Come
i prodotti americani invadono il Terzo mondo.
Incontrastati
Joseph C. Kumarappa, economista
indiano gandhian-socialista, nel 1952
durante il Congresso per la
pace, a Vienna, in piena guerra di Corea fece
una proposta a paesi e cittadini
amanti della pace (dal testo "Non violent
economy and world peace",
Akhil Bharat Sarva Seva Sangh, Wardha, 1955):
"Finché gli interessi
capitalisti e imperialisti persisteranno e la
produzione seguirà metodi
centralizzati e standardizzati, le guerre faranno
parte integrante della vita
umana e nessuna petizione o protesta porterà
alla pace (...) L'American way
porta direttamente a conflitti
internazionali, il cui ultimo
interesse è economico e finanziario. La non
cooperazione nonviolenta a
questo sistema significherà lanciare un nuovo
sathyagraha (lotta nonviolenta
per la verità, ndr): sul piano economico,
tutte le nazioni dovrebbero
smettere di commerciare in beni americani.
"Per esempio l'India -
prosegue Kumarappa - è invasa da merci Usa di tutti i
tipi: automobili, petrolio,
macchinari elettrici, rubinetti, medicinali,
cosmetici e via dicendo. In
questo congresso sono rappresentate 70 nazioni.
Se tutte loro decidono un'azione
comune, fra non molto tempo il governo Usa
dovrà cambiare linea. Invece,
una minaccia armata indurrebbe a una
produzione maggiore e più
rapida di armamenti, un'opportunità per i mercanti
di morte". Kumarappa
propose dunque a nazioni e individui un'azione di
boicottaggio dei potenti e sulla
solidarietà fra i non potenti: "Ognuno di
noi può e deve contribuire alla
pace. Non dobbiamo sentirci incapaci di
fronte ai grandi della
Terra".
Il tempo è passato, le azioni
belliche statunitensi si sono succedute; gli
ultimi dieci anni hanno visto
tre guerre direttamente condotte da americani
e alleati. Ma nessun gruppo di
nazioni ha osato isolare gli Usa secondo la
proposta di Kumarappa. Anzi,
proprio la superpotenza è da tempo fautrice
acerrima di ogni sorta di
sanzioni rispetto a cosiddetti paesi canaglia.
Le tre guerre direttamente
condotte (Iraq, Jugoslavia, Afghanistan) sono
state accomunate, fra l'altro,
da simili cause economiche (il controllo
delle risorse e di aree
strategiche) travestite da diritto internazionale, o
da ragioni umanitarie, o da
lotta al terrorismo.
Il bellicismo per ragioni
economiche può essere danneggiato da armi
nonviolente economiche. Ma
nessuno sciopero generale è stato indetto dai
grossi sindacati dei paesi
occidentali e non. Né è stata iniziata alcuna
campagna massiccia per la
fuoriuscita - pratica, non a parole - dal modello
energetico petrolio-centrico e
quindi portatore di guerre. Un altro
strumento, l'obiezione fiscale
alle spese militari, ha conosciuto una certa
popolarità dopo la guerra del
Golfo, ma si è riassestata purtroppo a livelli
minimi, poche centinaia di
persone in Italia.
E i boicottaggi delle merci dei
potenti? Lungi dall'ispirarsi allo
sconosciuto Kumarappa, i
pacifisti e i contrari alla guerra in questi dieci
anni hanno manifestato e
bruciato bandiere Usa (un gesto controproducente)
ma continuato a consumare
prodotti americani anziché le alternative locali.
Gli iracheni bombardati da poco
compravano, una alla volta per povertà,
sigarette Viceroy made in Usa
contrabbandate via Turchia; i palestinesi
stampano manifesti
antioccupazione con il logo della Mcdonald...
Pochi giorni fa, in Italia, la
statunitense Patrice Le Muire-Jones,
pacifista (e ambientalista,
animalista, femminista) ha proposto di
boicottare le merci del suo
paese contro le bombe rovesciate sulle teste
degli afghani: "Perché
Bush capisce un solo linguaggio, quello dei soldi. Mi
direte che allora dovreste
boicottare anche le merci dei numerosi paesi che
seguono gli Usa nell'impresa, ma
io vi rispondo che occorre colpire il capo,
gli altri sono solo servi e
seguaci".
Se le popolazioni musulmane
indignate per la guerra e i non pochi pacifisti
occidentali e del Sud del mondo
avessero deciso il boicottaggio di
sigarette, bibite, fast food,
dischi, film Usa (tanto per cominciare con
cose facili), siamo proprio
sicuri che non ci sarebbe stato alcun effetto?
D'altra parte, come suggeriva
l'economista gandhiano, il consumo
centralizzato e standardizzato
deve essere sostituito dal ricorso a
produzioni locali e alternative,
di beni e servizi. La giornata del non
acquisto di domani coincide con
la giornata della finanza etica (e con la
possibile scelta di non
sostenere le banche delle armi), oltre che con
l'iniziativa, in diverse piazze
e locali, delle colazioni a base di prodotti
del commercio equo e solidale.