piu' che mai. Ha lacerato
dialoghi, rapporti, anche amicizie, persino famiglie. Alcuni
hanno visto che
si poteva e si doveva evitare, altri hanno valutato che non
c'era altro da
fare contro l'oppressione del Kossovo. Ora, cercando di
placare il dolore,
proviamo a riflettere tanto su questa particolare guerra,
quanto sul
fenomeno generale della guerra contemporanea, chiedendoci:
che cosa si puo'
fare, invece della guerra, in presenza di un conflitto acuto
riguardante i
diritti umani?
*
A . Prima della guerra:
- un conflitto non e' una guerra, fino a quando non lo si
pensa risolvibile
soltanto con la distruzione o sottomissione dell'avversario.
- i negoziati devono essere condotti senza ultimatum e senza
minacce (l'art.
52 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati
vieta la minaccia o
l'uso della forza nel corso delle trattative e dichiara
nullo ogni accordo
sottoscritto a seguito di tale costrizione).
- i negoziati hanno bisogno della partecipazione continua di
mediatori
civili imparziali, esperti e colti sulla storia, tradizioni,
valori,
diritti, attese delle diverse parti in conflitto.
- nelle zone di conflitto la comunita' internazionale deve
inviare e fornire
di mezzi adeguati (sempre meno costosi della guerra) un
numero grande,
abbondante di osservatori civili, conoscitori di quelle
realta' umane, a
fare da testimoni, moderatori, e possibili mediatori.
- ogni stato abbia un ministro della pace, e, nel caso di
una tensione o
conflitto, nomini un "avvocato dell'avversario",
come si fa entro ogni
ordinamento civile, col compito di cercare, ascoltare,
difendere le ragioni
dell'avversario e accusato (questo e' lo sviluppo di una
proposta di Aldo
Capitini nel 1948 e di Tullio Vinay nel 1977; cfr. Enrico
Peyretti, La
politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998, pp. 46-49).
- l'Europa non si affidi solo alla difesa militare, ma
realizzi il Corpo di
Pace Civile Europeo, proposto a suo tempo da Alex Langer,
secondo la
raccomandazione votata il 10 febbraio 1999 dal Parlamento
Europeo (v.
"Azione Nonviolenta", marzo 1999, pp. 10-13).
- L'Italia non si affidi solo alla difesa militare, ma attui
l'art. 8, punto
2, comma e), della legge 8 luglio 1998, n. 230, 230, Nuove
norme in materia
di obiezione di coscienza, per il quale l'Ufficio nazionale
per il servizio
civile ha il compito di "predisporre (...) forme di
ricerca e di
sperimentazione di difesa civile non armata e
nonviolenta". Il 14 aprile
1998 la Camera impegnava il Governo con una raccomandazione
(v. "Azione
Nonviolenta", giugno 1998, p. 14) a costituire, entro
sei mesi dall'entrata
in vigore della legge, le strutture per l'attuazione di
detto articolo.
- preventivamente, e' utile "mescolare" il piu'
possibile le parti
potenzialmente "nemiche": per esempio praticare e
incoraggiare il turismo in
terra "nemica", non ritirare il personale
diplomatico ne' evacuare i
concittadini da tali territori; cio' non lascia configurare
quella terra
come bersaglio vivente, con i suoi abitanti, e costringe a
prolungare i
negoziati invece di passare alle armi.
- nel dibattito sul conflitto l'informazione di ogni parte
deve sottrarsi
alla funzione di propaganda, che e' la prima azione bellica,
quella contro
la verita' e l'obiettivita'; per esempio deve anche
denunciare e criticare i
torti della propria parte e dare spazio alle ragioni portate
dalla parte
avversaria. La discussione deve essere centrata sull'oggetto
e non sui
soggetti.
- acquisire nella cultura politica e nell'opinione pubblica
che la guerra e'
illegittima per la suprema legge internazionale, la Carta
dell'Onu, che
contiene come prima volonta' e impegno fondativo delle
Nazioni Unite la
"decisione" di "salvare le future generazioni
dal flagello della guerra", la
quale e' dunque fuori legge, sicche' decidere una
controversia con la guerra
e' reato internazionale; inoltre, per l'Italia, la guerra e'
incontrovertibilmente illegittima per l'art. 11 della
Costituzione che
impegna a ricercare alternative non belliche anche alla
guerra di difesa. La
Carta dell'Onu, art. 51, (e la nostra Costituzione in tale
quadro) consente
soltanto la difesa militare immediata e provvisoria da un
attacco armato
diretto, con l'obbligo di deferire immediatamente la
questione al Consiglio
di Sicurezza dell'Onu.
- gli stati hanno il dovere giuridico e morale di rendere
autorevole ed
efficace la funzione dell'Onu contro le minacce alla pace,
anche mettendo ad
immediata disposizione i contingenti necessari all'azione
coercitiva
internazionale (art. 45). Questa azione di polizia dell'Onu
e' un'azione
diversa dalla guerra nella sostanza, nei fini e nell'etica:
deve usare il
minimo di forza necessaria, deve far calare la violenza,
deve operare nei
limiti della legge, mentre la guerra usa una forza crescente
ed una violenza
maggiore, eleva il tasso di violenza complessiva, opera
fatalmente fuori
dalla legge.
- diffondere la consapevolezza che quando la politica
include la guerra,
cioe' il dare in modo organizzato e premeditato la morte
artificiale ad
esseri umani, e il distruggere le loro condizioni di vita,
essa contraddice
l'idea stessa di politica, che e' l'arte del convivere
componendo e non
sopprimendo le diverse esigenze vitali e i diritti umani.
Oggi la "polis",
lo spazio della politica umana, e' l'intera famiglia umana.
*
B. Dentro la guerra:
- avere il coraggio di uscirne, che e' superiore e piu'
nobile del coraggio
di entrarvi.
- non umiliare l'avversario, perche' cio' e' stoltezza
arrogante e
disastrosa; perche' la vittoria punitiva (Versailles 1919)
non fonda ne'
assicura la pace, ma la schiaccia insieme al vinto; perche'
l'umiliazione
coltiva il revanscismo.
- de-costruire l'immagine del nemico: questa operazione di
propaganda e di
condizionamento psicologico, che sempre sta all'inizio di
una guerra,
configura il nemico come sub-umano per autorizzarne e
incitarne l'uccisione
come unico colpevole, indegno di vivere. L'operazione
informativa e
culturale contraria, restituendo umanita' al
"nemico" col mostrarne le
relative ragioni e pregi, smonta le basi interiori della
guerra.
- rispettare rigorosamente, anche unilateralmente, lo jus in
bello, cioe' i
limiti alle azioni di guerra stabiliti nelle convenzioni
internazionali e
dettati dalla ragione morale. Kant dichiara questo principio
(cui fa seguire
alcuni esempi): "Nessuno Stato in guerra con un altro
deve permettersi degli
atti di ostilita' tali da rendere impossibile, al ritorno
della pace, la
confidenza reciproca" ed aggiunge: "altrimenti non
sarebbe piu' possibile
concludere nessuna pace e l'ostilita' degenererebbe in una
guerra di
sterminio" (Per la pace perpetua, sesto articolo
preliminare, trad. di
Alberto Bosi, Edizioni Cultura della Pace). Cioe', se la
guerra uccide del
tutto la pace, quindi la fiducia e la lealta', non puo'
rivendicare la
minima razionalita' politica.
- tenere aperta e praticare largamente e abbondantemente la
comunicazione
con il nemico, in tutte le forme possibili e con tutti i
mezzi, da parte di
quanti piu' soggetti possibile, violando intensamente la
separazione
bellica, per la stessa ragione ora detta: perche' la
comunicazione in parole
umane tiene il conflitto in termini vitali e costruttivi,
che sono
radicalmente alternativi alla guerra, anche quando sono
tesi. Fin quando si
parla non si spara. L'arma espelle la parola, cioe' la forma
umana, e la
parola espelle l'arma. Quando la guerra e' scoppiata, non
sono cadute le
alternative ad essa, ma e' proprio quella l'ora di costruire
e ricostruire
accanitamente le alternative piu' opposte alla guerra.
- non cercare ne' prospettare un risultato a somma zero,
cioe' con tutto il
guadagno da una parte e tutta la perdita dall'altra (in cio'
sta il concetto
nefasto di vittoria, che impone o di cedere nella resa senza
condizioni o di
subire la distruzione), bensi' un risultato a somma
inferiore per ciascuno,
ma positiva per entrambi, che da' la maggiore probabilita'
di uscita dallo
spirito dissociato e distruttivo della guerra.
- distinguere chiaramente nel campo avverso i falchi dalle
colombe, e
cercare lealmente e apertamente contatti costruttivi con le
colombe, per
sostituire un rapporto dialogico e politico al rapporto
bellico.
- dare riconoscimento e tutela giuridica ai disertori dalla
guerra, tanto i
propri come gli altrui, onorando il loro diritto inviolabile
di sottrarsi
all'omicidio bellico in nome della comune universale
umanita'. E' la
coscienza personale, e non l'autorita' politica, che decide
moralmente se la
guerra e' giusta. Se cio' scardina il calcolo politico, non
importa; anzi,
e' molto importante per il progresso umano. Il Parlamento
Europeo, con la
risoluzione 7 febbraio 1983, riconosceva il principio
dell'obiezione di
coscienza anche durante il servizio militare. Rodolfo
Venditti commentava:
"Ogni uomo e' una coscienza in continuo cammino, in
continua crescita" (Le
ragioni dell'obiezione di coscienza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1986, p.
102; dello stesso Autore, L'obiezione di coscienza al
servizio militare,
seconda edizione, Giuffre' 1994, pp. 29-30). La nuova legge
italiana,
migliorando nettamente la precedente, stabilisce che, in
caso di guerra, gli
obiettori in servizio "sono assegnati alla protezione
civile ed alla Croce
rossa". Ma per il principio di cui sopra, essi
potrebbero rifiutare questa
collaborazione indiretta alla guerra, secondo l'esortazione
di don Milani. I
disertori stranieri sono tutelati in Italia dall'art. 20
della legge
sull'immigrazione e dall'art. 2bis della legge 390/92 per i
profughi
dell'ex-Jugoslavia, ma l'applicazione alla frontiera e'
stata spesso
manchevole.
- fare l'elogio del "disfattismo" e praticarlo
civilmente. Questo
atteggiamento, criminalizzato dal minaccioso culto della
guerra, consiste
nel meritorio "disfare" o inceppare il tremendo
meccanismo psicologico e
tecnologico che arma gli uomini e li usa come strumenti in
una
contrapposizione mortale.
- individuare e celebrare il comportamento esemplare di quei
militari,
capaci di restare o tornare ad essere piu' uomini che
soldati, i quali
difendono e proteggono, contro gli ordini, la popolazione
"nemica" (si veda
ne "Il foglio" n. 262, settembre 1999, La pace
dentro la guerra, sul caso
esemplare della medaglia d'oro commendatore Josef Schiffer,
nel 1943-45).
*
C. A chi tocca?
Tutti questi e simili atteggiamenti ed azioni sono doveri
contro la guerra
spettanti tanto alle pubbliche autorita', quanto, in ogni
caso, ai singoli
cittadini.