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UNA DICHIARAZIONE DI RELIGIOSI SICILIANI E CALABRESI PER LA PACE


[Il seguente testo abbiamo ripreso dal sito di Peacelink (www.peacelink.it).
Per contatti: fr. Egidio Palumbo, Carmelitani di Barcellona Pozzo di Gotto,
e-mail: horeb.tracce@libero.it]

Giovedi 15 novembre 2001. I sottoscritti preti e religiosi di alcune diocesi
di Sicilia e Calabria desiderano offrire un contributo alla comune
riflessione sui tragici fatti di queste ultime settimane, con la seguente
dichiarazione.
Chiamati ad esercitare la nostra responsabilita' di cittadini di fronte alle
vicende che coinvolgono la vita di tutti e a dichiarare la propria
convinzione di fronte alle istituzioni deputate a realizzare il bene comune,
desideriamo contribuire, con alcune riflessioni, a pensare criticamente
l'azione intrapresa per contrastare il terrorismo, che si e' manifestato
nell'attentato contro le "Torri gemelle" di New York.
La difesa della vita e delle istituzioni, che dovrebbero garantirla,
richiede spesso l'uso della forza. Tuttavia la forza non significa
necessariamente "guerra". Anzi questa sembra del tutto inadeguata a
ristabilire un ordine fondato sulla giustizia. La guerra, infatti, non
interviene sulle cause che determinano una situazione di disordine violento
e di ingiustizia, ma muta semplicemente i rapporti di forza.
Le violenze esercitate sui civili inermi sono, purtroppo, una realta' di
fatto che anche le guerre passate non hanno mai evitato. Colpire le
popolazioni che non possono difendersi non fa altro che aumentare la spirale
di odio e fanatismo che ha generato gli atti terroristici.
Pensare che ogni forma di critica all'azione intrapresa significhi
necessariamente un appoggio al terrorismo vuol dire impedire ogni forma di
pensiero e di approfondimento delle questioni, molte e complesse, presenti
nei fatti in questione.
Per questo, coloro che hanno ancora un senso dello stato e una forte
coscienza individuale, devono interrogarsi innanzitutto sulla legittimita'
morale, e poi anche sulla opportunita' politica e sociale di una tale azione
di guerra.
Non si tratta di dare o negare un appoggio incondizionato agli Stati Uniti
d'America, essere filoamericani o antiamericani, ma considerare se realmente
le ragioni della giustizia e della pace vengono perseguite. Non vorremmo
essere annoverati tra coloro a cui allude il profeta Michea: "Cosi' dice il
Signore contro i profeti che seducono il mio popolo, che, se hanno da
mordere con i denti, proclamano: Pace! Ma a chi non mette loro nulla in
bocca dichiarano guerra" (Michea 3, 5).
Come cristiani non possiamo tacere e, accogliendo l'invito delle nostre
coscienze e della Parola di Dio, riteniamo di dover affermare che:
- la violenza e ogni altra forma di sopraffazione dell'uomo da parte
dell'uomo e' contraria alla dignita' degli uomini, creati a immagine e
somiglianza di Dio, datore della vita e autore della pace;
- la violenza non si vince con la violenza, ma con la giustizia; e'
necessario perseguire vie diverse dalla guerra per ristabilire un ordine
internazionale giusto, all'interno del quale tutti i popoli possano essere
associati al progresso e al benessere dei paesi ricchi;
- bisogna ristabilire - attraverso tutti gli strumenti che la ragione
dell'uomo e il diritto internazionale offrono - condizioni paritetiche tra i
popoli di diversa cultura, religione e condizioni economiche.
Ai nostri fratelli di fede chiediamo di considerare le loro opzioni
politiche ed etiche alla luce dell'evangelo di pace che Gesu', re pacifico,
ha annunciato e realizzato. In particolare a coloro che hanno assunto
responsabilita' pubbliche - di cui devono rendere conto a coloro che ad esse
li hanno chiamati - domandiamo di non uniformarsi acriticamente ai potenti
di turno, senza considerare le ragioni dei poveri e dei diseredati.
Profondamente convinti che "e' fuori della razionalita' (alienum est a
ratione) pensare che la guerra sia uno strumento per restaurare i diritti
violati" (Giovanni XXIII, Lettera enciclica "Pacem in terris"), non possiamo
non dissentire dalla logica seguita nella discussione in Parlamento e,
pertanto, riteniamo doveroso dissociarci dalla decisione presa di entrare in
guerra.
Siamo consapevoli, cosi' facendo, di compiere anche un piccolo gesto di
adesione e accoglienza dei pressanti appelli di Giovanni Paolo II alla pace,
appelli che stanno rischiando, anche all'interno della chiesa cattolica, di
determinare una specie di "solitudine istituzionale" analoga a quella che in
diversi momenti della sua vita ebbe a soffrire papa Giovanni.

Vincenzo Algeri, Maurizio Aliotta, Sebastiano Amenta, Aurelio Antista,
Gregorio Battaglia, Francesco Conigliaro, Salvatore Consoli, Attilio
Gangemi, Rosario Gisana, Giovanni Mazzillo, Salvatore Musso, Giuseppe
Alberto Neglia, Egidio Palumbo, Giuseppe Ruggieri, Salvatore Schillaci,
Carmelo Signorello, Gaetano Zito.

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