SINTESI
DEL CONVEGNO DI COMO SULLA NONVIOLENZA
CON
GLI INTERVENTI DI ALBINO BIZZOTTO, CARLOS ROJAS, JEAN MARIE
BENJAMIN, NANNI
SALIO, TONINO DRAGO, LIDIA MENAPACE, MAO VALPIANA, RIGOBERTA
MENCHU', LUISA
MORGANTINI, ARRIGO (MONACO DI CAMALDOLI), HEBE DE BONAFINI
A
CURA DI MARCO SERVETTINI
[Il testo seguente e' una
libera sintesi e rielaborazione a cura di Marco
Servettini (mservettini@tin.it)
del Convegno 2001 del Coordinamento Comasco
per la Pace, "Addio
alle armi: la nonviolenza come pratica e progetto di
liberta'", svoltosi
il 16-17-18 novembre a Como]
Prima sessione: Testimoni e costruttori
di liberta'
* Albino Bizzotto:
Dobbiamo entrare disarmati dentro i
conflitti
Dopo il 45 c'e' stata una guerra
continua, ma e' stata sempre lontana da
noi; dopo la caduta del muro pero' ha
iniziato sempre di piu' ad
avvicinarsi, ed ha iniziato ad
interessarci da vicino.
Ma chi conosce meglio la verita' sulla
guerra, chi sgancia le bombe o chi le
subisce? Noi da che parte stiamo?
Se si vuole un mondo piu' giusto dobbiamo
stare dalla parte delle vittime,
bisogna adottare il punto di vista delle
vittime, che nel mondo sono la
grande maggioranza.
Ma la pace non ci capita addosso,
dobbiamo volerla e costruirla. Non
possiamo attendere che le cose ci
arrivino, dobbiamo entrarci. Pero' c'e'
chi dice che la nonviolenza funziona
prima e dopo, ma non funziona durante
la guerra: cosa possiamo fare allora,
nell'escalation della guerra?
Noi non crediamo nelle armi, le armi non
fanno parte della nostra cultura,
ma possiamo essere presenti disarmati,
per dire che siamo decisi contro la
guerra, e che vogliamo stare vicino alle
vittime. La risposta allora puo'
essere entrare disarmati dentro la
guerra, in solidarieta' alle persone che
sono vittime, e per rompere la
contrapposizioni tra le parti.
E cosi facendo abbiamo scoperto che non
e' vero che siamo inutili dentro la
guerra, abbiamo scoperto che la guerra
sono 300 mila persone assediate
(Sarajevo) ridotte alla fame, al freddo,
alla disperazione.
Della guerra che si combatte in
Afghanistan oggi noi non sappiamo nulla,
hanno deciso la guerra ma sappiamo solo
quello che la censura fa passare. Ci
dicono che vanno combattuti i terroristi,
ma dove sono? Sarebbe come
bombardare la Sicilia per sconfiggere la
mafia.
Siamo ormai orfani di regole, della
Costituzione italiana - nella quale si
ripudia la guerra, dell'Onu - vera
presenza inutile di questa situazione. Ed
invece di operare per la prevenzione, la
dissuasione, l'interposizione,
invece di cercare di andare a perseguire
i responsabili, si va ad aggredire
indiscriminatamente un intero popolo.
Oltre a non saper niente di cosa si
sta facendo a nome nostro, qual e' poi
il motivo reale per cui si fa questa
guerra? E' per il petrolio? E' per
ridisegnare le egemonie e gli equilibri
regionali e mondiali? E' per dare
fiato all'industria bellica e contrastare
la recessione? E' per eliminare
Bin Laden? L'obiettivo non e' chiaro, ma
dove vogliamo arrivare?
Avere in mano strumenti di violenza non
aiuta mai un conflitto, ma lo
complica terribilmente, ed anche
l'intolleranza porta solo allo scontro. Mai
dovremmo usare violenza per risolvere i
problemi, eppure continuiamo a
farlo. Per far coesistere le parti,
l'alternativa e' accettare il conflitto
e starci dentro con l'impegno di tutti,
ma senza violenza, senza arrivare
allo scontro, disposti a rimanere
nonviolenti, nelle regole, anche quando
qualcun altro esce dalle regole.
Mi direte che e' impossibile rimanere
nonviolenti anche quando si e'
aggrediti. Lo so, e' difficile, ma ci
dobbiamo provare. E comunque bisogna
tenere conto che stiamo parlando di
guerra, che e' sempre preparata a
freddo. E' necessario uscire dalla logica
della guerra, dei vinti e dei
vincitori. Il mio mondo non puo'
escludere nessuno, altrimenti sarebbe il
mondo dei violenti.
Le cose da fare sono:
- tornare indietro sulla decisione della
guerra, lavorare perche' abbia a
cessare. Per attenersi alla legalita', la
nonviolenza e' legalita', e alle
regole internazionali di convivenza (Onu);
- stare con i poveri: non possiamo
discriminare le vittime;
- accendere i fari e fare informazione
sui fatti nascosti.
Un messaggio finale. Ognuno di noi e'
importante nelle scelte che facciamo,
per fare si' che non sia l'economia a
realizzare la persona, ma siano le
relazioni, la cura per le persone. Ma
alla fine decidono i grandi, direte.
Ma se fossimo in metastasi, a noi
interesserebbe di piu' chi ci vuole bene e
ci sta vicino ventiquattro ore al giorno,
o l'autorita' che ci viene a
trovare e magari ci fa finire sul
giornale? La risposta e' ovvia, ed allora
pensate a quanti popoli oggi sono in
metastasi!
Non conta essere importanti, conta
sentirsi uguali e vivere insieme le
esperienze. Allora potremo fare insieme
grandi cose: costruire un mondo in
cui la globalizzazione non sia quella dei
soldi e delle cose, ma dei
diritti.
* Carlos Rojas:
Nessuno e' tanto povero da non poter dare
nulla, ne' tanto
ricco o saggio da non poter ricevere
nulla
Il silenzio non e' solidarieta', e piu'
tempo ci sara' il silenzio piu'
tempo parlera' la guerra, ed intanto i
poveri danno il loro contributo in
morti.
Pur senza avere guerre, o aids, o
ricchezze da sfruttare, in Ecuador si vive
una terribile poverta', e dopo la
dollarizzazione avvenuta nel 2000 la
situazione e' precipitata, portando costi
da primo mondo in condizioni da
quarto mondo.
Avevamo due possibilita': mettere la
testa sotto terra come gli struzzi, o
nuotare controcorrente come i salmoni.
Abbiamo scelto la seconda, abbiamo
deciso di smettere di lamentarci, ed
iniziare a lavorare nella costruzione
di alternative. Ma lo sforzo che stiamo
facendo nel nostro paese non avra'
risultati se anche qui (nel mondo ricco)
non cambiate la vostra societa'.
Oggi siamo davanti alla grande macchina
neoliberale che produce silenzio, ma
noi e voi siamo parole, comunicazione, e
dobbiamo rispettare e valorizzare
le differenze, e costruire un futuro
migliore ricordando che nessuno e'
tanto povero da non poter dare nulla, ne'
tanto ricco da non poter ricevere
nulla.
* Jean Marie Benjamin:
Possiamo accettare che esistano vittime
di serie A e vittime di serie B?
Quanto accaduto l'11 settembre e'
un'azione o una reazione? Occorre
ricercare le cause di cio' che accade: se
ci sono fatti, ci devono essere
anche le cause. Ma oggi se si analizzano
le cause si e' immediatamente
accusati di essere antiamericani.
Ora tutti scoprono l'islam, tutti parlano
di uno stato per i palestinesi,
prima non interessava. Si e' partiti
dicendo di voler difendere "la
civilta'", poi si e' parlato di
difendere il "mondo civile", ma questo
creava problemi, perche' indicava gli
altri come incivili, ed allora ora si
parla di mondo libero: libero di andare a
bombardare.
Ma quella attuale non e' una guerra,
perche' manca il nemico, gli Usa
avevano bisogno di un nemico, subito, per
l'opinione pubblica, per il loro
ruolo internazionale.
Un giorno dicono "colpiremo senza
misericordia", un altro "non colpiremo i
civili", poi chiedono ai bambini
americani di mandare un dollaro ai bambini
afgani: come facciamo a spiegare dove sta
lo spirito cristiano in tutto
cio'.
Ogni mese in Iraq muoiono 6.000 bambini
per l'embargo, crollano due torri
piene di bambini, ma questo e' il prezzo
da pagare. Possiamo accettare che
esistano vittime di serie A e vittime di
serie B? Il bilancio dell'Iraq
pero' non e' solo i morti, e' anche la
distruzione della speranza, e' anche
l'uranio impoverito. E questo e' un
problema grave anche a New York, perche'
nelle ali degli aerei c'era una grossa
quantita' di uranio impoverito,
ionizzato nell'area dopo le esplosioni.
Tempo fa ho fatto un convegno sull'uranio
impoverito, invitando anche
esperti dell'Iraq. Mi hanno promesso un
servizio importante sul
telegiornale, e dopo molte sollecitazioni
hanno concesso solo un minuto e
mezzo all'1,30 di notte, mentre da
quattro mesi non si parlava d'altro che
della contessa Vacca Augusta.
Ora vogliono farci credere che abbattuti
i talebani i problemi sono risolti.
Non riescono a trovare Bin Laden: ed il
giornalista che lo ha intervistato!?
Una organizzazione importante ed
attrezzata come quella di Bin Laden non
puo' essere in mezzo alle pietre
dell'Afghanistan, ma e' nei paesi ricchi
dell'islam, quelli piu' vicini agli Usa,
Arabia Saudita per prima. Questo e'
il problema vero di domani.
Attualmente gli Usa non hanno piu' la
situazione sotto controllo, non in
Afghanistan, ne' in Iraq, che sta
riacquistando fiducia ed aiuto tra i paesi
arabi (Siria per prima) dove si e'
formato una sorta di mercato comune che
permette di aggirare l'embargo, anche se
la poverta' imperante non permette
di giovarne. Anche l'Italia sta perdendo
l'influenza e il forte inserimento
che aveva nei paesi arabi; anche in
termini puramente economici promuovere
la fine dell'embargo avrebbe portato
enormi investimenti nella ricostruzione
dell'Iraq, per cui le trattative erano
state gia' avviate.
Seconda sessione: La nonviolenza come
progetto politico
* Nanni Salio:
Non e' piu' sufficiente un'azione di
volontariato per
cambiare la societa': servono strutture
ed organizzazione
La situazione attuale e' caratterizzata
da problemi di carattere globale,
dall'impoverimento dovuto alla
globalizzazione, al predominio e l'arroganza
degli Usa nel difendere i propri
privilegi, imponendo il loro potere
economico, politico, militare, culturale.
Non esistono forze politiche a cui si
puo' fare riferimento per una politica
nonviolenta, e la tesi dominante e' che
non esistono alternative. Invece le
alternative esistono, ma mancano gli
strumenti politici per realizzarle.
Cosa bisogna fare per cambiare rotta?
Negli ultimi anni e' nato un movimento
transnazionale, una miriade di
associazioni e singoli che e' riuscita a
far emergere i problemi legati al
fenomeno della globalizzazione. Questo
movimento non puo' pero' essere
chiamato no-global, perche' aspira
piuttosto ad una nuova globalizzazione, e
non ad una globalizzazione a senso unico.
Questo movimento, o movimento di
movimenti, ha piu' anime: c'e' chi si
rispecchia in una posizione nonviolenta,
esempio la Rete Lilliput, che pero'
ha ancora molti passi da fare per
tradurre in pratica politica l'azione;
chi in altre posizioni, come i Social
Forum. Trovare modi nuovi di pratica
e' uno degli obiettivi della nonviolenza,
per non cadere nel tranello della
violenza (vedi Genova).
La critica e i problemi sono stati
evidenziati, che cosa bisogna fare ora?
Non e' piu' sufficiente un'azione di
volontariato per cambiare la societa':
servono strutture ed organizzazione,
possibilmente in rete, che diano
solidita' e siano rivolte a creare una
propria agenda.
Occorre creare metodologie, esperienze e
pratiche economiche quotidiane che
siano praticabili ed accolte da molti con
semplicita' e con soddisfazione:
nuovi stili di vita, nuovi modi di stare
insieme.
Il bisogno di creare comunita', dalla
famiglia alle reti alla societa', e'
uno dei bisogni essenziali alienati dal
nostro sistema, che invece riconosce
solo nell'individuo l'elemento fondante,
fino ad arrivare a sostenere che la
societa' non esiste, esistono solo gli
individui.
Il movimento ha affrontato le
problematiche economiche e ambientali, ma ha
ingenuamente trascurato l'analisi delle
alternative alla guerra, al
militare, per la pace: il complesso
militare fa parte integrante del
sistema.
Soprattutto quindi occorre una
alternativa della pace, ed in questa
direzione va la Campagna di obiezione di
coscienza alle spese militari, che
pero' non ha ottenuto gli obiettivi
sperati. Lo slogan politico adottato e'
"se vuoi la pace finanzia la
pace", ed il principale scopo che auspica la
campagna e' la prevenzione del conflitto
armato, lavoro fondamentale di ogni
politica nonviolenta, proprio finanziando
i corpi civili di pace, i caschi
bianchi, e potenziando i gruppi che
operano dal basso (come ad esempio le
donne in nero).
Il numero di interventi di questi gruppi
negli ultimi dieci anni e' stato
di gran lunga maggiore di quelli dell'Onu,
ed e' importante far notare come
anche la Caritas, attraverso la
formazione di caschi bianchi, stia lavorando
in questo settore.
Bisogna pero' cercare soluzioni
istituzionali, bisogna smuovere le grandi
associazioni, che spesso fanno un
pacifismo inadeguato (non ci si puo'
fermare alla marcia Perugia-Assisi), e ad
esempio agire nei confronti di
istituzioni e banche, e tradurre gli
ideali in pratica politica quotidiana.
La propaganda ci porta a pensare in
termini di eventi e non di processi
storici. Uno slogan di questo sistema e'
"divertirsi da morire": la ricerca
del divertimento ci spinge a non pensare,
e se succede qualcosa - perfino la
morte e la guerra - e' un evento fuori
dalla storia, e' solo un episodio.
Bisogna ricostruire la storia, rileggere
e ricostruire i processi storici.
La stessa propaganda, semplificando,
spinge a dividere tra bene e male, tra
amici e nemici. I veri amici degli Usa
oggi sono quelli che hanno il
coraggio di dire la verita', e di
dissuaderli dalla loro politica
internazionale. Calza bene l'esempio del
bullo di quartiere: i veri amici
sono quelli che cercano di persuaderlo ad
abbandonare la sua prepotenza, non
sono i complici.
Una delle questioni fondamentali della
politica internazionale sta nel
petrolio: tra il 2005 e il 2010 avremo il
picco di produzione mondiale, e
gli Usa, piu' di altri, vivono di
petrolio. In questa ottica l'Asia centrale
e' fondamentale. Ma in tal senso e'
necessario contrastare un'intera
"cupola" mafiosa, non solo Ben
Laden: le famiglie Laden e Bush collaborano
da venti anni intorno al petrolio.
Il ricorso alla violenza da' l'illusione
di ridurre i tempi, ma la pace ha
tempi lunghi, e richiede un forte
impegno.
Alcuni punti chiave e proposte per
costruire la pace:
- ricercare la giustizia senza vendetta;
- attivare il Tribunale Penale
Internazionale;
- istituire una Commissione
Internazionale Verita' e Riconciliazione,
rivolta in particolare al dialogo con i
paesi islamici;
- tornare ad impegnarsi nei negoziati:
risolvere la questione
Israele-Palestina, togliere l'embargo
all'Iraq, eliminare le basi Usa in
Arabia;
- aiutare le componenti interne che
stanno lottando per la pace (ad esempio
le donne in Afghanistan): non sostenere i
signori della guerra, ma le
signore della pace;
- portare in Afghanistan pane, e non
bombe, per aiutare questa popolazione
martoriata, che da venti anni ha bisogno
di aiuti ma e' stata abbandonata e
riscoperta solo ora;
- costruire un movimento internazionale
per la pace forte e consistente;
- lavorare su dialogo, cultura,
educazione;
- uscire dall'economia del petrolio:
questo richiede un impegno immediato
personale, per iniziare a costruire
una societa' decentralizzata a bassa
potenza (gli Usa con il 4% della
popolazione usano il 25% delle risorse del
petrolio);
- smantellare il complesso militare,
industriale, scientifico; gli Usa,
applicando la loro dottrina militare, che
punta a sopprimere ed opprimere
gli altri, hanno creato un sistema
estremamente insicuro, perche' gli altri
iniziano sempre piu' a ragionare e
reagire con la stessa dottrina militare.
La figura dell'interlocutore - chi e' a
favore dell'intervento armato, della
guerra - non deve essere messa in
inferiorita': non bisogna rendere
l'interlocutore un avversario, un nemico.
Gli interlocutori non sono
monolitici, e bisogna lavorare sul
dialogo, sull'informazione, per sostenere
e promuovere una scelta piu' consapevole
e responsabile. Aprire un luogo di
pace, che serva ad informare,
collaborare, discutere con chiunque lo voglia,
senza stereotipi ne' pregiudizi, puo'
essere una via; se il contesto e'
maturo andrebbe valutata la possibilita'
di una tassazione che permettesse
di comprare, finanziare, una Casa per la
Pace.
* Tonino Drago:
La nonviolenza e' grande passione per la
politica
Non si puo' piu' fare politica con il
pensiero - volutamente - debole, che
affronta di giorno in giorno le
problematiche, ma non ha una visione ampia,
un progetto.
La nonviolenza con Gandhi ha avviato uno
dei processi piu' importanti della
storia: la decolonizzazione. E' questa la
grande novita' del secolo scorso,
non c'e' altra novita'.
La nonviolenza ha avuto prima una
ispirazione religiosa (Francesco d'Assisi,
Tolstoj. La Pira , Tonino Bello), poi con
Gandhi acquista un'ispirazione
piu' ampiamente etica. L'etica si
settorizza poi con don Milani, ed affronta
il sociale (scuola, militare). Lanza del
Vasto arriva a riconoscere la
necessita' di vivere in questa societa'
con distacco: dobbiamo essere uomini
nonviolenti al di sopra, indipendenti
dalla civilta' in cui viviamo; Gandhi
non criticava gli inglesi, ma la loro
societa' che viveva sul dominio delle
colonie. Con un passaggio ulteriore, da
Capitini a Galtung, si arriva a fare
un discorso piu' ampio sui modelli
di sviluppo.
In Italia abbiamo una tradizione
nonviolenta grandissima, non a caso e'
l'unica nazione che ha avuto una legge in
cui si parla di difesa
nonviolenta.
Ma per essere nonviolenti bisogna
scegliere, servono testimoni della
nonviolenza veri, non furbi ed
opportunisti.
La sinistra poi non capisce i problemi
della crisi globale, e la parola
chiave della politica deve essere modello
di sviluppo, ma molto raramente si
parla di modello: nessuno vuole
scegliere, ma solo gestire, cavalcare. Ma e'
questo il problema di fondo: definire un
modello di sviluppo.
In particolare sul discorso del progresso
(nucleare, biotecnologie) la
sinistra non riesce a sviluppare una
critica, perche' considera il progresso
come un miglioramento delle condizioni
dei lavoratori.
L'approccio alla politica deve passare
per i partiti o attraverso i moviment
i? Forse questo secondo e' il percorso
migliore, perche' il primo implica la
necessita' di riformare l'inadeguata
forma partito.
La nonviolenza e' grande passione per la
politica, cio' che si critica e' la
politica attuale, la forma partito. La
politica attuale e' machiavellica: ma
la storia non puo' finire con questo
stile, si dovra' iniziare a trovare
stili nuovi, dove il fine non giustifica
i mezzi.
* Lidia Menapace:
Ci sono processi di uniformazione che ci
mettono l'uniforme senza essere
militari
La guerra e' permanente perche' e' un
sostegno del sistema capitalistico,
che si ricarica follemente attraverso lo
spreco folle di tutto, la
distruzione.
Per la risoluzione dei conflitti e'
necessario un progetto: la pace e'
pratica politica che governa i conflitti,
non e' assenza di conflitti.
La nostra societa' e' impregnata di
militarismo, e ci sono processi di
uniformazione che ci mettono l'uniforme
senza essere militari.
I movimenti complessi che si vanno
formando non possono essere uniformati in
una forma specifica, come accade con i
Social Forum, ed anche le forme di
azione vanno valutate: manifestare e' un
diritto, non e' un dovere. La lotta
nonviolenta e' tipica di due movimenti:
quello sindacale e quello
femminista.
Con la Convenzione permanente delle donne
contro le guerre crediamo che la
rete o convenzione possa essere una forma
piu' adatta di collegare le varie
forme di movimento: si conviene
(converge) per una convenienza comune in un
luogo di incontro politico. La
convenzione vista quindi come patto per
azioni, per attivita'; la permanenza per
uscire dalla episodicita', perche'
e' necessaria una forma di partecipazione
politica permanente, come
permanente e' la guerra.
Oggi non esiste un progetto politico che
rigetti il ricorso alla guerra, ma
le guerre non risolvono i conflitti,
fissano dei vincitori e dei vinti, e si
concludono con trattati di pace che in
realta' sono trattati di vittoria.
Per finire, una proposta di progetto
politico: lavorare per un'Europa
neutrale non allineata.
* Mao Valpiana:
La nonviolenza non puo' essere
improvvisata, ha bisogno di preparazione e
formazione
Non possiamo piu' giocare con le parole,
le parole sono pietre. Non bisogna
piu' scherzare anzitutto sulla parola
nonviolenza, che non e' assenza di
lotta, non e' astensione o neutralismo,
ma e' forza della verita', pratica
estremamente attiva.
La nonviolenza si rivolge alle scelte
personali e alle pratiche collettive,
politiche.
Ad un primo livello troviamo l'esempio,
la testimonianza, correlati al
progetto, alla prospettiva.
Ma la nonviolenza non puo' essere
improvvisata, ha bisogno di preparazione e
formazione.
E non si puo' nemmeno partire da zero,
perche' abbiamo esempi ed esperienze
importanti da prendere come riferimento.
Rispetto alla guerra, bisogna essere
soprattutto contro la sua preparazione:
la prevenzione e' l'attivita'
fondamentale, e lottare, organizzarsi, agire
contro la preparazione e' la prima
prevenzione.
In secondo luogo bisogna lavorare per una
alternativa alla guerra: la difesa
nonviolenta.
Oggi viviamo un rovesciamento assurdo:
chi e' contro la guerra, nella nostra
lunga tradizione cristiana, e' chiamato a
giustificarsi, mentre sarebbe
logico che si giustifichi chi e' per la
guerra, anche se ci fossero motivi
condivisibili e plausibili.
Rispetto ai movimenti che si vanno
formando, non e' possibile che un
movimento maturo lasci scegliere i propri
leader ai giornalisti. Il leader
puo' esserci - vedi Gandhi - ma
deve nascere dal basso, deve arrivare da
autorevolezza, non votata, ma guadagnata
dalla base.
Inoltre troppe manifestazioni tolgono
fiato, e non e' possibile prendere
scorciatoie: serve un percorso, un
progetto adeguato, e servono poi confini,
che sono forza e non debolezza, per dire
quando si e' dentro e quando si e'
fuori. I movimenti devono darsi delle
strategie, non farsele imporre.
Terza sessione: La forza della verita'
* Rigoberta Menchu':
La solidarieta' deve imparare dalla
cultura dei popoli che lottano per la
liberta'
La solidarieta' oggi non viene insegnata,
non viene insegnato che tutti i
popoli hanno un cuore, una cultura.
Da venti anni, uscendo dal Guatemala,
cio' che mi da' maggior soddisfazione
e' avere attraversato molte barriere
culturali e conosciuto molti popoli.
Ma oggi soprattutto ringrazio la vita per
avermi insegnato a resistere
all'impunita'.
L'impunita' ha permesso gli abusi sui
diritti umani, e' amica del silenzio,
ed il silenzio di tutti i cittadini del
mondo permette torture, sequestri, e
soprattutto di non cercare e tollerare i
responsabili dei crimini. La lotta
contro l'impunita' per noi e' una lotta
di vita.
Cio' che mi da' allegria e' che molti
giovani seguono la nostra strada, non
tollerano razzismo e violenza.
Soprattutto non tollerano che le vite umane
valgano meno in un paese piuttosto che in
un altro. Sono sicura che lottare
per i diritti umani esige coscienza e
convinzione.
E' necessario soprattutto educare i
nostri figli piu' giovani e piu'
piccoli, perche' devono sapere che il
mondo e' pieno di disuguaglianze, e
che hanno una grande missione: un mondo
piu' giusto, piu' equo, dove tutti
abbiano la possibilita' di sognare.
Due settimane fa sono stata a Santiago
del Cile, con le vittime del
genocidio cileno, e mi ha impressionato
molto la presenza di giovani che
rivendicano il loro diritto alla storia,
alla verita', alla memoria, alla
giustizia.
Io credo nel perseguire penalmente i
responsabili dei crimini all'umanita',
la giustizia deve imporre loro una pena.
Credo che anche il risarcimento a
tutte le popolazioni sia un contributo
per dare la possibilita' di sognare a
tutti.
Un mese e mezzo fa ero in
Sudafrica, ed ho dedicato tempo a parlare con i
giovani, che sono condannati all'Aids; ne
sono uscita con la convinzione che
esistano piu' verita' nelle cose, e
quella conosciuta non e' sempre quella
corretta.
La solidarieta' deve imparare dalla
cultura di questi popoli che lottano per
la liberta' e che hanno da dire a molti.
Dopo un conflitto armato di 39 anni in
Guatemala, furono denunciate 200.000
vittime: su 8 milioni di abitanti e' una
grossa cifra, e quasi tutte le
famiglie hanno avuto vittime. Di questi,
45.000 sono desaparecidos, dei
quali non abbiamo trovato nessuna
traccia; sappiamo poi di 646 massacri
collettivi, di 400 villaggi distrutti.
Purtroppo per la gente i dati statistici
sono abitudine.
Nel Guatemala ci sono 22 lingue
differenti, e sicuramente molte vittime non
parlavano la stessa lingua di chi li ha
uccisi. Ci sono state almeno 200
riesumazioni, tramite le quali possiamo
conoscere le sostanze chimiche, le
torture, la crudelta' usate contro queste
persone. Tra loro c'erano anche
molti neonati: quale e' il concetto di
nemico in questa storia, quando il
nemico quasi non e' ancora nato.
Nel '96 fini' il conflitto interno. Non
possiamo dimenticare questi delitti,
ne' permettere che il mondo li
dimentichi. Chiedo all'umanita' il perche' di
quanto e' successo.
La spiegazione che io mi do e' perche'
gran parte delle vittime erano
indios, per razzismo quindi, perche' quei
morti non valevano come altri. Non
c'e' altra spiegazione per quanto
successo in una terra con una cultura
millenaria come quella maya.
Noi siamo disposti a perdonare, ma prima
e' necessario riconoscere la nostra
verita', occorre che i responsabili si
pentano - il perdono deve essere
chiesto - e ci aiutino a risarcire i
danni. Un modo per risarcire i danni e'
far funzionare la giustizia, accompagnare
le vittime, creare borse di
studio, per avere in qualche anno persone
formate che lavorino per costruire
la pace, perche' nessuno pensi alla
logica della guerra.
La pace non e' un concetto mistico, ma e'
un vincolo collegato alla nostra
cultura maya, che vogliamo far tornare a
rifiorire: siamo orgogliosi dei
nostri valori spirituali, comunitari,
religiosi.
I nostri figli hanno diritto ad una
spiegazione della nostra storia. Mio
figlio di sette anni mi chiedeva perche'
i nonni sono stati uccisi, che
delitto avevano commesso. Ma spero che
abbia capito che non erano dei
delinquenti, che non avevano delle colpe.
Ci chiedono pero' chi sono i
colpevoli.
* Luisa Morgantini:
La solidarieta' e' la tenerezza dei
popoli, e per molti popoli e' anche la
possibilita' di esistere e resistere
Bisogna tenere aperte delle strisce di
speranza per il futuro, in questa
logica di guerra: in un manifesto c'era
un aereo da guerra, con scritto "non
spezziamo le ali all'Italia".
In Palestina il sogno di uno stato
indipendente non entra ancora
concretamente. Viene presentata una
situazione di scontro tra grandezze
simili, ma e' necessario analizzare la
situazione.
Dal '93 con l'accordo di Oslo si
prevedeva a passi graduali il ritiro
dell'occupazione israeliana e
l'instaurazione della gestione autonoma
palestinese nei territori. Il ritiro e'
stato parziale, cosi' come
l'autonomia, ma nel 70% del territorio
palestinese l'autorita' e' ancora
israeliana. Inoltre nei territori
occupati c'e' stato l'insediamento dei
coloni, violando anche la convenzione di
Ginevra che vieta l'occupazione con
la popolazione civile di territori
occupati militarmente.
Gli insediamenti dei coloni significano
acqua sottratta, strade dove c'erano
campi, accesso impedito ai palestinesi,
pezzi di terra coltivata sottratti
ai palestinesi e distrutti.
Complessivamente i coloni nei territori
occupati sono oggi 400.000. Esistono
zone A ad autonomia palestinese, zone B a
semi-autonomia, con sicurezza
israeliana, e zone C occupate da
insediamenti. Per muoversi i palestinesi
devono attraversare queste zone, con
numerosi check point, e vengono
continuamente bloccati, a discrezione dei
militari israeliani. La situazione
e' praticamente di carcerazione, ogni
giorno vengono confiscate terre, i
movimenti sono impediti, e l'Onu non
protegge i palestinesi. Militari
israeliani uccidono ragazzini, bambini
palestinesi che tirano sassi, a
distanze assolutamente non pericolose.
Nonostante cio' esistono molte
organizzazioni pacifiste palestinesi ed
israeliane che lavorano non solo per non
subire piu' personalmente
l'oppressione, ma perche' nessuno nel
mondo subisca piu' l'oppressione.
La solidarieta' e' la tenerezza dei
popoli. E per molti popoli e' anche la
possibilita' di esistere e resistere. In
Afghanistan non basta che le donne
tolgano il burqa, serve che le donne che
hanno lottato e resistito entrino
nel governo del paese.
Dobbiamo fare in modo che la nostra sia
una cultura in cui non vinca il
cow-boy, il piu' forte, ma una cultura in
cui ciascuno possa dare una mano
all'altro.
* Arrigo, monaco di Camaldoli:
Oggi siamo chiamati a costruire luoghi di
pace dentro di noi ed intorno a
noi
La pace e la guerra sono inconciliabili:
nessuna guerra, al di la'
dell'aggettivo che gli viene messo
accanto, e' conciliabile con la pace.
Il terrorismo? Non ho una soluzione in
tasca, ma penso vada combattuto fino
in fondo, con l'intelligenza, non coi
muscoli. Chi lo sta combattendo mi
sembra non abbia l'intelligenza adeguata.
* Hebe de Bonafini:
Abbiamo imparato dai nostri figli la
solidarieta', a non essere egoisti, a
fare propria la lotta degli altri
Nella nostra lotta abbiamo socializzato
la maternita'. Noi lottiamo per la
vita, non riconosceremo mai la morte dei
nostri figli, il denaro non puo'
ripagare la vita, ma solo la morte. Non
chiediamo musei, monumenti, ricordi
di morte, ma chiediamo un ricordo di
vita.
Nella nostra lotta abbiamo dovuto
risolvere molte difficolta', la prima di
tutte far conoscere alla gente
l'esistenza dei desaparecidos. Abbiamo dovuto
ideare e sperimentare molte forme di
comunicazione per comunicare con la
gente, per far sapere che c'erano gli
scomparsi.
Quando facemmo la prima marcia per la
resistenza nella dittatura argentina,
la stessa parola resistenza era una
parola proibita. La prima volta in 70
madri abbiamo resistito davanti a 300
poliziotti, ed anche se ci dicevano
che non avremmo superato quella prima
notte, ad ora abbiamo visto cambiare
tre presidenti.
Una volta abbiamo inondato la citta' di
sagome vuote, marciando poi con
cartelli con le foto dei nostri figli.
Un'altra volta abbiamo messo nei
libri dei salmi di 150 parrocchie la
nostra denuncia.
I vescovi nel nostro paese erano piu'
militari dei militari: dissero
addirittura che fino a sette ore di
tortura non era peccato. Durante una
messa con 25 vescovi, con martello e
chiodi appendemmo nella chiesa
fazzoletti con i nomi dei nostri figli.
I vescovi organizzarono una processione,
per dire che i desaparecidos erano
un'invenzione delle madri, ma grazie alla
solidarieta' dei giovani che
compresero la nostra lotta l'iniziativa
dei vescovi non ando' in porto.
Ora vengono fatti finti processi per
raccontare la verita', ma non per fare
giustizia.
Ci dicono che avere liberta' significa
avere democrazia, difendere la
liberta' significa difendere la
democrazia, ma se questa e' la democrazia,
la democrazia non e' liberta'. In
Argentina ci dicono che c'e' democrazia,
quindi anche liberta', ma non e'
vero, perche' non c'e' liberta' di
lavorare, di studiare, di vivere, e
quindi non c'e' democrazia. Senza
liberta' non ci sara' mai democrazia.
Il mio paese e' molto ricco, ma c'e'
disoccupazione, non si spende piu' per
la salute, per l'istruzione, si soffre la
fame.
Allora per vedere come concretizzare la
nostra lotta abbiamo lavorato sulla
cultura, fino ad aprire una universita',
che ha lo scopo di educare alla
politica.
Il 7 aprile 2000 abbiamo aperto
l'universita', con 200 allievi e 5 corsi.
Dopo 7 mesi abbiamo dovuto ampliare
tutto, con 1.300 allievi e 10 corsi.
Per aprire centri ed universita' non
abbiamo mai chiesto permessi: con
venticinque anni di lotta e trentamila
desaparecidos, non ci servono i
permessi di chi governa; che poi non
hanno diritto di decidere cosa
insegnamo.
La nostra e' una universita' creativa,
rivoluzionaria: nella prima ora di
lezione il docente espone, nella seconda
gli allievi discutono in gruppi e
rielaborano quanto esposto, nella terza
ne discutono con il docente. Non
chiediamo titoli di studio, chiediamo
solo l'alfabetizzazione, cosi' che
anche con borse di studio possano entrare
disoccupati e gente in
difficolta'.
I corsi di laurea durano 3-4 anni, e
tutti richiedono tre corsi obbligatori:
formazione politica, educazione popolare,
storia delle madri.
Lo scopo e' di non studiare solo per il
lavoro, ma per l'amore per il sapere
e per essere uomini migliori,
politicamente impegnati e solidali. I primi
laureati dovranno essere i primi
professori per una scuola che lavori ai
margini, sui ragazzi piu' giovani, per
prevenire droga, prostituzione,
violenza.
Per il prossimo aprile vi invitiamo a
festeggiare con noi l'anniversario
della nostra lotta: quando uno festeggia
e' felice, e puo' aiutare gli
altri.